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sabato 27 gennaio 2024

Che fine ha fatto il quadro della Madonna "di sproni"? Che si portava in una suggestiva processione per le vie del borgo di Sellia nel mese di ottobre

 


Conservare, tramandare, custodire con cura la memoria storica di una comunità è molto importante. Racconti, oggetti sacri, documenti, reperti antichi rientrano di diritto in un opera certosina di cura e di custodia da tramandare gelosamente. Ma per Sellia non è stato mai cosi, tra i tanti eventi naturali tra terremoti, alluvioni e l'opera distruttrice dell'uomo; il più delle volte più violento dei vari cataclismi, hanno portato a un impoverimento dei reperti, siti storici e documentali su Sellia. Mai nessuna amministrazione ha mai pensato di catalogare, mettere al sicuro ciò che del glorioso passato di Sellia è arrivato sino ai nostri giorni. Un ruolo fondamentale sul conoscere il passato, le tradizioni di una comunità senza dubbio è nelle istituzione religiose con i vari parroci  che si sono susseguiti  negli anni i quali sono "dovrebbero essere" i custodi dei tesori religiosi all'interno delle chiese. Avevo parlato QUI della brutta sparizione di molte statue di angioletti che durante i lavori di restauro della chiesa Madre a inizio degli anni 90 furono donati senza alcun registro a alcune famiglie del borgo ma dopo la riapertura al culto della chiesa molti angioletti non furono più consegnati. Più recente invece la notizia della sparizione dell'importante quadro storico della "Madonna dei Sproni"  ( leggi Qui ) che fina ha fatto? Rubato o peggio gettato nella spazzatura come oggetto inutile? Domande senza risposte ma ciò che bisognerebbe fare, è chiedere conto al parroco di Sellia di circa 7 anni fa perché a detta di molti prima il quadro era dentro la chiesa. Una comunità deve essere gelosa di tutto ciò che appartiene  nel percorso storico di un paese. Ma poi siamo sicuri che manca solo il quadro? Nelle prime edizioni della Sagra dell'Olio d'Oliva nelle 2 chiese del centro storico aperte al pubblico si potevano ammirare tanti reperti religiosi di un valore enorme ci sono ancora tutti? Perché mai nessuna amministrazione ha pensato nel catalogare e archiviare ogni piccola traccia del passato di Sellia? Sicuramente ritorneremo su questo annoso quesito anche perché i vari scempi continuano sino a oggi vedi centro storico, vedi castello vedi ..... mentre le elezioni comunali si avvicinano ecco un punto fondamentale che chi si propone a guidare il nostro borgo dovrebbe mettere nei primi posti: Il ..............

sabato 27 maggio 2023

Incredibile ma vero a Sellia c'è un museo vero. Gestito con cura da un privato nel rispetto e amore dei luoghi dov'è ubicato.



In un vecchio magazzino scavato nella roccia, con la sua originalità costruttiva e dei materiali, nel suggestivo rione Sant' Angelo di Sellia L'arch. Salvatore Madia con tanta cura e amore ha realizzato da qualche anno una sua personale collezione ed esposizione di oggetti ed attrezzi legati alla civiltà e vita contadina del suo amato paese. Il posto si trova proprio al piano seminterrato del MU.SE.BA. (Museo dei Bambini Agricoltura e Ambiente).


A seguire un passaggio del suo accorato pensiero scritto sui social :
"Nelle poche volte (non certo per mia mancanza di volontà e disponibilità) che ho avuto il piacere di ospitare qualche visitatore, ho apprezzato l’interesse di molti giovani i quali mi chiedevano il nome dell'oggetto esposto e il relativo uso che se ne faceva nei tempi passati.
Ho pensato, quindi, di arricchire la collezione con l'applicazione tanto con un adesivo riportante il nome dialettale in ogni oggetto esposto quanto con il relativo QR Code che, oltre al nome, ne descrive brevemente l'uso dell'oggetto nei tempi passati, affinché non se ne perda la memoria.
Le foto sotto inserite sono ..........

mercoledì 30 marzo 2022

Sellia; servono a ben poco tanti finanziamenti se poi non salvi ... amo il nostro passato. L'antico borgo vera fonte di un possibile turismo sta morendo!

  Premesso che fa sempre piacere leggere di tanti soldi, di tanti finanziamenti per Sellia, ma sarebbe un enorme piacere vedere lo stesso impegno, la stessa determinazione con annessi tanti proclami sui social per recuperare, difendere, salvaguardare l'antico borgo ormai preda in varie zone di degrado e abbandono totale.10 finanziamenti valgono meno di una casa del centro storico; salvata, recuperata difesa, amata. Dopo la pubblicazione di alcune foto del borgo di Sellia sui social "Sono tante le segnalazioni ricevute di amarezza e sconforto"  (nel caso specifico si tratta del rione Sant'Angelo) il rione più antico, più suggestivo ma purtroppo sta subendo la stessa fine di altri rioni. Degrado, abbandono case vandalizzate a rischio crollo. Nessuno alza un dito nessuno si scandalizza. Bello Bellissimo leggere di vari finanziamenti che Sellia sta ottenendo ma alla fine se scompare il nostro passato se crolla una sola casa del borgo che senso ha, che valore a lungo termine potrà mai avere tale finanziamento? Il vero oro, l'autentico tesoro nascosto sta in ogni casa, in ogni angolo, in ogni viuzza di Sellia li si potrà realizzare un possibile futuro. Tutto il resto sarà bello bellissimo ma senza futuro.

a seguire alcuni cenni storici e alcune foto del rione Sant'Angelo che mostrano la precarietà nella difesa del nostro passato e l'incerto futuro.

giovedì 3 febbraio 2022

Sellia, Abbattuto un busto su un tetto del rione "Ruscia". Riceviamo e pubblichiamo la segnalazione di un cittadino.

 


Riceviamo e pubblichiamo la segnalazione di un cittadino di Sellia

Sellia; Un altro piccolo piccolissimo tassello della storia di Sellia cancellata per sempre. Nulla a che vedere con la demolizione dell'antico convento del S.S Rosario o della chiesa dell'Arcangelo,( prima chiesa di Sellia) o in epoca più recente dell'obbrobrio del cavalcavia o della distruzione di antichi e caratteristici tetti per fare posto a terribili terrazze. Quest'ultima demolizione autorizzata? è una piccola cosa ma sempre molto significativa. La testa (il busto) di Guglielmo Marconi che capeggiava su un tetto del rione Ruscia non esiste più Qui ne abbiamo parlato ampiamente. Il nostro amato borgo sempre più da solo, sempre più meno abitato, sempre più meno valorizzato quando è e rimane l'unica vera fonte di un possibile futuro turistico di Sellia. A nulla serve decantare mille......

a seguire altre foto del busto

venerdì 10 dicembre 2021

La comunità Selliese ha reso onore al Santo Patrono San Nicola. La chiesa madre, a lui dedicata, che custodisce una reliquia del famoso santo, reca sul frontone la scritta: OSSA NICOLAI RESUDANT MANNA,

 

Qui il bellissimo racconto tramandato nei secoli dal titolo: 

L'ANELLO DI SAN NICOLA  (trascritto da Sellia racconta)

