mercoledì 31 marzo 2010

I CUZZUPI

I cuzzupi il dolce per eccellenza della festività Pasquale,simbolo di rinascita a nuova vita.Di unione, di bellezza infatti per descrivere una bella ragazza era sovente dire: "è propriu na bella cuzzupa".Le nostre nonne le preparavano giorni prima con forme diverse tipo: "panarellu" "animaletti" "iniziali del nome" ecc..con o senza l'uovo sodo di sopra.Erano tante nel paese i forni che emanavano un buonissimo odore,in epoca più recente si vedevano tante "lannie"di cuzzupe pronte da sfornare portate in perfetto equilibrio sulla testa "sino aru furnu e fortinu".Oggi sono rimasti in pochi a contunuare  nel forno di casa questa bella usanza perchè sui scaffali dei supermercati troviamo di tutto ,ma vuoi mettere l'odore,il sapore delle cuzzupe fatte in casa
.Ecco la ricetta non difficile da preparare spedita gentilmente sul blog
da lux forumista sul forum di Sellia
                                              I CUZZUPI
500 g. farina, 75 g. burro morbido, 120 g. latte, 150 g. zucchero, 4 uova, 1 bustina di lievito, 1 pizzico di bicarbonato, 1 pizzico di sale, succo di 1 limone.

Nel boccale succo di limone e zucchero: 10 sec. vel. turbo.
Aggiungere uova, latte e burro: 30 sec. vel. 5.
Unire la farina e il sale: 30 sec. vel. 6.
Aggiungere il lievito e il bicarbonato: 3 minuti vel. Spiga.
Riempire i pirottini di 2/3 e sistemarli sulla teglia forno.
Lasciare riposare per 10 minuti e infornare a 180° per 20 minuti.
Cospargere con zucchero a velo.

martedì 30 marzo 2010

ELEZIONI REGIONALI 2010 IN CALABRIA VINCE IL PDL CON SCOPELLITI

Una sconfitta che in molti davano per scontata. In Calabria il centrosinistra perde, con il governatore uscente Agazio Loiero che passa la mano al pidiellino Giuseppe Scopelliti, sindaco di Reggio Calabria, sostenuto anche dall'Udc. Terzo posto per il candidato, l'imprenditore Pippo Callipo sostenuto da Idv e Radicali. Pesa, sul risultato, anche l'astensionismo. Il numero degli elettori che si sono recati alle urne è il più basso d'Italia, 59,25%, con un calo del 5% rispetto alle regionali di cinque anni fa. Ma, seppure annunciata, la vittoria di Scopelliti non era data in queste proporzioni. "In Calabria - ha commentato lo stesso vincitore - la destra non ha mai vinto con numeri così importanti, ma questo se da un lato ci inorgoglisce, dall'altro ci chiama ad una presa di coscienza e di responsabilità che certamente noi sapremo affrontare". "E' una sconfitta che non si presta a interpretazioni", ha ammesso a caldo Loiero. "Vince la destra anche se - ha aggiunto il governatore uscente - non riesco a rinvenire le cause. Siamo partiti tardi e ci sono stati conflitti interni, ma tutto questo non è sufficiente a spiegare questa sconfitta. Ci deve essere stato qualcosa che al momento non riesco ad individuare". Cinque anni fa, alla guida della coalizione di centrosinistra unita, Loiero conquistò la guida della regione con il 59% dei voti, distaccando di circa 20 punti percentuali l''avversario' di centrodestra. Un successo che stavolta nessuno si era sbilanciato a prevedere, prevedendo anzi quella che si è poi rivelata una vera e propria debacle. Anche perchè la ricandidatura di Loiero (che lo scorso febbraio ha vinto le primarie del Pd) ha diviso lo schieramento, con l'Udc che alla fine ha scelto di appoggiare Scopelliti e Idv che invece ha messo in campo il suo candidato indipendente Callipo. E Callipo, oggi, è assai soddisfatto del risultato ottenuto. "Ho combattuto a mani nude ed ho vinto la mia battaglia", ha detto, chiarendo che per lui "non fa alcuna differenza che abbia vinto Scopelliti": "Sarebbe stato lo stesso, infatti, anche se avesse prevalso Loiero. Sono due personaggi sui quali il mio giudizio è negativo perché hanno alle spalle, uno come sindaco di Reggio Calabria e l'altro come presidente della Regione, esperienze assolutamente negative e fallimentari". fonte(APcom)
PER I POST CHE TRATTANO DI POLITICA
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domenica 28 marzo 2010

