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lunedì 14 novembre 2011

Il modello Scopelliti da esportare come modello per L'Italia? Visto l'aria che si respira meglio stendere un velo.......

Uno, Versace. Due, Pittelli. Tre, D’Ippolito. Quattro (forse) Nucara. A Berlusconi e al Pdl, in questi giorni drammatici in cui la maggioranza di Governo continua ad essere appesa a un filo fragilissimo, quello della Calabria deve sembrare il bilancio di una sconfitta dolorosa. Bilancio che brucia perché in Calabria B si è dissanguato investendo ben tre postazioni di rilievo: una pedina da viceministro e due da sottosegretario per Misiti, Belcastro e Galati. Come se non bastasse anche Francesco Nucara, calabrese e reggino (come Scopelliti) mette pensiero al Cavaliere precisando che il suo far parte della maggioranza è «sempre più labile». Insomma, il saldo della punta dello stivale è profondo rosso. Nonostante quel ben di dio dato da B in pasto al popolo famelico dei parlamentari. Fatti i calcoli: rispetto alle ultime fiducie chieste dal Governo, la Calabria, da sola e senza il bisogno di nessun’altro, affonda il Governo facendo venir meno la fatidica soglia 316. Se B ha dato spazio a Scopelliti per avere in cambio sostegno ed appoggio ha preso un abbaglio. E’ ancora presto per capire cosa accadrà nelle prossime ore e nei prossimi giorni a Roma, anche perché il Presidente della repubblica ha gettato sulla bilancia tutto il peso (grandissimo) del suo prestigio per evitare le elezioni anticipate considerate un possibile colpo mortale al Paese. Ma intanto una cosa si può dire sulla Calabria. Il «laboratorio politico del modello Calabria» da esportare in tutto il resto del paese come soluzione di tutti i problemi e quadratura del cerchio delle criticità nazionali del cd, è diventato impresentabile e va nascosto sotto il tappeto come fanno con la polvere le domestiche infedeli. Scopelliti quel modello lo ha valorizzato a più non posso. La «Calabria come modello da esportare» in Italia è diventato il mantra ripetuto da tutti gli uomini del Governatore che l’hanno declinato in tutti i casi promuovendolo a formula sacra, magica e quasi mistica che sarebbe stato sufficiente ripetere per raggiungere con successo la soluzione. Invece, il Modello Calabria si sta rivelando privo di forza attrattiva, incapace di diventare centro di aggregazione politica. Non riesce ad avere la forza propulsiva che moltiplica speranze e progetti. Peggio, perde pezzi preziosi del corredo buono avuto inizialmente in dote e li perde a partire dal momento alto della vittoria elettorale regionale del Pdl guidato da Scopelliti. Se non si vuole sostenere che il Modello Calabria sia un sistema a canne d’organo ognuna delle quali suona autonomamente dalle altre, per cui i parlamentari non c’entrano nulla con la Regione che non c’entra nulla con tutto il resto, bisogna riconoscere che tirando la rete si vedono più i buchi che i pesci. L’invenzione del «Modello Calabria» non è stato uno strumento possente capace di consolidare progressivamente il potere, di sviluppare forza tale da impedire ripensamenti o tradimenti che dir si voglia, non ha creato nei punti alti del sistema consenso e ricompattamento, voglia di stare e crescere insieme. Quel modello sta ancora campando della rendita delle difficoltà di un’opposizione che non riesce a esprimere e diventare progetto. L’alleanza Pdl-Udc, ha provocato isolamento a Scopelliti. Anche chi non l’ha capito subito (come chi scrive) deve riconoscere che l’Udc calabrese ha avuto una vista lunga. Scartata l’alleanza con l’armata Brancaleone del centro sinistra (Loiero, Adamo, Bova) interessata solo al successo di Caposuvero ha deciso un accordo non col centro destra ma direttamente, personalmente e soltanto con Scopelliti. Un accordo che per il Governatore s’è trasformato in una trappola che gli ha drasticamente ristretto gli spazi di potere. Da qui la necessità di una gestione sempre più personale, sempre più da uomo solo al comando, rispetto al Pdl: è questo che spiega la resistenza di Scopelliti che non vuol mollare la carica di segretario regionale.