Presenti il sindaco Zicchinella, altre autorità municipali e il capitano della Polizia locale Sgrò. È stata celebrata, ieri, sei dicembre, dall’arciprete don Davide Riggio, la messa in onore del santo Patrono S. Nicola. La chiesa madre, a lui dedicata, che custodisce una reliquia del famoso santo, reca sul frontone la scritta: OSSA NICOLAI RESUDANT MANNA, (le reliquie di S. Nicola trasudano acqua sacra, emanando un profumo). La novità, della festa, è stata la presenza dei zampognari Muraca e Bressi, che hanno irrotto nella chiesa di S. Nicola, con le note di una pastorale dedicata al santo, seguite dall’arcaiche nenie dedicate alla nascita del Cristo bambino.  Gli zampognari, non si vedevano da alcuni decenni, e percorrendo tutto il borgo medioevale sotto le note musicali del Natale, ha fatto rivivere, ai più anziani, quel ‘tempo passato’, immerso nel fascino del borgo medioevale selliese. La presenza dei pastori, è sorta dall’iniziativa personale di Maurizio Perrone dei baroni di Sellia, cavaliere dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’Ordine equestre fu ........ 

sabato 7 agosto 2021

Sellia; per il suo futuro bisogna recuperare e valorizzare il suo passato

 

Sellia è un comune italiano di 498 abitanti della provincia di Catanzaro in Calabria.

Diventa importantissimo salvare, recuperare, salvaguardare l'antico borgo. Non serve a nulla avere tantissimi musei, tante attrattive, non serve a nulla creare scritte frasi a effetto se poi una sola casetta una sola viuzza rischia di scomparire per sempre. L'unico vero tesoro la vera attrattiva è il centro storico altrimenti oltre a perdere il sul suo passato Sellia perderà anche il suo futuro.


segue foto racconto

mercoledì 19 settembre 2018

Benvenuti a Sellia dove il tempo si è fermato da tempo.Riceviamo e pubblichiamo lettera aperta di un cittadino del borgo Presilano

Mentre il campanile incurante del tempo che scorre continua a stare fermo sulle 6.05 o 18.05 a piacere di chi osserva. Da giorno 26 luglio esattamente dalle ore 12:53 e 16 secondi anche la webcam ospitata dal sito MeteoPreSila è tristemente offline Il 26 luglio su Sellia si è abbattuto il più forte dei temporali estivi di questa strana estate 2018 con parecchi danni con l'acqua piovana (che non vuole nessuno )a fare liberamente danni. Due situazioni emblematiche di come si concepisce il promuovere Sellia. Forse si vuole coniare un nuovo slogan tipo: "Benvenuti a Sellia dove il tempo non passa mai" Ma il tempo passa, passa inesorabilmente basta osservare i colori del borgo basta osservare come   antiche tegole che trasudavano di storia diventano un qualcosa di moderno proiettato in un futuro non ben definito, basta osservare il parco sistematicamente preso d'assalto di flotte di turisti forse attirati dalle immagini di bel tempo della webcam, basta osservare la teleferica vero punto di riferimento del futuro di Sellia (altro che campanile) "specchietto per le allodole" quella teleferica che in modo incessante va su e giù rendendo felice le casse comunali che hanno investito tanto su di essa. Ma Sellia è cosi vitale, cosi viva anche chi l'ha percorsa giorno 18 agosto dopo l'imponete macchina della sagra dell'olio d'oliva notava zero persone è tanti gazebo in balia del vento ma anche questo è turismo. Sarebbe bello sapere quanto ha fruttato la gestione del parco? Quanto ha incassato di utile la teleferica ? Con quale criterio si danno le concessioni nel cambiare totalmente l'aspetto del borgo antico ? Perchè alcune zone delle rione "Madonna della Neve" sono diventate territorio di nessuno dove ognuno può fare quello che vuole?Per non parlare delle tante domande sui ...........

giovedì 31 maggio 2018

Santi monaci e chierici selvaggi nella Catanzaro del Seicento


SANTI MONACI E CHIERICI                                                                  SELVAGGI                                                                                                       

Nell’estate del 1623, il lucchese Lorenzo Cenami prendeva possesso a Catanzaro dell’ufficio di Governatore della Calabria Ultra, in esecuzione  della nomina di Filippo IV di Spagna, e subito sperimentava l’ostilità dei baroni e dell’alto clero, come emerge chiaramente dalle Visite ad Limina dei vescovi  di Catanzaro(Fabrizio Caracciolo), di Squillace (Fabrizio Sirleto), di Belcastro (Girolamo Ricciulli), dell’ Isola ( Ascanio Castagna) e di Santa Severina (Diego Cabeza de Vaca).  Quest’ultima diocesi metropolitana  comprendeva la città di Crotone e le suffraganee di Umbriatico, Cerenzia, Gallipoli e dell’Isola; Belcastro  comprendeva anche i villaggi di Villa Aragona e Sant’Angelo, abitati prevalentemente da profughi albanesi e dagli ebrei (marrani) sfuggiti agli editti di espulsione del 1492 e del 1510. La diocesi di Catanzaro  era  suffraganea  della metropolìa di Reggio Calabria e comprendeva  8 foranìe, 6 istituti religiosi maschili, 2 monasteri domenicani femminili, 3 conventi delle Clarisse (di Santa Chiara, della Stella e delle Convertite o  “pentite” della  Maddalena) e un numero esorbitante di associazioni e confraternite. In base al trattato di Barcellona del 1529 tra papa Clemente VII e l’imperatore Carlo V, delle 24 diocesi calabresi erano di presentazione regia gli ordinari di Tropea, Cassano, Reggio e Crotone, mentre gli altri vescovi erano di esclusiva nomina pontificia. A Catanzaro, a Simeri, a Cropani, a Belcastro e a Santa Severina erano ancora attive nelle “judeche” alcune comunità ebraiche  -   col ruolo di “banchieri” (a usura) a sostegno della non florida economia locale  -   fortemente caratterizzate da un’ aspra conflittualità con la maggioranza cattolica della popolazione, specie durante la settimana santa, quando solevano “cagionare molti inconvenienti”, in associazione col risus paschalis. Infatti, durante la liturgia pasquale, il prete si trasformava nella sua antitesi comica del giullare plebeo, per suscitare la grassa ilarità dei fedeli, con buffonesche sconcezze, mimiche e verbali, soprattutto a sfondo sessuale. Si trattava, verosimilmente, della stratificazione folklorica di un antico rito pagano come la festa dei folli di ascendenza naturalistica, costantemente condannato nelle disposizioni “colte” dei sinodi calabresi dei secoli XVI e XVII.    
Nell’Archivio Generale Agostiniano di Roma (A.G.A., Cc 13, f.153) è custodita la lettera del 27.3.1659 del vescovo Visconti di Catanzaro con la quale invitava il vicario foraneo di Simeri  a eliminare con adeguato zelo il fanatismo religioso e la credulità popolare durante la rappresentazione della passione di Cristo della Settimana Santa, quando “drappelli di giovani vestiti da soldati romani e cortei di giudei, con la loro mimica suscitavano risi e lazzi più che devozione”-  In altre lettere (f.225) lo stesso prelato (di provenienza milanese) scriveva al confratello vicario di Taverna: “Viviamo in modo che le chiese sono fatti postriboli e lupanari, non vergognandosi di tenervi letti e donne impudiche con molta offesa  del Creatore […] L’immunità stessa ci fa più insolenti perciocché ivi, armati e dalla porta o poco longi dalla chiesa, oprano molti scandali e necessitano li nemici a star lontano [..] giochi, bagordi, crapule, cantilene oscene”. Infine, alla Congregazione dei Vescovi comunicava, in ossequio alle disposizioni tridentine: “Non vi è casa che non habbi clerico, non vi è clerico che non habbi donatione, non vi è donatione che non sia finta, non vi è fintione che non generi travagli con i regij, con la communità e con i parenti vedendo il tutto dovuto al clerico”. (Cfr,” Un milanese nella Calabria vicereale”, a cura di Donatella Gagliardi).
Dall’ “Epistolario Ufficiale del governatore Cenami” e dal “Cunto del Real Thesoriero di Calabria Ultra apprendiamo che il sistema difensivo calabrese contro le nuove ondate delle incursioni piratesche  turche, dopo l’effimera vittoria di Lepanto del 1571, era così strutturato: 339 torri di guardia costiera (49 torri di avvistamento e di presidio  in Calabria Ultra, di cui 18 dall’Alli al Neto),  castelli “marittimi” ,  provvisti di adeguata artiglieria, affiancati dalla compagnia spagnola della piazzaforte di Crotone e dalle compagnie di cavalleria della milizia di Papanice, Stalettì e Catanzaro, acquartierate a 4 miglia dalla costa di Simeri e di Cropani e sul Tacina. Nella sola marina di Catanzaro insistevano, sin dal tempo dei viceré Pedro de Toledo e Pedro de Ribera, una torre angioina, la daziaria e due cavallare, di cui una a La Petrizia.
                                        

