Una città che sta compiendo passi da gigante in direzione della ricerca e tutela della propria identità storica e culturale: è questa l’anima del paese-prodigio della Galluraper incremento demografico, che in questi giorni ha celebrato il suo patrono, San Simplicio.
Giornate intense ed emozionanti per credenti o semplici appassionati delle storie del passato condotte dal folklore, perché universalmente è di questo che si tratta, il così detto “sapere del popolo” tramandato oralmente attraverso riti, costumi e credenze in relazione ad un determinato luogo o ad una determinata popolazione. Un filo conduttore usato per legare ogni singolo evento organizzato durante la cinque giorni che coinvolge l’intera comunità, in equilibrio tra sacro e profano, ma spezzato durante la tipica passeggiata verso la Basilica, ad iniziare dalla parte finale di via Galvani. Ancora immersi tra gli odori della folla, dei fiori-omaggio al Santo infatti, avviene uno scollamento che investe il visitatore non appena si percorre la strada delle tradizionali bancarelle, che di tradizionale hanno poco o niente. Salvo i prodotti di alcuni artigiani locali, coraggiosi sopravvissuti all’estinzione unitamente ai prodotti delle immancabili associazioni benefiche, quelli che saltano agli occhi non hanno nulla di storicamente “territoriale” per produzione né per derivazione: abbigliamento posticcio in poliestere, prodotti omologati dalla grande produzione sommersa che non segue le vie dei controlli “convenzionali” ed infine giocattoli che dovrebbero essere destinati ai bambini, come il
classico cane che abbaia e cammina o i piccoli peluche che si illuminano, con una chiara dimenticanza alla delicata fascia di utilizzatori.
Un richiamo ad una riflessione che giunge naturale: perché nel periodo della promozione della filiera corta, della riscoperta di sapori e prodotti tipicamente isolani, si deve assistere ad uno spettacolo che L’Espresso, paragonandolo a Roma, ha definito “La Grande Tristezza”. Perché non imparare da altre esperienze, come quella di Sersale (CZ), dove la giunta comunale ha approvato un vero e proprio “Regolamento per la tutela e la valorizzazione dei prodotti tipici locali con l’istituzione della De.C.O. (Denominazione comunale di origine) per preservare e incentivare il ciclo dell’economia “agro-pastorale, artigianale e tutte le attività connesse alla produzione di prodotti tipici del luogo riconosciuti come elemento distintivo del territorio”.
Perché non osservare Fraveggio vicino Vezzano dove, durante la Sagra dei Portoni, si possono visitare mostre di pittori e scultori, stand di prodotti e degustare le rinomate grappe della Valle dei Laghi, o ancora Gaggi in provincia di Messina piuttosto che un lungo elenco di realtà che hanno seguito la medesima condivisione di intenti commerciali e culturali da esporre come opportunità durante le feste, specie quelle patronali.
Ed infine, perché non unire prodotti locali a quelli stranieri, purché rigorosamente artigianali e frutto dell’individualità artistica degli espositori, applicando uno dei pochi “modi o maniera” di compiere dei passi verso la reale integrazione lontano dall’astratta ghettizzazione dei ceti commerciali ad hoc.
riceviamo e pubblichiamo
Olbia (Elena Mascia)
Sersale ringrazia selliaracconta per le tante notizie sul nostro paese
RispondiEliminaE' sempre bello quando si viene citati per un qualcosa di positivo. Bravo al nostro sindaco.
RispondiEliminaOgni tanto una bella notizia che porta un pò di orgoglio
RispondiEliminaGrazie carlo lupia per le tue innovazioni
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