mercoledì 2 marzo 2011

La Brigata Catanzaro. Storia di un eroico reparto militare nato a Catanzaro che contribui valorosamente alla vittoria dell'Italia durante il primo conflitto mondiale (seconda parte)

cartolina dal fronte del 141°
La sua storia fu tragica e gloriosa insieme. Un reggimento senza tradizioni, che dopo la guerra sarebbe scomparso dall’ordinamento dell’esercito, per tornare a figurare fugacemente soltanto tra il 1940 ed il 1941 e poi ancora tra il 1975 ed il 1995,[6] è stato sempre protagonista degli eventi bellici e sicuramente è rappresentativo del sacrificio e della gloria della fanteria italiana. I suoi uomini non furono eroi omerici né cavalieri senza macchia e senza paura e, quantunque probabilmente non avessero mai sentito parlare di Trento e di Trieste, fecero sempre e comunque il proprio dovere uscendo vincitori, insieme con i loro commilitoni, dall’aspra contesa con un esercito che vantava una storia di lunga data.

La fase di preparazione dei reparti risentiva comunque di carenze sia di organico che di armamenti ed emblematica era la mancanza di quelle sezioni mitragliatrici che ogni  reggimento doveva avere.[7]

La Brigata Catanzaro all’atto della mobilitazione del 24 maggio 1915 fu dapprima inquadrata nelle truppe a disposizione del Comando Supremo poi, dopo pochi giorni, fu inviata in Friuli dove fu inquadrata in quella Terza Armata che in seguito ebbe l’appellativo di “Armata del Carso” e che si gloriava di obbedire agli ordini di Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta.

Adolfo Zamboni, glorioso ufficiale del 141° di origine ferrarese, nei suoi scritti decantò le doti umane e di combattenti dei calabresi per come egli stesso ebbe modo di conoscerli, ma non mancò di sottolineare le difficoltà che gli stessi riscontravano nei rapporti interpersonali.[8]  Ne dipinse un profilo molto attento e preciso con frasi accorate che soprattutto oggi, che ancora si assiste ad una forma di razzismo strisciante e si sente parlare di “Repubbliche del Nord”, dovrebbero essere incise a lettere d’oro nelle menti di tutti gli italiani.

“Piccoli, bruni, curvi sotto il peso del grave fardello, scesero alle stazioni delle retrovie e si incamminarono verso le colline Carsiche gli umili fantaccini della remota Calabria, la forte terra dalle montagne boscose e dai clivi fioriti dove pascolano a mille i placidi armenti. Chiamati lontano dalla Patria in armi, questi poveri figli di una regione abbandonata lasciarono le loro casette sperdute tra i monti, abbandonarono i campicelli e le famiglie quasi prive di risorse e vennero su nelle ricche contrade che il nemico mirava dall'alto, bramoso di conquista e di strage. Percorsero tutta la penisola verdeggiante e sostarono nelle trincee scavate nella roccia e bagnate di sangue.

 Fieri e indomiti, cresciuti nella religione del dovere e del lavoro, i Calabresi non conobbero la viltà, non coltivarono nell’animo gagliardo il germe della fiacchezza: alla Patria in pericolo consacrarono tutta l’energia dei loro rudi cuori, tutto il vigore delle floride vite. Apparivano selvaggi, ed erano pieni d’affetti nobilissimi; sembravano diffidenti, ed aprivano tutto il loro animo a chi sapeva guadagnarsi il loro amore; all’ingenuità ed al candore quasi puerili univano il coraggio e la risolutezza dei forti. Un piccolo servigio, una cortesia usata loro, ve li rendeva fedeli fino ad affrontare per voi con indifferenza il pericolo.

I compagni d’arme delle regioni del Nord, dividendo un vecchio pregiudizio, per il quale i fratelli dell’Italia inferiore erano considerati alquanto retrogradi e selvaggi, guardarono da principio con una certa noncuranza sdegnosa quei soldatini dalla parlata tanto diversa e così schivi di convenzioni; «terra mata» e «terra da pipe» erano gli appellativi che talvolta scherzosamente venivano indirizzati ai modesti gregari nati e cresciuti nelle terre del meridione.