                                                           Incursione saracena
Le comunità locali erano oberate da un’infinità di pesantissimi balzelli, che servivano a sostenere lo sforzo bellico spagnolo e l’opulenza dei nobili e delle mense vescovili: i contadini erano piegati all’asservimento del villanaggio o costretti ad abbandonare i casali, per sfuggire alle vessazioni  del sistema feudale, come la decima, la fida,gli angari e parangari, il diritto di piazza e di caricatura, i diritti proibitivi (jus proibendi mulini, trappeti e  acque pubbliche) e particolari, come quello relativo alle chiese collegiate, sulle quali il patrono vantava il diritto della provvista ecclesiastica. Così a Cropani, a Simeri, a Squillace e all’Isola.
Il Governatore si scontrò subito col Preside della Regia Udienza  e con la cupidigia dei funzionari regi, dei collatori ecclesiastici e baronali (con i Ravaschieri  di Simeri, Cropani e Satriano, con i Sersale di Belcastro , i Borgia di Squillace, i Ruffo della contea di S. Severina, i Cicala di Gimigliano e Tiriolo, tutti titolari della giurisdizione penale del mero e misto imperio), ma soprattutto con l’ignoranza dei monaci e del clero secolare e con la corruzione nei tribunali locali, laici e religiosi, competenti anche sui  benefici e sui regi patronati.   
Dalle ispezioni delle visite triennali dei vescovi (imposte dal Concilio di Trento) emerge  che diversi parroci sottoscrivevano gli atti col semplice segno di croce, altri non sapevano celebrare messa e non avevano cognizione dei libri parrocchiali, oltre a trascurare la custodia degli arredi e dei paramenti e a eludere l’obbligo della residenza, preferendo vivere in luoghi più salubri e più comodi.  Perduravano abusi e immoralità, mentre diverse chiese andavano in lenta rovina a causa dell’usura del tempo e dell’incuria generale.  “Il numero dei chierici continuava ad essere pletorico. Solo poco più di un terzo, però, erano ordinati in sacris. Tra gli altri ..[…] i diaconi o chierici selvaggi  e i chierici coniugati […] godevano della esenzione delle tasse e non erano soggetti al foro civile”, ha confermato recentemente mons. Antonio Cantisani, in “ Vescovi a Catanzaro (1582-1686)”. Alle stesse conclusioni era giunto anche Augusto  Placanica (“Storia della Calabria”) trattando del clero postridentino regionale: “chierici corrotti, duellanti,protettori di banditi o banditi essi stessi […]nonostante le condanne dei sinodi diocesani e dei concili provinciali. I chierici selvaggi, per lo più di provenienza aristocratica, erano esenti da imposte e gabelle, violenti,perturbatori dell’ordine pubblico […] rappresentavano il 64% del clero secolare.” Secondo i dati della Relationes 205 del 1636 di mons. Caputo (Arch. Seg. Vat, Congr. del Concilio), a fronte di una popolazione di 29.416 abitanti della diocesi di Catanzaro, il clero secolare era costituito da  933 unità (3,1%), di cui 369 sacerdoti (1,2%) e 564 chierici (1,9%).
Padre Giovanni Fiore (“Calabria Illustrata”, 1691), però, racconta anche di ecclesiastici di santa vita, dotati  di una solida spiritualità penitenziale, come fra’ Girolamo di Albi, fra’ Lorenzo di Cutro, fra’ Bonaventura dell’Isola, frat’Antonio di Magisano, fra’ Bonaventura di Zagarise, fra’ Bernardo de Cumis di Catanzaro, frat’Antonio Piccoli di Squillace, diversi monaci dell’ordine francescano del beato Paolo D’Ambrosio di Cropani e soprattutto il profetico fra’ Silvestro di San Pietro di Taverna, “arricchito di gran lume per conoscere le cose occulte”.  Dimorò nel convento dei cappuccini di Simeri per oltre 25 anni e , “singolarissimo nell’umiltà” e nella perpetua vita quaresimale, si faceva chiamare col nome del bandito Scarcella, mentre “quelli di Simmari portavano opinione che per la sua sola santità Iddio conferiva loro ogni bene”. Un giorno, il duca di Girifalco inviò un suo delegato, “ con mediocre comitiva di gente armata, per consultare con Fra’ Silvestro cose di premura, ma quei della Terra, rapportando fossero venuti per portarsi l’uomo di Dio, corsero a folla in convento” , costringendo il messo a tornarsene indietro.
 Dalle “Visite” scopriamo anche che, il basso clero e gli ordini religiosi mendicanti vivevano in povertà, nel rispetto delle costituzioni francescane, che prevedevano la “cerca” da parte degli oblati con la bisaccia e il somarello,  per la sussistenza dei frati e per sfamare i poveri nel bisogno e in tempo di carestia. Incredibilmente anche nel campo dell’oblazione monacale si registravano abusi e nefandezze varie da parte di vagabondi e mestieranti travestiti da quaestores elemosinarum o da eremiti, che giravano per le campagne e i paesi imbonendo le persone semplici  con racconti mirabolanti a fini estortivi, per poi vendere la mercanzia a privati e agli stessi ospedaletti di mendicità.  Sempre nell’Epistolario del Cenami, alla data dell’8 novembre 1623 è riportata la cronaca dell’aspro conflitto tra il principe Ettore Ravaschieri, feudatario di Simeri, e il vescovo di Catanzaro Fabrizio Caracciolo, a causa del diritto particolare dell’ “utile signore” sulla chiesa di giuspatronato di Santa Maria dell’Itria, elevata a insigne collegiata, con bolla da Firenze del 15.9.1440 di papa Eugenio IV, al tempo di Roberto d’Angiò. Dal “Regesto Vaticano per la Calabria” di p. F. Russo, dalla Relazione ad Limina del 1592 di mons. Nicolò Orazi e dall’Archivio della R. Giurisdizione (vol. 2,n.91, a.109) risultava certo ed attuale il diritto ereditario del feudatario di Simeri di “presentare canonici e altri beneficiati semplici”, conformemente alla bolla papale, che ne riconosceva la “facultas presentandi”, in diretta associazione col diritto di patronato. Si trattava di un diritto onorifico, oneroso e utile del feudatario,il quale doveva garantire la funzionalità dell’edificio religioso e il sostentamento dei beneficiati (una sorta di compenso agli uffici dell’arciprete, del cantore, del tesoriere e degli altri 8 canonicati semplici). Non trattandosi di giuspatronato popolare, non necessitava dell’approvazione del vescovo. Il Vicario Generale del presule di Reggio (Annibale D’Affitto) si recò a Simeri “per eseguire la commissione del vescovo di Catanzaro (collatore ordinario jure primaevo et naturali), il quale anch’egli fu là standogli intorno gran numero di chierici di questa diocesi, armati di tutte le armi […] Successe un gran tumulto per l’arresto del capitano Tuxo di Cropani”, che parteggiava per la gente del luogo e sosteneva il principio della soggezione degli ecclesiastici all’ordinamento statale. Inoltre, secondo tradizione, l’attore era tenuto a seguire il foro del reo, per cui “contra laici non giudici ecclesiastici”!  Mons. Caracciolo rappresentò, con scarso successo, la controversia alla Gran Corte della Vicaria di Napoli e al papa Urbano VIII, sostenendo che il Preside Giovanni Eques, protetto dal cardinale  spagnolo Antonio Zapata Cineros, non rispettava le prerogative e le immunità ecclesiastiche. Nel contempo il vescovo di Belcastro apriva un altro contenzioso con la mensa vescovile di Catanzaro e col barone Cesare Marincola per il pagamento di alcune decime, in particolare quella sulle terre di Magliacane e del Marchesato, considerati veri e propri “granai di frumento”. Intanto i baroni e il clero, piccoli re e tiranni, con i loro privilegi e la sete di ricchezza, alimentavano la rabbia e il crescente malcontento popolare, che sovente sfociava in episodi di vero e proprio brigantaggio. Sulla costa, pastori, contadini, mendichi e prostitute aspettavano l’arrivo delle galee corsare per imbarcarsi come rinnegati o odalische nel Magrheb, e finivano per popolare interi quartieri in Barberia, a Tunisi e a Tripoli.
