martedì 4 ottobre 2011

Mario Placanica l'ex carabiniere che uccise Carlo Giuliani durante i terribili scontri del G8 di Genova nel 2001. Adesso lavora al catasto di Catanzaro

Nella foto Placanica davanti gli uffici del catasto di Catanzaro

Alle due di pomeriggio Mario Placanica deve timbrare il cartellino. È reduce dalla pausa pranzo, polpettine e arancini nella rosticceria all’angolo. Gli restano due ore di lavoro come impiegato del catasto. Fa notifiche e visure, controlla cartografie di alloggi e terreni. Sta in una stanza disadorna, in un prestigioso edificio del centro storico, con scrivania, computer e due colleghi a fianco. Guadagna 1240 euro al mese. Contratto a tempo indeterminato su chiamata diretta dell’ufficio di collocamento. E questa, insomma, è la sua seconda vita. Anche se non si capisce bene quanto sia davvero vita.Il mio grande rimpianto è di non essermi iscritto all’università quando avevo vent’anni - dice - dovevo studiare invece che diventare carabiniere. Ma entrare nell’Arma mi sembrava un modo per guadagnare un po’. Mio padre è pensionato, mia madre e le mie sorelle sono casalinghe». Gli unici - racconta - che non l’hanno lasciato solo. «Dopo quello che è successo, i carabinieri mi hanno abbandonato. Neppure si fanno più vedere. Una volta almeno venivano a salutarmi: “Ciao Placà, come stai?”». Mario Placanica, si direbbe, sta così così. Il 20 luglio del 2001 era in servizio da otto mesi. Dopo il corso da ausiliario a Fossano, era stato mandato al reparto mobile di Palermo. Quel giorno non doveva essere a Genova: «Ma poi un collega si rifiutò e toccò a me. Quando ci ripenso capisco che tutto poteva andare in un altro modo. Il destino ha intrecciato le cose». È lui che ha sparato e ucciso Carlo Giuliani, il ragazzo che stava lanciando un estintore contro il Land Rover Defender dei carabinieri. Genova, i giorni del G8. La scena è quella di piazza Alimonda. Due colpi di pistola per i quali Placanica è stato prosciolto. Secondo il gip ha sparato per legittima difesa. Un verdetto ribadito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: «Usò la forza nei limiti necessari a impedire quello che percepiva come un reale e imminente pericolo per la sua vita e quella dei suoi colleghi». Ma certe volte non basta una sentenza per scacciare certi pensieri: «Ho temuto il peggio - spiega - pensavo che sarei morto bruciato dentro al Defender. Ma non volevo uccidere. Quando mi hanno detto quello che era successo mi sono messo a piangere. Era la prima volta che sparavo».Arriviamo a Mario Placanica pieni di pregiudizi. L’avvocato Salvatore Saccò Faragò il 19 luglio scorso - in vista del decennale - aveva dichiarato sul Corriere della Sera: «Placanica ha già chiarito tutto nelle sedi opportune. Non parla. Adesso vuole solo dimenticare». Al telefono, il padre dell’ex carabiniere, ci aveva detto: «Finalmente Mario ha trovato un lavoro, sta ricominciando a vivere». Il vicino di casa in frazione Ruggero, un piccolo sobborgo di villette sparse nel comune di Sellia Marina, ci aveva messo in guardia: «O è pazzo o lo fa. Placanica mi ha aggredito davanti a mio figlio. Mi ha preso a calci, insultato. Urlava senza motivo: "Tu mi vuoi male...". Una scena tremenda per cui ho sporto denuncia. Placanica è una bestia pronta a uccidere. E poi conosce quella storia per cui è indagato?». Sì, Placanica è iscritto nel registro degli indagati della procura di Catanzaro: è accusato di aver violentato la figlia undicenne della sua ex convivente. Fatti che risalirebbero al 2007. Dunque, ripensavamo a tutto questo mentre salivamo i tornanti verso il centro storico di Catanzaro.....
E appena arrivati, una collega del catasto ha rincarato la dose: «Placanica qui si comporta molto bene, lavora, è puntuale. Ma si è confidato: fa brutti sogni, sente le voci». Alle due in punto arriva alla bollatrice. Ha un borsello a tracolla e la sigaretta di traverso, la pancia compressa dentro a una polo blu troppo stretta, gli occhi cerchiati sotto gli occhiali rettangolari, il cartellino in mano. Molto diverso dalle foto di dieci anni fa. «Placanica?». Dopo un lampo di preoccupazione, sorride. «Mi sto dando da fare racconta - questo lavoro mi piace. Finalmente ho trovato delle persone con cui posso scambiare due parole. Non devi dare retta alle voci del mio vicino: quello è uno di destra, vuole infangare il mio nome». Ma non era lei che voleva candidarsi con «la Destra»? «È stata l’idea di gente un po’ criminale. Volevano usare il mio nome e farsi i soldi. Portaborse, servizio scorta: stavano pensando a tutto». Già, i soldi.Dopo Genova, Mario Placanica aveva ricevuto 400 mila euro grazie a una sottoscrizione indetta dal giornale Libero. «Non mi è rimasto niente - spiega - ho speso tutto in avvocati. Per pagare il divorzio da mia moglie. Per riparare due auto, visto che purtroppo ho avuto due incidenti stradali. Insomma, sono a zero». Con questa nuova brutta storia sul groppone: «Sono tranquillo spiega - ho fiducia nella giustizia perché ho la coscienza a posto». Sembra che il passato lo perseguiti più del presente. Dice che non può sentirsi in colpa: «Io stavo lavorando per lo Stato. Ero un militare giovane e inesperto. Poteva succedere anche a un altro». Dice che non vuole incontrare la famiglia di Carlo Giuliani, non più: «Hanno scritto un libro che non mi è piaciuto. Hanno detto che io non so fare due più due. Non voglio mancargli di rispetto, ma spero che loro abbiano capito che io non volevo uccidere. Io non volevo...». Potrebbe essere una specie di epitaffio. Ma cosa vuole, oggi, Mario Placanica? «Ho molti sogni. Avrei voluto restare nell’Arma in abiti civili, ma si sono dimenticati di me. Avrei voluto entrare in aeronautica». Più terra terra? «Sogno un po’ di serenità. Vorrei trovare la persona giusta». Ha ricevuto molte lettere a cui non ha risposto: «Mi hanno scritto che sono un eroe. Mi sono stati vicini. Ne approfitto ora per ringraziarli di cuore». Su Facebook il partito dei sostenitori è nutrito come quello dell’odio. Mario Placanica cita le Brigate Rosse, certa gente che lo vuole investire, quelli che si intromettono nelle sue conversazioni private. E alla fine di ogni frase, ripete: «Non si può tornare sempre a Genova». Erano due ragazzi, non si è salvato nessuno.  
Articolo tratto dal quotidiano " La Stampa"