sabato 2 agosto 2025

La tragica morte della ventenne Simona sbranata da 15 cani. Le motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro che condanna a soli 3 anni il pastore Pietro Rossomanno

  



Con una sentenza destinata a lasciare un segno profondo nella giurisprudenza italiana in materia di responsabilità nella custodia di animali, la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro nel mese di maggio scorso confermò la  ...........

condanna a 3 anni del pastore Pietro Rossomanno, riducendo a una manciata di mesi quella di Maria Procopio, imputati per una serie di reati collegati alla drammatica morte di Simona Cavallaro, avvenuta nell’agosto del 2021 nella pineta di Monte Fiorino. 

La lettura analitica, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, ha scosso però ancora di più le coscienze, ricostruendo con minuzia la violenza dell’evento, ma soprattutto confermando quello che in riva allo Ionio in molti sapevano: la morte di Simona poteva essere evitata. I giudici per questo hanno riconosciuto Rossomanno colpevole, ma non abbastanza per accogliere le richieste della Procura che provò a ottenere fin dall’inizio almeno 15 anni di reclusione per la tragedia di Monte Fiorino, in cui una ragazza di vent’anni ha subìto l’aggressione mortale da par te di un branco di cani mentre si trovava in un’area pubblica attrezzata per picnic. Era il 26 agosto, Simona si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato con un amico. Nessun cartello, nessuna recinzione, nessun avvertimento. All’improvviso, il branco: una quindicina di cani maremmani e meticci animali forti, abituati a di fendere il gregge, ma anche potenzialmente letali se lasciati senza controllo. L’amico riesce a salvarsi rifugiandosi in una baracca, Simona no. L’autopsia parlerà di “shock emorragico da lesioni multiple e depezzamento”, un modo clinico per dire che quei cani l’hanno fatta a pezzi. Secondo quanto a certato in fase  dibattimentale, i cani erano al seguito del gregge di Pietro Rossomanno, e lo stesso imputato aveva l’obbligo giuridico e morale di controllarli. Il pastore però quel giorno non c’era, si sc prirà dalle sue stesse ammissioni, perché aveva mal di denti. Secondo i giudici però avrebbe dovuto sapere che i suoi cani potevano essere pericolosi e a testimoniarlo so no stati passanti, ciclisti, frequentatori della pineta. Tutti minacciati dagli animali e salvati dal richiamo tempestivo fatto dal pastore, qualcuno dopo essersi rifugiato su un sasso. A raccontare la violenza subìta l’atteggiamento degli animali all’arrivo dei carabinieri: erano pronti ad aggredire di nuovo. Ad allontanar li sono stati solo gli spari in aria delle pistole. A salvare il pastore dalle accuse di un omicidio volontario, il suo atteggiamento collaborativo e la decisione di dismettere il gregge.

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