“All’armi, all’armi, ‘a campana sona!                                                                                                               Li Turchi su’ sbarcati alla marina.                                                                                                                          Si teni  scarpi vecchi, ti li soli,                                                                                                                   c’avimu ‘e fara nu lungu caminu.                                                                                                                    ’U patruna vena sempra de luntanu,                                                                                                        quannu sona ‘a campana e a genta  sinde cala alla marina!”
 Emblematiche sono le storie di Uccialì dell’Isola  e di Bassà Cicala, che per Luigi  Settembrini fu  colui che “fece nascere e fu occasione della congiura, alla quale presero parte alcuni Vescovi, alcuni baroni, molti ecclesiastici e molti banditi e se aveva un capo non fu il Campanella”, il cui sublime ardimento “parve follia”.  A dispetto anche dei molti tradimenti, come quello del capitano di Taverna Pompeo Mazza (a.1634) e dell’altro capitano Carlo Barracco, che, alleato con i Turchi,  a Capocolonna  taglieggiava civili, militari ed ecclesiastici.                                                                           Era  il tempo della guerra dei trent’anni (1618-48), dei processi  del Sant’Ufficio contro Tommaso  Campanella  “et alios fratres ordinis praedicatorum””, dei briganti Bruno Martino e Marco Berardi ( Re Marcore), della rivolta napoletana di Tommaso Aniello contro le gabelle  e dei tumulti antifeudali e antispagnoli in tutto il Regno.  Emuli calabresi di Masaniello furono il Cassanese Briola, il medico Cosimo Granito, Padre Camillo di Cerchiara,  il marinaio di Parghelia  Leonardo Drago e Carlo Pisano di Simeri, aiutante del Preside della Provincia: la cronaca di quegli avvenimenti ci è stata tramandata solo  dai resoconti di parte spagnola, in particolare dalle “Memorie Historiche della Città di Catanzaro” di Vincenzo D’Amato e dal “Diario contenente la storia delle cose avvenute nel Regno di Napoli negli anni 1647-53” di Francesco Capocelatro.                                
Castello Simeri, restauro 2015                                                                                      
 “Non vi fu luogo della Calabria, che con chimere fantastiche non sognasse di governarsi da Repubblica con proprie leggi […] Terminarono in fine le sciagure del Regno con l’arrivo di D. Giovanni d’Austria in Napoli, che domate le forze del Popolaccio, lo rimesse in obbedienza, rimanendo prigione il duca  di Ghisa, arrestato, mentre fuggiva e mandato in Spagna. […] Alcuni capi di quella gente vilissima, che ardì di muoversi in tempo che tutta la città di Catanzaro stava quieta, castigati con l’ultimo supplizio. […] La peste a Napoli del 1656 […] Una squadra di galere africana, condotta da un rinnegato della Terra, sbarcarono a Stallatì di notte, predaro le case senza fare schiavi perché gli abitanti si salvorno con la fuga. La Terra fu incendiata, le Chiese strapazzate con indecoro ..] e con essa Montauro e Gasperina villaggi […] A Catanzaro accorse Achille Minutolo cavaliero napolitano Preside della Provincia con quattrocento cavalli”, racconta sempre il D’Amato. Il quale riferisce che il Sindaco e gli Eletti di Catanzaro inviarono il signor Agazio di Somma da D. Iuan de Arcos per rappresentare “la voglia ardentissima della città d’impegnarsi sempre al servigio della Corona”, ricevendo la rassicurazione di “toda satisfacion, esperando lo continuereis siempre en observancia de vuestra antigua y incorruptible fielidad”.                 Giovanni D’Austria poteva dirsi più che soddisfatto dell’opera del principe Fabrizio Pignatelli, nominato Vicario Generale delle Calabrie, col compito di spegnere con le armi  gli ultimi focolai della rivolta plebea e contadina. Falliva la rivolta dei “lazzari” libertari e visionari inconsapevoli   -   declassata da B. Croce a moto plebeo “senza bussola e senza freno, senza capo né coda”  -   e veniva confermata la fedeltà alla corona spagnola.
Intanto a mons. Caracciolo era subentrato nell’amministrazione della diocesi catanzarese Fra’ Luca Castellini dei padri predicatori, seguito da mons.  Consalvo Caputo e poi, dal 1646 al 1656, dall’esperto latinista mons. Fabio Olivadesio. Così nella cronotassi  Cantisani.  Alla morte di mons. Sirleto, ad aprile del 1635, la cattedra vacante di Squillace fu assegnata a mons. Giuseppe della Corgna; a Santa Severina s’insediava mons. Niceforo Melisseno Comneno, seguito da Juan Pastor e da Girolamo Carafa, mentre la sede di Belcastro veniva occupata da Antonio Ricciulli e poi da Filippo Crino, Bartolomeo Gessi, Francesco Clerico e Carlo Sgombrino.
Dal minuzioso lavoro di mons. Cantisani apprendiamo che alla morte del vescovo Consalvo, il Capitolo e il clero catanzarese supplicarono il pontefice perché scegliesse un pastore che si distinguesse per “pietà e amabilità”. A maggio del 1648,però, l’arcidiacono e i canonici della cattedrale di Catanzaro indirizzavano al papa una circostanziata denuncia di simonia contro il vescovo Olivadesio, il quale, per 50 ducati,  aveva assolto un assassino (di un monaco francescano) che aveva anche  “estratto” dalla chiesa di Sant’Agostino tale Cesare Ligudi di Simeri, in aperta violazione dell’antico diritto d’asilo. La Congregazione dei Vescovi sospese l’Olivadesio, sospettato  anche di relazione particolare col suo confessore, p. Giovanni Battista da Squillace, ministro dei Frati Riformati . La sua morte nel 1656 fu intesa come una liberazione, secondo l’opinione di Cesare Mulè (Una storia di Catanzaro); gli succedeva il milanese  Filippo Visconti, seguito nel 1664 dal poeta marinista petrarcheggiante Agazio di Somma, il quale  -  secondo la ricostruzione di Francesco Russo  -  aveva dovuto per tempo ottenere la dispensa a ricevere gli ordini sacri, essendosi macchiato di omicidio, in gioventù. Fedelissimo alla corona spagnola già come “messo cittadino”, è ricordato soprattutto per la sua copiosa produzione letteraria, in particolare per il poema “Dell’America, canti cinque”, per “L’arte del vivere felice” e per  l’ “Historico racconto dei tremoti della Calabria dell’anno 1638 fino all’anno 1641”, oltre che per un “Discorso sull’origine dell’anno santo” (chiaro esempio d’inculturazione delle fede, con riferimento al centesimus annus degli antichi e alla derivazione del Natale dalla festa del Sol Invictus o solstizio d’inverno).
“Per entrambe le Provincie si sollevarono dalle ruine densissime polverose caligini: per tutto lo ..............