TRADIZIONI SELLIESI DURANTE LA SETTIMANA DI PASQUA

* Le tradizioni locali, profonde e ben radicate, rappresentano lo specchio dell'animo dei Selliesi, in quanto legati alla memoria storica e religiosa di un paese, fiero e forte del suo passato, che vanta, ancora oggi, manifestazioni uniche nel suo genere; quelle principali si concentrano, soprattutto, nel periodo pasquale e natalizio.

Di particolare effetto sono tutte le celebrazioni connesse con la settimana santa.

Il giovedì santo, così come in molti altri luoghi, nella Chiesa Madre si prepara "l'Altare della Reposizione", detto anche "Sepolcro". L'usanza di allestire una rappresentazione del sepolcro di Cristo venne introdotta dopo l'XI secolo con la diffusione della devozione al SS. Sacramento. Il termine "sepolcro" è, in realtà, un termine popolare inappropriato, poiché la riserva eucaristica non può adombrare la deposizione di Cristo, non essendo ancora commemorata liturgicamente la Sua morte. Secondo la prassi liturgica il parroco colloca le ostie consacrate nella pisside e, al canto di Pange lingua, si reca processionalmente nella navata laterale sinistra, all'altare dell'Immacolata, dove le particole vengono rinchiuse nell'apposito tabernacolo. L'altare, preparato con molta cura, viene solennemente adornato con drappi e fiori. E' inoltre, consuetudine portarvi i tipici "piattelli", piattini di cereali (frumento, grano, orzo) e legumi (ceci, lenticchie, lupini) fatti germogliare al buio, chiusi in alcuni recipienti: la mancanza di clorofilla allude alla privazione di emoglobina, quindi alla vita stessa. Essi simboleggiano, dunque, la morte e la rinascita. Il luogo di custodia è continuamente illuminato da ceri e lumi e vegliato dai fedeli nella notte tra giovedì e venerdì. Numerosi fedeli, in prevalenza donne, sostano in chiesa, pregando e cantando antichi canti popolari dall'impianto melodico simile ai lamenti funebri.

E' l'ideologia della morte a caratterizzare la ritualità e la liturgia della settimana santa. Tutto deve ricordare la morte del Cristo.

venerdì 26 marzo 2010

RAPIMENTO DA PARTE DEI BRIGANTI DEL FIGLIO DEL BARONE DI SELLIA (SECONDA PARTE )

