Famiglie spezzate da lutti insensati, donne mutilate nel corpo e nell’anima, neonati morti a poche ore dal parto o inchiodati nel limbo eterno della menomazione da manovre o cure incaute ed errate. È successo tutto nel 2010 nel reparto di Ginecologia e Ostetricia degli Ospedali Riuniti e per questo, nell’aprile 2016 quattro medici sono finiti ai domiciliari e altri sei sono stati interdetti dalla professione. Ma tutti avrebbero potuto essere fermati prima. Le intercettazioni che li inchiodavano sono state portate a conoscenza della Dda di Reggio Calabria quanto meno a metà del 2010, ma si è scelto di non approfondire perché «ciò avrebbe compromesso il buon esito delle indagini relative al P.P. 7920/10 per cui si stava operando». Il particolare emerge da una delle informative oggi depositate agli atti del fascicolo, in cui la Finanza spiega passo passo la genesi dell’indagine.
MALASANITA' IN UN’INDAGINE ANTIMAFIA Come noto, tutto è iniziato intercettando Alessandro Tripodi, nipote dell’avvocato Giorgio De Stefano, il cugino prediletto di don Paolino, da sempre considerato storico consigliori e reale eminenza grigia dell’omonimo clan. Un dato storico ma non giudiziario, che la Dda, nell’ambito di un’indagine sul re dei videopoker Gioacchino Campolo, ha tentato di corroborare con prove concrete. La ricerca è partita da un’ampia attività di intercettazione, che ha riguardato anche il dottore Tripodi, nipote di De Stefano. Ascoltandolo, scrive nel 2014 la Guardia di Finanza, già allora «sono emerse talune fattispecie penali non inerenti il proc. pen. per cui si procedeva».
DI QUESTO NON SI PARLA Ma - mettono nero su bianco - «giuste disposizioni dettate per le vie brevi dal Sost. Proc. Beatrice Ronchi, questa p.g. non ha proceduto a indicare nelle varie annotazioni, depositate nell'ambito del proc. pen. in oggetto, le condotte di seguito descritte, onde evitare una sovrapposizione di indagini nonchè eventuali divulgazioni di dati sensibili in altri proc. Pen». I finanzieri però si riservano di riascoltare e trascrivere in ogni caso le chiacchierate del dottor Tripodi e di depositare un’apposita nota «finalizzata alla descrizione di talune fattispecie penalmente rilevanti, verificatesi all'interno dell'Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino'-Morelli». Su quel fronte però non si indagherà più per non compromettere le indagini sul filone criminalità organizzata.
INDAGINE A META' Una decisione che tuttavia – ammettono le Fiamme Gialle – ha avuto delle conseguenze , forse irreparabili, sulla possibilità di accertare quanto succedesse agli Ospedali Riuniti. Gli elementi emersi in quelle telefonate – mette nero su bianco la Gdf - «non sono stati infatti oggetto di approfondimento info-investigativo volto all'acquisizione di elementi di riscontro in grado di dimostrarne l'attendibilità in quanto, di concerto con I'A.G. inquirente, ciò avrebbe compromesso il buon esito delle indagini relative al P.P. 7920/10 per cui si stava operando». Insomma, i casi di malasanità sono passati in coda. Eppure, già allora – stando a quanto si legge nell’informativa – si delineava un quadro estremamente grave.
NEL 2010 C’ERANO GIA’ TUTTI GLI ELEMENTI Ascoltando Tripodi, già nel 2010 gli investigatori rilevano « taluni eventi di "malasanità", posto che alcuni di essi si sono conclusi con il decesso della partoriente, dei nascituri e/o dei feti, mentre per altri, con un danno definitivo e/o temporaneo alle pazienti e tutto ciò - stando al contenuto delle conversazioni - a causa di colpa, imperizia e/o negligenza e, talvolta, dolo del personale medico e paramedico che ha effettuato le varie prestazioni sanitarie». In più – affermano i militari - già all’epoca, da quelle chiacchierate era emerso chiaramente come in reparto ci fosse il vizietto di coprire gli errori commessi e raccontare solo una versione di comodo a pazienti e familiari. Decessi, menomazioni e complicanze divenivano solo una “tragica e imprevedibile fatalità” grazie ad una strutturale forma di « copertura tra medici e/o paramedici responsabili dei presunti casi di malasanità ed i colleghi, spesso di altri reparti, successivamente intervenuti sul paziente».
LA REGOLA DELL’ IMPUNITA’ Risultato, pazienti e familiari sono stati convinti di essere solo vittime di un tragico destino, mentre i medici – tutti rimasti per anni a lavorare nel medesimo reparto – non solo hanno sviluppato «un assoluto senso di impunità ai loro gravi errori», ma hanno anche fatto scuola. «Sostanzialmente – scrive infatti la Finanza - gli altri colleghi si sono "assuefatti" alla loro recidività, commentando, talvolta addirittura con tono divertito, gli interventi errati effettuati dagli stessi».
IL REPARTO DEGLI ORRORI Quello di Ginecologia e Ostetricia – spiegava in dettaglio la Finanza nella sua annotazione dell’ottobre 2010 – era un vero e proprio reparto degli orrori, caratterizzato da «un profondo stato di disorganizzazione», causato da una pessima gestione dovuta a un primario sostanzialmente assente, «scarsa professionalità e competenza di alcuni fra gli appartenenti al personale medico e paramedico», «pessimi rapporti lavorativi fra il primario, il personale medico e il personale paramedico» e «carenza organica del personale medico del reparto», che ha dato vita «ad una lotta fra fazioni, anche esterne al reparto, al fine di far assumere i soggetti ad ognuno graditi». Un mix esplosivo, dalle conseguenze estremamente gravi, come testimonia il lungo elenco di casi di malasanità per i finanzieri dovuti a colpe o imperizie dei medici ascoltati.
IL GIP NON SAPEVA Ma al gip che ha autorizzato l’intercettazione delle utenze di Tripodi tutto questo sembra non sia stato raccontato. Agli atti, risultano infatti ben nove proroghe, ma nel motivarle ai casi di malasanità non si fa mai nemmeno un accenno. Inizialmente si fa leva sul «consolidato rapporto» fra il dottore e lo zio, evidenziando anche quelle telefonate in cui i due sembrano concertare incontri di natura prettamente politica. In una delle conversazioni portate all’attenzione del gip, si legge nelle carte, « si fa chiaro riferimento ad una riunione che si terrà alle 19,30 a casa del padre di Alessandro Tripodi, ove sarà — verosimilmente -presentato, ai partecipanti, tale Pasquale "Il Professore", candidato alle recenti elezioni regionali». Era periodo di regionali e per il pm, i due «discutevano di politica, intendendola strettamente funzionale e strumentale ai loro interessi personali, con particolare riferimento al settore della sanità — ossia la locale azienda ospedaliera "Bianchi-Melacrino-Morelli", ove il Tripodi esercita la