mercoledì 24 agosto 2016

Sellia: Bilancio positivo da parte del sindaco Davide Zicchinella che illustra i tanti servizi attuati nel piccolo borgo Presilano.


Negli ultimi due anni a Sellia abbiamo lavorato come Amministrazione Comunale per elevare qualità e numero di servizi offerti ai cittadini. Siamo partiti con l'accordo di programma con la società 2Giga alla quale abbiamo dato in uso la nostra rete WI Fi comunale e così dopo aver garantito per 5 anni internet gratis oggi offriamo ai cittadini di Sellia una rete molto performante (la migliore della Presila) a soli 7 euro mensili. Abbiamo continuato aprendo (il più piccolo fra i comuni della Calabria dove esiste analogo servizio) un Centro Prelievi convenzionato con la ASP di Catanzaro per garantire sul posto ed anche a domicilio l'esecuzione di essenziali esami ematochimici. Nel mese di luglio abbiamo attivato un sistema di raccolta differenziata spinta per riprenderci il primato regionale della differenziata che abbiamo avuto per ben 2 anni (2009-2010) e abbassare, a partire dal prossimo anno, la TARI. Nei giorni scorsi abbiamo ultimato la sostituzione di tutti i corpi illuminanti del paese con LED (Sellia è il primo comune FULL LED della Calabria), ammodernato una rete vetusta che dava sempre problemi e in prospettiva otterremo una fortissima riduzione dei costi anche grazie alla messa in rete di due impianti fotovoltaici. Tali impianti che a regime produrranno 56 kwh, sono ubicati sui tetti dalla ex scuola elementare e della palestra permettendoci di realizzare uno scambio sul posto con l'Enel che anche per questo motivo si è finalmente decisa ad ammodernare la rete di distribuzione nella parte bassa del paese che tanti problemi ha creato. Inoltre a Settembre, come da 5 anni a questa parte, riprenderemo il....................

domenica 31 maggio 2015

" Sutta u mantu da Madonna " Riproposizione per l'ultimo giorno del mese di maggio dedicato alla Madonna del racconto inedito ambientato nell'antico borgo di Sellia






Abbiamo avuto modo di raccontare del  forte attaccamento, del  smisurato amore che il popolo Selliese da sempre porta verso la Madonna, il quale nell’antico borgo durante i vari secoli si è espresso con le chiese dedicate all’Immacolata del S.S. Rosario alla Madonna della Neve e del convento della Madonna delle Grazie. Il racconto che andrò a narrarvi è  successo nel secolo scorso proprio nel mese di Maggio mese dedicato alla Madonna. In  quei tempi le processioni erano due una la prima domenica di maggio l’altra ultimo giorno del mese la quale si svolgeva di sera con una bella fiaccolata. Il nuovo Arciprete era da poco arrivato a Sellia conoscendo ben poco delle tante tradizioni che organizzavano soprattutto le due congreghe. Dopo la Messa la processione tardava causa un forte vento che ne impediva la partenza. I tantissimi bambini erano già pronti su due file i maschietti da un lato le femminucce dall’altro. Erano veramente tanti; tra di loro vi era una minuscola bambina che causa la malaria (malattia molto comune all’epoca) piano piano la stava spegnendo. Aveva quasi sempre la febbre è quella sera bruciava ancora di più. Dopo un bel po’ che si aspettava che il vento diminuisse il suo impeto, l’Arciprete rivolgendosi ai tantissimi fedeli disse che la processione per quell’anno non si sarebbe svolta,  ormai passate le 9 di sera ne tantomeno si poteva rimandare al giorno dopo perche non avrebbe avuto più senso. I tantissimi fedeli presenti mugugnarono un bel po’ invitando il giovane prete di aspettare ancora un po’ Verso le 10 di sera il vento sembrava un po’ meno violento la processione stava per partire ma il giovane prete avendo notato le precarie condizioni di salute della piccola con la malaria invito la madre di portarla subito a casa, la madre quasi offesa con un gesto di stizza si mise “U Maccaturu” nero in testa (segno dei vari lutti) girandosi di  spalle si allontanò lasciando la piccoletta al suo posto in fila, il giovane prete stava per reagire quando il priore avvicinandosi le disse all’orecchio:  “Arciprè sta battella forsi nun arriva mancu a domana, lassatila ma si fa sa prucessiona, u viditi puru vui comu è tutta cuntenta ma sta vicina a ra Madonna” il giovane prete ancora un po’ contrariato ma vedendo come la piccola ci teneva a farsi la processione fece partire il  lungo corteo, le tantissime luminarie facevano brillare il volto della Madonna, il vento anche se molto diminuito  si faceva spesso sentire con delle volate furiose, in una di questa il bellissimo manto della Madonna si staccò volteggiando nel cielo stellato, tutti l’osservavano preoccupati con il serio rischio che poteva finire nel burrone, invece con una traiettoria quasi pilotata si depose sulla piccola bambina malata coprendola tutta. In molti accorsero verso la piccola ma nessuno osava sollevare il manto quasi come se avessero paura  per le sorti della piccola. L’arciprete con cura lo sollevo. Fine prima parte 