domenica 13 novembre 2011

Berlusconi si è dimesso... fine di una dinastia durata 17 anni


Da oggi alle 9 le consultazioni di Napolitano.Ieri sera Berlusconi al Quirinale accolto da una folla urlante. Fischi, insulti e monetine: «Dimissioni». La piazza canta Bella Ciao e l'inno di Mameli. Il premier se ne va da un'uscita secondaria|


Nel '94, nel video della sua epica «discesa in campo», Berlusconi magnificava l'Italia come «il Paese che amo». Diciassette anni dopo, captato in un'intercettazione telefonica, lo stesso Berlusconi non seppe frenare il rassegnato disgusto per l'Italia «Paese di m....». In questo capovolgimento emotivo si racchiude il senso di un'avventura politica che prometteva un nuovo «miracolo» e si è inabissato in una grande disillusione. L'ottimismo degli esordi, che contagiò e stregò molti italiani orfani della Prima Repubblica e smaniosi di un «nuovo inizio», ha la sua antitesi in un tramonto cupo e malinconico. Finisce, nel crepuscolo del berlusconismo, un'epoca della storia, della politica, della psicologia collettiva, dell'immaginario dell'Italia repubblicana. Si chiude la Seconda Repubblica, creata, plasmata, dominata dalla figura di Silvio Berlusconi.
Anzi, Berlusconi è stato, e continua a essere la Seconda Repubblica. Dopo la tempesta di Tangentopoli, i giornalisti abituati ai ritmi lenti e alle liturgie della Prima Repubblica non seppero far altro che canzonare il magnate televisivo che fantasticava di un «rassemblement» dei moderati e lo raffigurarono con il fez dei fascisti quando, all'inaugurazione di un ipermercato, il re della Tv commerciale disse che, se fosse stato romano, tra Fini e Rutelli avrebbe scelto Fini. Lo snobbavano, ma in due sole mosse Berlusconi aveva creato il bipolarismo italiano: il polo dei suoi devoti, e quello dei suoi nemici. Stava celebrando la «religione del maggioritario» in cui il leader incontrastato trascinava il suo popolo affamato di figure carismatiche, l'«Unto» che nel favore popolare trovava la sua consacrazione. In pochi mesi sbaragliò la sinistra che, nella dissoluzione dei vecchi partiti di governo, pensava di avere la vittoria in mano con la «gioiosa macchina da guerra» capeggiata da Achille Occhetto. Cominciò lì il grande trauma da cui la sinistra non si sarebbe più ripresa. La gioiosa macchina da guerra non prese nemmeno un voto in più di quelli incassati dalle formazioni che avevano ereditato le insegne del vecchio Pci più qualche frangia di sinistra multicolore. Non se ne capacitarono