Una volta che i briganti avevano nelle loro mani un sacco di soldi (nel vero senso della parola ) dovuti al pagamento del riscatto per la liberazione del figlio minore del barone di Sellia ,la storia si sarebbe potuta finire così : "si divisero il bottino in quattro parti uguali ,e da quel giorno le loro vite cambiarono in meglio ". Invece fu proprio da quel giorno che iniziarono i guai. Già la sera stessa ci fu un'accesa discussione su chi avrebbe dovuto custodire il malloppo,in attesa che le acque veramente molto agitate si fossero un po' calmate. Dopo parecchie ore si decise che tutti e quattro avrebbero vigilato a turno sul bottino in attesa che il nuovo giorno portasse consiglio,la notte passò via velocemente. Al mattino si rimisero a discutere consapevoli del fatto che per parecchio tempo, anche anni, non avrebbero potuto spendere neanche un soldo, nè tantomeno lasciare Sellia, altrimenti i vari sospetti si potevano concentrare su di loro. Erano molte le persone che sia per conto personale del barone o per conto dei militari continuavano ad indagare ,interrogare tutta la popolazione .Chi avrebbe custodito il bottino ,dopo aver discusso e ridiscusso, si decise la soluzione più logica : nessuno !Infatti custodirli nelle abitazioni era troppo rischioso ,i militari li avrebbero potuti scoprire ,si decise si sotterrarli in un terreno fuori dal paese,si, ma dove? Il posto non doveva appartenere a nessuno ,soprattutto a nessuno dei quattro. Dopo aver ancora riflettuto si scelse il posto: era una conicella lungo la via che portava in città; lì nottetempo avrebbero scavato una buca per sistemare il bottino in attesa che le acque si sarebbero calmate. E infatti così fecero. Su un somarello dentro una “vertulla “ trasportarono i soldi sino alla conicella. Lì era già tutto pronto. Una volta ricoperta la buca e sistemati dei rovi di sopra ritornarono al paese .Ma le cose si complicarono di più, si guardavano in cagnesco ,non si fidavano più uno dell’altro pensando ognuno che l'altro si volesse impadronire del’intero bottino scappando dal paese. La notte stessa il più grande di loro era lì nascosto per bene convinto che qualcuno dei tre sarebbe arrivato nottetempo per appropriarsi del bottino,ed infatti in piena notte arrivò il più piccolo dei quattro che si era svegliato con l'incubo che qualcuno dei tre avrebbe sottratto il bottino,così successe che i due si scontrarono accusandosi reciprocamente nella lite. Il più piccolo morì colpito da una coltellata .Intanto si faceva l'alba e anche gli altri due briganti arrivarono sul posto dove scoppiò un'altra lite alla vista del corpo ucciso del più piccolo. Così successe l'irreparabile: in poco tempo i tre si "scannarono" a vicenda. Due morirono subito, il terzo ferito gravemente morì dissanguato poco dopo. Nessuno ritrovò mai il bottino. Ancora adesso si dice che esso si trova ben nascosto ai piedi di qualche conicella lungo la strada di Sellia.
Racconto orale trascritto da Sellia racconta negli anni 70

mercoledì 24 marzo 2010

RAPIMENTO DA PARTE DEI BRIGANTI DEL FIGLIO DEL BARONE DI SELLIA (PRIMA PARTE)

La storia realmente successa che stiamo per raccontarvi si svolse in un contesto sociale di povertà e miseria mentre i pochi ricchi diventavano sempre più potenti e i poveri sempre più pezzenti anche culturalmente .Il brigantismo si proponeva alla sua nascita come strumento di rivolta verso i ricchi sempre distaccati dalle reali necessità del popolo vivendo in modo sfarzoso quando invece fuori dalle loro case la gente moriva di fame .Di tutto questo ne riparleremo in maniera più dettagliata in futuri post che dedicheremo al contesto sociale e culturale della nascita del brigantaggio .Anche Sellia vede ,durante il periodo dei baroni, vari episodi di malessere verso una classe che sempre più si allontanava dai veri bisogni del popolo.
Una notte un gruppo di banditi organizzò un piano per rapire il figlio piccolo maschio del barone; bisognava essere molto attenti in ogni piccola mossa e soprattutto non fidarsi di nessuno perchè per la forte miseria che regnava tra il popolo chiunque li avrebbe traditi per un tozzo di pane .Prima di passare al rapimento decisero il luogo dove doveva passare da prigioniero il figlio del barone in attesa del riscatto e soprattutto decidere il momento propizio per rapirlo. Studiarono per diversi giorni ogni movimento della famiglia del barone decidendo di rapirlo il giorno successivo quando i maschi sarebbero usciti la mattina presto per una battuta di caccia e il piccolo era custodito solo dalla nutrice i banditi erano quattro nessuno neppure le madri o le mogli sospettavano minimamente cosa stavano tramando .Il giorno del rapimento tutto andò secondo i piani: rapirono fulmineamente il piccolo in un momento di distrazione da parte della nutrice colpendola con un bastone alla testa ,poi di corsa verso il nascondiglio che si trovava subito fuori dal paese; era un porcile custodito da un vecchio sempre ubriaco fin dalla mattina che non sospettava che proprio sotto "u scifu" mesi prima i banditi avevano scavato un rifugio che si accedeva alzando proprio u” scifu”. Lo legarono per bene e a turno vigilarono sempre con fare circospetto, il luogo che per oltre un mese sarebbe stato l'abitazione del figlio del barone .L'allarme fu dato dopo poco , subito nella casa baronile si radunò una folla di curiosi "anno arrobatu u figliu cotrarellu du baruna Prejanò". Queste erano le grida che echeggiavano per le viuzze del paese .Non passò molto che arrivarono molti carabinieri anche da Catanzaro che iniziarono a rastrellare il paese ma non trovarono niente,nessun indizio ,nessun sospetto tanto che iniziarono ad essere convinti che ormai il piccolo era in qualche campagna lontana dal paese,invece lui era vicino tanto vicino che aveva udito le grida delle persone molti l'avevano chiamato a gran voce nella vaga speranza  di ritrovarlo subito. Lui sentiva ma non poteva parlare, neanche  muoversi di un millimetro tanto che era legato stretto .Passarono due giorni i briganti neppure si erano avicinati al covo mentre il piccolo era rimasto chiuso lì al buio, al freddo senza mangiare o bere. Fu proprio durante quel periodo che giurò solennemete che se mai sarebbe uscito vivo da lì si sarebbe fatto prete. Passò anche il terzo giorno, ma nessuno gli portò nemmeno dell'acqua ,mentre il barone aveva trovato una lettera scritta in mal modo dai banditi i quali davano un ultimatum: entro 5 giorni doveva consegnare i soldi oppure il piccolo sarebbe stato ucciso .I carabinieri intanto osservavano tutti i possibili sospettati ,il barone non disse nulla della lettera al maresciallo per non complicare le cose. Arrivati al quarto giorno, la domestica trovò dentro un..........