A seguire la seconda parte del racconto trascritto in esclusiva da Sellia racconta


lunedì 22 dicembre 2014

A strina de Natala! Canzone popolare che unisce tutta la Calabria si cantava,si canta dal Pollino sino all'Aspromonte

"A strina": canzone popolare che unisce tutta la Calabria si cantava,si canta dal Pollino sino all'Aspromonte ,certo cambiando qualche parola ,qualche strofa il fiume tacina diventa un fiume cosentino ecc...ma il valore ,il significato rimane sempre lo stesso .Si cantava di buon augurio ai sposi novelli,ai cumpari "caru cumpari ca simu venuti ".rigorosamenti si iniziava a cantarla dopo la mezzanotte della vigilia,per terminare alla mezzanotte della befana .Per cantarla bene ci vuole un bravo solista ed un nutrito coro accompagnato da una fisarmonica .Guai ad aprire la porta prima che l'intera "strina" non fosse finita! ma sopratutto guai a far finta di non esserci o di non aver sentito..
a seguire la seconda parte della "Strina"

venerdì 6 dicembre 2013

Oggi San Nicola protettore di Sellia riproponiamo il racconto dal titolo: Il miracoloso intervento del nostro amato protettore San Nicola nel salvare gli abitanti di Sellia dal rovinoso alluvione del 1943

  1943/2013 sono passati 70anni da quando il borgo di Sellia perse tanti reperti del suo glorioso passato. 
Per la festa del Santo patrono riproponiamo il suggestivo racconto del suo miracoloso intervento verso la popolazione Selliese
Pioveva da una settimana la mattina ti alzavi che pioveva ti coricavi ed ancora pioveva per poi iniziare di nuovo
Non si poteva svolgere nessun lavoro nei campi, la terra era inzuppata ,usciva acqua da tutte le parti. Il centro storico(già fortemente provato dai vari cataclismi) iniziò a franare. Una grossa frana stava lesionando sempre più le case rendendole di fatto pericolose anche se molte persone continuavano ad abitarci perché non sapevano proprio dove andare. Passavano i giorni ma pioveva sempre, così si decise di portare fuori in processione la statua di San Nicola ,in Chiesa si radunò quasi l’intera popolazione ed in processione sotto una pioggia sempre insistente girarono tutto il paese ma non smise di piovere anzi a tratti sembrava che l’acqua “a jettavanu a cati cati” ormai il corteo era arrivato in piazza la Statua di San Nicola riparata con un tetto di tavole fatto per l’occasione era anch’esso inzuppato , proprio all’entrata della chiesa si decise di fare un canto in onore del Santo molti ancora speravano che spiovesse altri rassegnati dicevano” puru santu Nicola nabbannunau”. Cantavano, cantavano tutti incuranti, di essere zuppi d’acqua sino al midollo; mentre giravano la statua per farla entrare ecco che un timido raggio di sole uscì tra le nuvole dopo un po’ smise di piovere tutti gridarono al miracolo intonando lodi e preghiere, si porto il tavolo per far adagiare la statua fuori e così rimase per l’intera giornata. Non pioveva più roba da non credere scendeva una foschia sul borgo ma non pioveva più, neppure una goccia, le case erano state duramente colpite molte presentavano visibilmente delle crepe ai muri nelle quali  ci potevi infilare una mano altre iniziavano con i primi cedimenti di tegole o intonachi , la paura era tanta sembrava che tutte le case del paese alla fine sarebbero franate, alcune case scivolarono “sutta u castellu” . Una donna molto devota, e molto stimate del paese aveva avuto un sogno dove vide chiaramente  San Nicola mentre teneva con una mano Sant'angelo e con l'altra Ruscia,avvisandola che molte case sarebbero cadute ma nessuno neanche un animale sarebbe morto. Raccontò tutto all'arciprete il quale conoscendola per la  sua forte fede decise di rendere pubblico il sogno, durante l'omelia Domenicale molti non credettero al sogno disperati,scoraggiati che tutto il paese sarebbe destinato a franare,addirittura il priore dalla congrega dell'Immacolata  propose di spostare le varie statue,paramenti sacri ecc..  costodite nelle due Chiese portandole in qualche posto più sicuro perché temevano che anche le Chiese potessero franare. Si viveva nel terrore, nella paura che ....

sabato 30 marzo 2013

La storia della Cunfrunta antichissimo rituale molto sentito dai Selliesi che puntualmente ogni anno commuove tutti i partecipanti



A Cunfrunta appuntamento molto sentito da parte dei Selliesi, durante i vari secoli mai si è rinunciato a questo momento, neanche in quelli più bui di guerre o carestie,anzi anticamente venivano svolte due cufrunte, la sera alla Chiesa del Rosario, il giorno di Pasqua alla Chiesa di San Nicola, successivamente  le due confraternite fecero un accordo:" a Mmaculata" usciva dalla Chiesa di San Nicola  “u Signura Risortu” da quella del Rosario (o viceversa) per incontrasi per la cufrunta vicino l’ex bar di Giginu ,Durante il periodo pasquale le due congreghe “I Rosarianti” e I Mmaculatisi davano sfoggio a chi parava meglio la chiesa, la sana competizione, la rivalità,il segno di appartenenza ad una o all’altra diveniva in questo periodo più marcato. Pensate tutte le funzioni venivano ripetute due volte una alla chiesa del Rosario poi all’Immacolta; anche la Gloria “Sparava” il sabato santo al Rosario e la domenica alla chiesa dell’Immacolta, ma c’era una funzione (L’unica funzione che riuniva le due congreghe) ed era “A Cunfrunta” la quale si svolgeva di giorno dopo la Santa Messa di Pasqua,  la statua del Gesù Risorto usciva dalla chiesa dell’Immacolata mentre la statua della Madonna del Rosario usciva dalla chiesa omonima, le due distinte processioni si univano vicino l’ex bar di “Gigino” dove i due priori delle congreghe si scambiavano gli auguri, dopo i spari di alcuni mortaretti iniziava la “cunfrunta” con la Madonna del Rosario che al terzo incontro con Gesù Risorto  gli cadeva il manto nero con sotto il bellissimo manto rosso di festa. La processione continuava  con la Madonna che entrava nella chiesa dell’Immacolata ( era l’unica occasione che la statua della Madonna del Rosario entrava nella chiesa Madre)
Ovviamente l’anno successivo si cambiava; la Messa si celebrava nella chiesa dell’Immacolata con la statua dell’Immacolata   mentre la statua di Gesù Risorto usciva da quella del Rosario.
ma la forte rivalità che veniva accentuata in ogni manifestazione religiosa tra le due confraternite ( Si sentiva molto, l’appartenenza ,l’essere o Mmaculatisi o Rosarianti ) riportò tutto come prima. In epoca più recente la statua della Madonna veniva posizionata

venerdì 29 marzo 2013

A Naca Origini,tradizioni di un antichissimo rito che si rinnova ogni anno durante la processione del venerdi Santo