più. Cominciò la caccia al colpevole. E cominciò pure il vaniloquio contro il destino cinico e baro che prendeva a bersaglio qualunque cosa o personaggio potesse suggerire il senso di un sortilegio malvagio, più che di una normale elezione perduta: la calza sull'obiettivo della telecamera con cui Berlusconi avrebbe reso più soffice e seducente il suo messaggio video; la spilla appuntata sul bavero del doppiopetto berlusconiano che, secondo i più temerari esegeti della videocrazia, avrebbe riflesso sugli occhi degli sprovveduti telespettatori chissà quali bagliori subliminali. E poi addirittura l'ipnosi; Raimondo Vianello; Ambra; il karaoke; gli spot della pubblicità, e così via. La sinistra, che aveva sin lì coltivato solide radici popolari, cominciò a diffidare del popolo, della gente non inquadrata, degli elettori a suo insindacabile ed elitario parere imbottiti di stupidaggini pubblicitarie e schiavi della televisione.
Qualcuno riuscì persino a maledire il suffragio universale: in fondo, addirittura si disse e si scrisse, il popolo furente e indisciplinato aveva nella storia già scelto Barabba e sacrificato Gesù Cristo. È vero che nessuno ebbe il coraggio di paragonarsi esplicitamente a Gesù Cristo. Ma il «ladrone» era quello lì, l'arcitaliano che con un «rassemblement» molto simile a un'accozzaglia di avventurieri, con l'espediente furbo della doppia alleanza con il Msi (non ancora An) al Centrosud e con la Lega al Nord, con uno schieramento che non poteva vantare alcun legame con i partiti storici che avevano stilato la Costituzione italiana, aveva avuto l'ardire di traslocare Cologno Monzese a Palazzo Chigi. Con tutto un contorno di azzimati sconosciuti armati di un grottesco «kit del candidato» che la Roma politica e giornalistica accolse come i marziani, tutti con il blazer, tutti cloni del Capo, tutti obbedienti soldatini pescati nelle selezioni supervisionate dalla Publitalia di Marcello Dell'Utri. Non era la «rivoluzione liberale», promessa e mai arrivata, ma una rivoluzione antropologica sì: l'azienda che si fa potere politico, senza la mediazione dei partiti. «Colpo grosso», dissero e scrissero. Ma il fatto più grosso è che a sinistra non riuscirono a capire dove avessero sbagliato. E non ci riuscirono, per la verità, per tutti i diciassette anni successivi, fino a quando Berlusconi, immerso nei suoi errori, circondato da nugoli di cortigiani e cortigiane che gli hanno fatto perdere il senso della realtà, è sprofondato sì, ma solo per suo proprio demerito.