martedì 23 marzo 2010

LA CUCINA CALABRESE: UN PO' DI STORIA ( 1)

C'è nel modo di alimentarsi dei calabresi qualcosa di sacro e di antico, l'osservanza di regole di comportamento che vengono dai secoli. Si direbbe che tra la Sila e lo Stretto si avvertisse più che altrove la connessione tra le esigenze della nutrizione e quelle dello spirito: ogni festa religiosa aveva in Calabria il suo cibo di devozione, ogni evento della vita familiare - nozze, lutti, battesimi - il suo adempimento gastronomico. Era regola che per Natale si dovessero mettere in tavola tredici portate e che lo stesso si dovesse fare per l'Epifania; le feste di Carnevale richiedevano un menù fondato su maccheroni e carne di maiale, la Pasqua non poteva celebrarsi senza i pani rituali e l'arrosto di agnello. Per l'Ascensione erano di rigore i tagliolini al latte, per San Rocco dolci raffiguranti le parti del corpo che potevano guarire per l'intercessione del taumaturgo e così via: il pane azzimo a Santa Chiara, lagane e ciceri per i Defunti, il baccalà fritto a San Martino, la cuccia a Santa Lucia.
Il rigore di questo calendario si è affievolito col tempo, lasciando però tracce visibili nel repertorio alimentare della regione. Il cibo dei calabresi è sostanzialmente quello che era una volta, determinato dagli usi, dalle credenze e dalla storia. Protesa al centro del Mediterraneo, lambita da due mari, la Calabria nelle sue coltivazioni ha raccolto e metabolizzato influenze dell'Est come dell'Ovest: alcune coltivazioni furono trapiantate sul suolo di quella che si chiamava Enotria dai coloni greci, fondatori di una civiltà di cui si sente ancora l'orgoglio.
Incontestata è ad esempio l'origine greca dei laganoi, larghe fettuccine molto amate a Sibari, mentre è sicuramente arabo il nome della mustica, lo straordinario, appetitosissimo cibo che deriva dalla pratica di mettere sott'olio e sotto peperoncino le acciughe appena nate. Si tratta di un cibo conservato, dunque di una risorsa vitale.
Nei borghi dell'Appennino, nei luoghi della fatica mal compensata, la disponibilità di provviste non deperibili era fino a ieri l'unica ricchezza desiderata. "Amaru chi lu puorco non ammazza", infelice chi non ha maiali da ammazzare, diceva una vecchia canzone popolare. Gli insaccati, la sugna, la mustica, i formaggi, le melanzane sott'olio e i pomodori seccati erano per la gente del Sud la garanzia di sopravvivere nei periodi, non infrequenti, di carestia. La loro preparazione seguiva rituali e scadenze non derogabili, era accompagnata da invocazioni, auspici e scaramanzie di cui resta ormai solo il ricordo.