A Naca:  annacara= cullare Infatti questa parola dialettale diffusa sopratutto nel catanzarese deriva dal greco che significa appunto culla. Questo antichissimi rito trae radici nel periodo della dominazione spagnola, ma sicuramente si rifà alle sacre rappresentazioni medioevali. Dopo il Concilio di Trento, infatti fu vietato tenere queste rappresentazioni nelle Chiese, per questo motivo i membri delle varie confraternite, portarono tra le strade e le piazze delle proprie città, queste manifestazioni di fede, arricchendole di segni e simboli nuovi. Certamente questa tradizione anche dopo molti secoli, si è mantenuta viva più o meno nei vari paesi del catanzarese sopratutto nella città capoluogo dove  la Naca, è la processione che più di ogni altra, viene seguita dai cittadini. Molti però pur seguendola con passione e fede, conoscono poco la storia, i significati ed i simboli che la caratterizzano. Partendo proprio dal significato, quindi dal termine dialettale Naca, che come abbiamo visto deriva dall'etimologia della parola viene dal greco e significa Culla, in pratica la portantina dove Gesù è deposto. La Naca è ornata di damasco raso e seta, di fiori, lumi ed angioletti di cartapesta, uno dei quali porta i simboli della Passione: il calice, i chiodi ed il martello. Questa veniva portata a spalla dai rappresentati delle varie confraternite dove durante la processione il corpo esanime del Cristo veniva come cullato come se dormisse in attesa del suo risveglio. A Sellia anticamente erano ben due le processioni del venerdi santo organizzato minuziosamente dalle due congreghe del Rosario e dell'Immacolata. la lunga processione aveva una sua meticolosa composizione con i vari gonfaloni ai due lati i bambini con i lumini mentre nel centro una rappresentazione della passione di Gesù con la pesante croce la corona di spina al capo di un figurante  ai lati i soldati romani mentre i tamburi echeggiavano malinconicamente il passaggio del corteo; subito dopo le statue  dell'Ecce Homo ( HacciOmu)  quella triste di Gesù crocifisso Poi la pesante  Naca mentre per ultima la suggestiva statua

domenica 24 marzo 2013

"A Parma" della Domenica delle Palme. Ricordi, rievocazioni dei tempi che furono

A Parma  ( da non confondere con la città  dell'Emilia Romagna ) nel nostro dialetto è la Palma che si porta a benedire la domenica delle Palme Sino a non molti anni fa era solo è rigorosamente di ulivo tra gli anziani si faceva quasi a gara per chi riusciva a portarla più alta più rigogliosa esponendola a mo di vanto, mentre noi bambini ne avevamo un bel rametto con delle caramelle appese e qualche piccolo cioccolatino. Vi era una forte è sentita devozione verso questa festa dove la chiesa si riempiva sino alle due navate. Una volta benedette a Parma grande essa veniva divisa in tante Parme" una piccolina veniva sistemata dietro la porta d'ingresso di ogni abitazione mentre i rami più alti venivano portate nei vari terreni come augurio, l'auspicio di un annata abbondate delle olive affinché "a carrica" poteva divenire veramente fruttuosa, un desiderio che era poi di tutti perché l'economia di Sellia si basava principalmente con l'oro giallo dell'olivo extra vergine molto prelibato e  rinomato . Le vecchie "Parme" venivano raccolte per essere poi bruciate e la loro cenere veniva poi sparsa vicino le piante d'ulivo più rigogliose. Oggi invece "a parma" d'ulivo è stata quasi soppiantata da quella delle originali palme finemente lavorate ma piccole sempre più piccole come se quasi si prova vergogna a volerla esibirla, sventolarla come una

martedì 19 marzo 2013

A conicella di San Giuseppe da " Cona du Casu " Riproposizione dei più bei racconti

 San Giuseppe
Oggi festa di San Giuseppe, festa del papà una volta era un giorno segnato di rosso sul calendario solennamente festeggiato dalla chiesa  ripropongo questo particolare racconto sulla statua di San Giuseppe callocata nella "cona du casu"
Dopo i vari cataclismi che avevano sconvolto il territorio di Sellia  con l’ultimo devastante alluvione del 1943 delle 5 chiese più il convento rimanevano solo quella del Rosario e  di San Nicola (Immacolata) Soprattutto la chiesa Madre si era riempita delle varie statue che si erano salvate durante queste terribili calamità ( nel  spaventoso terremoto del  1793 ben due chiese furono completamente distrutte). Erano talmente tante le varie statue, alcune anche doppie, che diveniva sempre più difficile anche camminare all’interno della chiesa stessa, soprattutto quando c’èrano funzioni religiosi importanti che richiamavano tutta la popolazione. Un giorno l’arciprete prese una decisione drastica la mattina presto dopo la consueta messa dell’aurora che richiamava sempre moltissima gente, (quasi tutti infatti prima di iniziare i propri lavori nei campi o nelle bottega si recavano a messa.) Chiamo il sacrestano e gli ordinò  di portare fuori tutte le statue che erano dei doppioni oppure dei busti di santi malconci che necessitavano di restauro, ma visto il periodo di scarsità di fondi difficilmente sarebbero state restaurate. Così suo malgrado il povero sacrestano iniziò nel portare fuori alcune statue di santi, intantto l’arciprete aveva preso una grossa "gaccia" scure iniziando l’opera di demolizione riducendole a pezzettini sotto lo sguardo incredulo dei  passanti che non capivano bene cosa stesse facendo, e poi anche se l’avrebbero capito non avrebbero osato contraddire l’arciprete perché era forte il senso di rispetto. Dopo un po’ toccò alla statua malandata a mezzo busto di San Giuseppe non appena  tirò il primo colpo con la scure, una scheggia gli si conficcò nell’occhio, il dolore era tremendo, alcune persone  (anche se controvoglia per quello che aveva fatto) corsero ad aiutarlo riuscendo nel togliere la piccola scheggia che per un niente non aveva rischiato di farlo diventare cieco.Per fortuna questa scheggia lo fece ricredere di ciò che stava facendo, con le lacrime corse verso la statua di San Giuseppe inginocchiandosi iniziò a pregare e lodare il Signore. La statua fu restaurata e con una funzione solenne fu............

giovedì 7 marzo 2013

" U Pustellu " Ricordi, rievocazioni dei tempi che furono



U Pustellu

un marchio indelebile di un intera generazione. Oggi i bambini sin dai primi giorni di vita vengono sottoposti in continui vaccini ormai si ci vaccina per ogni cosa.  Quando eravamo piccoli noi quelli della generazione che ormai hanno superato da un bel po’ gli … anta se un compagno aveva la varicella ti  facevano stare vicino a lui cosi la prendevamo pure noi per farci rinforzare le difese immunitarie, evitando cosi di prenderla in età adulta. Oggi invece si ci vaccina su tutto sin da subito,appena nati! Con tanto di cartellino da timbrare man mano che il bimbo cresce. Per chi come me ha superato gli anta invece l’unico vaccino era “U Pustellu” che ti segnava nel vero senso della parola per tutta la vita. Mi ricordo quando mi fu fatta la seconda dose, tutti in fila all'aperto in piazza" Coppoletta" ( Io altruista come non mai) facevo di tutto per evitare il mio turno facendo passare avanti più bambini possibile. Entrando più nel fattore medico scientifico di questo vaccino veniva somministrato sino alla metà degli anni 70  fatto al braccio in due dosi, uno dopo nati l’altro verso il primo anno di scuola elementare. La seconda dose rimaneva in modo più visibile,  indelebile a forma di cerchio. Era la vaccinazione antivaiolosa, che non si eseguiva con una siringa, ma con una piccola scarificazione sulla cute,un graffio che si faceva con una specie di pennino. Questa vaccinazione  è stata eliminata dal programma del sistema sanitario nazionale, in quanto l'agente patogeno è stato debellato in modo definitivo nel 1977
 Oggi ci si vanta tanto dei tatuaggi che vanno molto di moda  Noi possiamo essere fieri di

sabato 8 dicembre 2012

A Lenza dà Mmaculta (riproposizioni di racconti già inseriti )