La pro loco di Simeri Crichi punta sul meraviglioso territorio per creare una fonte di turismo

Articolo tratto dal" Quotidiano della Calabria"

sabato 12 novembre 2011

Per il processo a Carlo Cosco che sciolse la moglie nell'acido le spese saranno a totale carico dello stato

Processo Lea Garofalo, sciolse la moglie nell’acido. Ora lo Stato gli paga l’avvocato
Carlo Cosco, accusato di aver ucciso e sciolto nell'acido la moglie nel 2009, ha ottenuto il patrocinio gratuito per il processo in cui è imputato. La parcella di Daniele Sussman Steinberg, celebre penalista di Milano scelto dal'uomo stesso, la pagheranno i contribuenti avendo lui dichiarato meno di 10.628,16 euro

Sciogli tua moglie nell’acido? Lo Stato ti paga l’avvocato. Questa l’ultima beffa in ordine di tempo del processo a Carlo Cosco, l’affiliato alle famiglie di Petilia Policastro, accusato di aver ucciso e sciolto nell’acido la moglie Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia sparita la notte tra il 24 e il 25 novembre del 2009. All’uomo infatti è stato concesso il gratuito patrocinio: la parcella di Daniele Sussman Steinberg, celebre penalista di Milano scelto da Cosco stesso, la pagherà lo Stato, perché nel 2010 l’uomo, di professione buttafuori, ha dichiarato meno di 10.628,16 euro di reddito. Una circostanza singolare. Di solito erano gli stessi Cosco ad attivarsi per il pagamento delle spese legali dei loro accoliti. Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip, Giuseppe Gennari, annota che “il mantenimento dei detenuti e il sostegno per le spese legali è un tipico servizio che viene fornito, dalle organizzazioni criminali, agli affiliati arrestati” e Massimo Sabatino – tra quelli che hanno sequestrato Lea Garofalo prima di consegnarla al marito – “ha goduto del sostegno economico dei Cosco” in un altro procedimento. Contro la donna la ‘ndrangheta complottava da tempo. Lo ha confermato Angelo Salvatore Cortese, ex appartenente alla mafia calabrese e oggi pentito. La sua testimonianza è stata ascoltata in Corte d’assise a Milano all’ultima udienza del processo per l’omicidio della Garofalo e che vede imputati non solo il marito Carlo, ma anche gli altri due fratelli Cosco – Vito e Giuseppe – insieme ai loro fiancheggiatori, Massimo Sabatino e Carmine Venturino. Cortese, che verso la fine del 2001, assieme a Carlo Cosco, passò un periodo di detenzione nel carcere di Siano a Catanzaro, racconta di essere stato il primo a sapere che l’uomo voleva eliminare la moglie. “Me la presentò come una questione di onore – riferisce Cortese – perché Lea Garofalo lo aveva abbandonato, portando con sé la figlia e preferendo un altro uomo, un tipo che non conoscevo, di Bergamo”. Carlo Cosco si guardò bene dal riferire che in quegli stessi giorni sua moglie aveva cominciato a collaborare con la giustizia e a denunciare gli affari illeciti dei fratelli. Questi controllavano un pezzo di Milano, tra piazza Baiamonti, corso Como e via Montello 6 dove abitavano, occupando abusivamente una serie di appartamenti. Si dedicavano allo spaccio di droga, ma anche agli appalti pubblici, tant’è che Vito Cosco ha lavorato nei primi cantieri per la costruzione del metrò 5. Ad ascoltare con interesse la deposizione in videoconferenza da località segreta il collaboratore di giustizia, è stato il diretto interessato Carlo Cosco. Cortese ha confermato che nell’onorata società non era tollerato il comportamento di Lea Garofalo, tanto più essendo lei la moglie di un personaggio vicino ai clan. Secondo Cortese, infatti, Carlo Cosco era affiliato alle famiglie di Petilia Policastro, un paese della provincia di Crotone. Un dettaglio che però il pubblico ministero Michele Tatangelo ha giudicato ininfluente. I Cosco, infatti, sono giudicati a Milano per aver commesso un efferato omicidio e non per essere componenti della ‘ndrangheta. Su di loro nemmeno pesa l’aggravante mafiosa, per cui tecnicamente non si può parlare di un processo alla criminalità organizzata. Ma sulla vicenda di Lea Garofalo i racconti di Cortese gettano ora una luce inquietante. Secondo il pentito, da un certo momento in poi, sulla donna pesò il verdetto di due boss: Pasquale Nicoscia di Isola Capo Rizzuto e Domenico Megna di Paparice, anche loro nel 2001 rinchiusi nel carcere di Siano. Secondo Cortese i due giudicarono legittima la volontà del marito di uccidere la moglie, anche se in quel momento non potevano aiutarlo. Nei loro territori era in corso una guerra, che li contrapponeva alla famiglia degli Arena, sempre di Isola Capo Rizzuto, e la cosa naturalmente necessitava di ogni loro energia. Cosco, in ogni modo, aveva bisogno dell’approvazione di qualche ‘mammasantissima’. Lea era sorella di Floriano Garofalo, personaggio di spicco della ‘ndrangheta di Petilia Policastro; se avesse agito da solo sarebbe esplosa l’ennesima faida.

I 20 presidenti delle comunità montane Calabresi si sono riuniti per dire no alla soppressione dell'ente

 incontro con i Presidenti dei 20 enti calabresi per discutere il recente progetto di legge approvato dalla Giunta regionale
Si è svolto a Lamezia Terme un incontro, convocato dall’Uncem, con i Presidenti delle 20 Comunità montane calabresi, per discutere il recente progetto di legge approvato dalla Giunta regionale, che sopprime tali enti ed istituisce una nuova “Azienda Regionale per la Forestazione e per le Politiche della Montagna”. “Tutti gli intervenuti - è scritto in un documento - hanno evidenziato come con un semplice colpo di spugna si vogliono cancellare enti locali sani, riformati nel 2008 con la L.R. n. 20, mai divenuti oggetto di osservazioni circa presunte passività, oltremodo efficienti, quando sono stati coinvolti in qualsiasi iniziativa, che non hanno alcun costo se non quello del personale di cui la parte più consistente è a carico dello Stato ed i cui organi politici (Presidenti, Assessori e Consiglieri), sono composti da rappresentanti dei Comuni, che svolgono giornalmente e gratuitamente i loro compiti, assumendosi soltanto enormi responsabilità e persino il discredito dei cittadini. Non si è tenuto conto nella scelta operata dalla Giunta regionale, dei principi costituzionali della sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. Si sopprimono le Comunità montane con una legge ordinaria, senza aver proceduto prima alla modifica dello Statuto della Regione, che all’articolo 46, terzo comma, le annovera al pari dei Comuni, delle Province e delle Città Metropolitane, fra gli Enti destinatari delle funzioni amministrative conferite in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione. È stato inoltre da tutti sottolineato - si legge - come i territori collinari e montani calabresi, che rappresentano circa il 93% dell’intero territorio regionale, non possono essere governati da un’Azienda, che al massimo....

venerdì 11 novembre 2011

11.11.2011 una data importante oppure un giorno come gli altri?


Oggi è un giorno molto particolare, di quelli che fano accapponare la pelle
dei superstiziosi molto più del classico “venerdì 13”: alle 11, 11 minuti e 11 secondi dell’11 novembre 2011 (anzi, dell’11/11/11) si realizzerà un lungo palindromo del numero 1.
Secondo la definizione, il “giorno palindromo” è una data del calendario che, scritta con la formula “giorno/mese/anno” ha una perfetta simmetria nella lettura, ovvero si può leggere sia da sinistra verso destra sia da destra verso sinistra. Alle 11:11 (e 11 secondi) di domani, un giorno preso d’assalto anche per matrimoni e altri eventi, avremo un palindromo a 12 cifre, e non ne avremo altri simili per i prossimi 100 anni.
Ma il palindromo ha ispirato e dato il titolo addirittura a un film horror, diretto da Darren Lynn Bousman e “sembra” che questa data davvero “significhi” qualcosa e che il numero 1111sia in grado di mettere in contatto gli uomini con il mondo del soprannaturale.
Non è tutto, perché alcuni prevedono che l’11/11/11 (o al più tardi il 21/12/12) possa esserci la fine del mondo. In questi casi previsioni e profezie si sprecano, ma la loro credibilità e veridicità è chiaramente tutta da dimostrare.
Come quella del 21/12/12, che secondo l’opinione popolare sarebbe stata prevista dai Maya nel loro calendario. Nulla di più sbagliato: tutto sarebbe nato con Cristoforo Colombo e alcuni equivoci e interpretazioni errate sui suoi scritti, come hanno dimostrato alcuni antropologi dell’Università del Kansas in uno studio presentato al IX Simposio internazionale di Archeostronomia a Lima. Secondo gli ultimi studi, tutto ebbe inizio agli albori del 16esimo Secolo, con una combinazione di profezie astrologiche e bibliche per spiegare il nuovo millennio: dopo avere scoperto il Nuovo Mondo, Cristoforo Colombo si sarebbe convinto che l’avere scovato la terra più remota avrebbe condotto la Spagna alla riconquista di Gerusalemme, facendo avverare la fine del pianeta descritta nel Libro della Rivelazione. Per corroborare le sue convinzioni, l’esploratore genovese scrisse un suo Libro delle Profezie, che includeva una sua intervista al leader Maia, fatta nel 1502. Sarebbe stato proprio questo riferimento, ha spiegato negli Usa l’antropologo John Hoopes, ad avere dato adito alle successive speculazioni e congetture di esploratori e missionari, spingendo eccentrici e studiosi a collegare gli antichi Maya, prima di ogni contatto con gli europei, con le credenze popolari astrologiche e religiose del 1500.