La Chiesa possedeva diverse terre, frutto di molte donazioni ;addirittura nel  comune di  Sersale possedeva un grande castagneto dato per una grazia ricevuta, a Marina di Sellia ettari ed ettari di terreni dove si seminava il grano,dopo trasformati in uliveti e pescheti. Nel paese erano tanti l’appezzamenti di terreni possedute dalla Chiesa dove l’arciprete e il prete più giovani curavano o davano in fitto Infatti la mattina presto dopo la prima messa dell’alba, il prete si metteva la zappa sulle spalle per andare ai vari terreni .C’era un terreno in particolare che veniva e viene chiamato “a lenza d’Ammaculata”il quale ogni anno “da carrica de l’olivi” veniva dato in fitto con un rito molto particolare.

Dopo la messa della Domenica l’ Arciprete usciva fuori e si sistemava dal lato sinistro sopra il garage della Chiesa .Il sacrestano portava una mezza candela e la sistemava sopra il parapetto, una volta accesa iniziavano le offerte che gli uomini interessati avendo già fatto visita al terreno .Avevano stimando più o meno quant’olio potevano ricavarne. Iniziava l’asta. “Io offro 50 litri” diceva Peppino, “io 70” ribatteva Gianni, e si continuava così sino a che la candela non si consumava; ma se durante le varie offerte ,anche durante la prima per un colpo di vento la candela si spegneva ,la raccolta veniva aggiudicata all’ultima offerta .Dunque le persone interessate, oltre ad iniziare con un offerta bassa, seguivano anche ogni piccolo movimento della fiammella della candela ,alzando subito la posta appena si accorgevano che un colpo di vento la stava spegnendo. Quest’usanza si

lunedì 3 dicembre 2012

L’antico borgo di Sellia durante il mese di dicembre …. Sellia si racconta



Sellia ...  si racconta
Il mese di dicembre il mese più suggestivo più magico dell’anno anche per il borgo di Sellia che non di rado proprio la sera del 24 faceva la sua timida comparsa la neve trasformandolo in un vero presepe. Tante  le solennità che iniziavano già dal 6 con la festa grandiosa del Santo patrono,  la via principale si adornava con tante luminarie, la chiesa veniva addobbata in maniera sontuosa;  durante la funzione una famiglia si proponeva a dare l’olio per accendere il lumino perpetuo ai piedi dell’altare dove di solito visto le numerose richieste si sceglieva quella che aveva un voto  per  una grazie ricevuta. Sino alla fine degli anni 40 quando Sellia Marina faceva unico comune con Sellia si faceva ad anni alterni perché erano tanti quelli della zona Marina che per l’occasione salivano al paese fortemente devoti verso la Statua di San Nicola. Ultimamente si preferiva festeggiare sia la festa del santo Patrono che dell’Immacolata in un unico giorno, ma una volta non si poteva neppure pensare tale ipotesi tanto era la fede, il culto che sia San Nicola che L’Immacolata ricoprivano verso la popolazione Selliese  che volevano sempre organizzare due bellissime feste. Il giorno dell’Immacolata per tradizione era anche il giorno in cui si poteva iniziare a fare il presepe che dal più piccolo al più grande non mancava in nessuna casa,albero di natale arriverà dopo  molto dopo. In seguito alla processione della Madonna si svolgeva un asta molto particolare dove veniva data alla migliore offerta la raccolta delle olive della “Lenza da Mmacculata” di questa particole asta ne abbiamo parlato QUI. Quanti sapori nelle vie del borgo per le festività natalizie tante prelibatezze tutte che per le festività Natalizie diventavano  rigorosamente uguali  dalla casa più nobile sino a quella più povera. Dopo la  Santa messa della vigilia tutti intorno al fuoco di Natale che “spissilliava” anche grazie ai vari piccoli “zucchi” che ogni bambino portava per far riscaldare il piccolo Gesù Bambino appena nato. Dopo iniziava “a Strina” che si poteva cantare sino alla notte dell’Epifania si sceglieva dettagliatamente la casa dove cantare preferendo per primi le coppie che si erano sposate da poco.
Durante il mese ...

martedì 27 novembre 2012

"Ccu a Cappa o senza?" Racconto del mese di novembre di Sellia si... racconta



Sino all’inizio del secolo scorso la morte era di casa in ogni abitazione, si moriva con una facilità incredibile, si moriva delle più svariate malattie che oggi fanno sorridere verso  le quali si  guarisce con un banale  antibiotico. La campana suonava quasi ogni giorno, la natura faceva una selezione minuziosa solo i più sani, i più forti riuscivano a sopravvivere. Le natalità erano altissime ma erano veramente tanti i bambini che morivano, la campanella piccola che suonava solo quando moriva un bambino suonava molto spesso. Le condizioni igieniche erano molto precari o proprio assenti.  Una banale influenza come la temuta malaria o il vaiolo  spesso portava alla morte di bambini e anziani soggetti più deboli. Gianni era un povero contadino del borgo di Sellia nella sua umile abitazione la morte aveva fatto visita più di una volta. Ultimamente il padre  che abitava con lui si era gravemente ammalato dopo un po’ mori, cosi Gianni si recò dall’arciprete per far celebrare la messa di compianto, anche se era molto povero ordino dei fiori, il parato a lutto e il corteo funebre con i chierichetti . L’arciprete alla fine le domandò con la Cappa o senza? Il povero Gianni non sapeva di cosa si trattava ma per non sembrare ignorante ma soprattutto per non far mancare niente all’ultimo saluto verso il caro padre disse senza pensarci due volte “ Ccu a Cappa… ccu a cappa” La funzione si svolse in un freddo pomeriggio d’inverno con le massime onorificenze che la chiesa poteva offrire luci, parato, chierichetti ecc… Il giorno dopo la Messa mattutina Gianni si recò in sacrestia per pagare con una lauta offerta i vari servigi offerti durante il funerale. Gianni lasciò cosi la sua offerta sul tavolo della Sacrestia sicuro che l’arciprete ne sarebbe rimasto più che contento ma invece mentre stava per uscire il sacerdote lo richiamo dicendogli:  “mancano i soldi per la cappa” Gianni rimase un po’ sorpreso era sicuro che i soldi sarebbero stati più che sufficienti per pagare tutto soldi racimolati con grandi sacrifici. Ma per non fare brutte figure non sapendo che cosa fosse questa benedetta “Cappa”in modo rassicurante rispose: “Nun vi preoccupati Arcipre….. i sordi ppè a Cappa vi portu domana” Cosi il povero Gianni fu costretto a racimolare altri soldi per saldare il debito. Dopo qualche anno mori la suocera di Gianni e come per la buonanima del padre si recò dall’arciprete per chiedere il massimo anche per la funzione della suocera; mentre stava per andare via l’arciprete le disse: Gianni ccu a Cappa o senza?”  subito lui ..