Siamo a Mileto nel 1940. E’ esattamente il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo apostoli. Quel giorno la futura Serva di Dio Natuzza Evolo nel ricevere la cresima dal vescovo della diocesi di Mileto, monsignor Paolo Albera, nella cappella privata del presule, nel momento in cui viene segnata con l’olio del crisma avverte un brivido gelido alla schiena ed è quasi sul punto di svenire. Una volta tornata a casa, pallida in volto, informa dell’accaduto la signora Alba Colloca, della cui famiglia era ospite. Quest’ultima, nel prestarle le prime cure insieme a un’altra ospite della casa, la signora Concetta, si accorge che sulla sua camicia è apparsa una croce di sangue. Le due donne quasi non credono ai loro occhi, anche se sono già state testimoni di altri fenomeni. Nei giorni seguenti le effusioni di sangue continuano, lasciando disegni di vario genere. La camicetta con la croce di sangue viene, nel frattempo, inviata all’allora vescovo monsignor Paolo Albera presso la curia vescovile. La gente del luogo, non appena si diffonde la notizia di quanto è accaduto, grida al miracolo. La notizia fa ben presto il giro di tutta la comunità e supera addirittura i confini regionali, tant’è che a Mileto, già tre giorni dopo, incominciano ad arrivare gli inviati di numerosi giornali con taccuino e macchine fotografiche al seguito. «In quei giorni – ebbe modo di confidarci nei primi anni Novanta la signora Caterina Valente, scomparsa da alcuni anni – non si parlava d’altro. Tutti avevano qualcosa da raccontare su Natuzza, sulle voci che sentiva e sui segni che erano comparsi sul suo corpo». In buona sostanza, un vociare continuo in ogni via della comunità miletese. A questo punto il vescovo Albera, preoccupato dalla piega degli eventi, informa il fondatore e magnifico rettore dell’università cattolica del Sacro Cuore Agostino Gemelli (18 gennaio 1878-15 luglio 1959) – lo stesso che aveva definito padre Pio «psicopatico e isterico», ma un’autorità assoluta negli ambienti cattolici di allora – riferendogli, con una missiva datata 8 luglio, quanto era successo nella sua diocesi il 29 giugno e che da allora Natuzza andava soggetta a «eruzioni cutanee sanguigne localizzate alla spalla sinistra a forma di cuore». E ancora che la stessa era soggetta a «forti dolori» e che per questa sua condizione si trovava «in uno stato di prostrazione». Il vescovo Albera scrive, inoltre, che Natuzza, come da diagnosi medica del dott. Naccari, medico condotto del paese, «si trova in ogni parte del corpo perfettamente sana» e che lo stesso medico che l’aveva in cura «non riusciva a spiegarsi “il fenomeno”». La risposta fornita da Gemelli al presule - ripresa dagli atti della Curia vescovile - è la seguente: «La relazione medica è stesa da persona incompetente, o che per lo meno, dimostra che ha proceduto con esame superficiale e animato da pregiudizi. Quanto agli altri documenti non apportano alcuna luce. La lettura di questi documenti mi suggerisce di osservare che a mio modo di vedere era opportuno non procedere agli interrogatori. Questo apparato di interrogazioni confermano nella mente del soggetto i propri fantasmi. La Evolo non è altro che una ammalata di isterismo. È questa però solo un’impressione. Non mi è possibile pronunciare un giudizio definitivo senza un esame accurato del soggetto in parola. Mi permetto sommessamente suggerire a Vostra Eccellenza che in questi casi conviene alla autorità ecclesiastica rimanere assolutamente estranea, per evitare di dare al malato l’impressione che le manifestazioni abbiano qualche importanza». Ma il fatto destinato a fare più rumore accade, però, nel mese successivo, in un giorno apparentemente come tanti: quel giorno la Madonna, che aveva cominciato a manifestarsi a Natuzza sul finire degli anni Venti, le dice che il 26 luglio avrebbe fatto «la morte apparente». La ragazza di Paravati in quel momento non comprende il significato dalla parola “apparente” e dice a chi le sta vicino, e in particolare alla signora Alba, che il giorno dedicato a sant’Anna, ovvero il 26 luglio, sarebbe morta.
"Mi trovai in un posto bellissimo, largo e rotondo come una piazza"
La casa della famiglia Colloca, dove Natuzza pronuncia queste parole, è a pochi passi dalla villa comunale e dall’ex palazzo vescovile. Dall’altro lato si trova Corso Umberto I, il luogo dell’incontro e del passeggio, in quegli anni, della piccola borghesia locale. Da quella casa si coglie tutta la bellezza di Mileto con le sue chiese – a partire dalla cattedrale, nel frattempo elevata al rango di basilica – e i suoi palazzi che odorano di antico e di vissuto. Ed è proprio qui, in questo angolo tra i più belli della cittadina che nel giorno preannunciato la giovanissima Natuzza cade, dopo diverse ore di attesa, in un sonno profondo. Confiderà poi testualmente alle persone a lei più vicine e ai suoi padri spirituali: «Chi piangeva di qua, chi piangeva di là. Io non piangevo, ero contenta. Fu così che mi addormentai. Era di sera, era tra lume e lustro, ma per me non era tra lume e lustro, perché mi trovai in un posto bellissimo, che era come una cupola, ma largo, largo, largo e rotondo come una piazza». Quel sonno dura sette interminabili ore. Fortunata Evolo, in quello spazio di tempo che le persone del posto più anziane ancora ricordano come se fosse oggi, è attorniata da numerosi medici che stanno lì ad aspettare la sua morte. Fuori, richiamati dal clamore della vicenda, gli inviati di alcuni importanti quotidiani nazionali, tenuti a distanza, seguono le varie fasi. Ci sono i giornalisti del Giornale d’Italia e del quotidiano La Tribuna che si erano già occupati a più riprese del caso Natuzza, ma soprattutto tanta gente di Mileto, di Paravati, di Messina, di Vibo Valentia, di Reggio Calabria e di Catanzaro. Dai ricordi di alcuni testimoni, tra cui Antonino Varone, Nando Crupi, Annunziato Varone e Pino Valente, emerge la grande attesa che si coglie in quei momenti così particolari e la presenza devota e incuriosita di una folla sterminata proveniente da ogni dove. Tra gli altri ci sono alcuni giornalisti con fotografi al seguito, giunti appositamente dalle redazioni romane. «C’era tutt’intorno – emerge dalle confidenze di chi era presente quel giorno a Mileto – una grande baraonda». Racconta Rosa Mercuri, morta di recente, che all’epoca aveva solo 8 anni: «C’era tanta gente. Provenivano da tutte la parti, molti erano arrivati a piedi da Jonadi, San Costantino Calabro, San Calogero, Rosarno, Gioia Tauro e Dinami. C’era anche gente giunta con i carri, qualcuno, se ricordo bene, anche in treno. La gente occupava tutta via Duomo, il Corso Umberto I e addirittura anche via Saccari. Mai si erano viste a Mileto tante persone, neppure durante le grandi celebrazioni in cattedrale. Tutti volevano vedere e capire».
Natuzza racconta che «si era trovata in Paradiso al cospetto di Gesù»
Al suo risveglio, la giovanissima Natuzza racconta che «si era trovata in Paradiso al cospetto di Gesù» che le aveva chiesto di «portare a lui le anime, di amare e compatire, di amare e soffrire». Dice anche che «c’era una luce meravigliosa che faceva mille colori, bellissima» e che «Gesù predicava e tutti gli altri rispondevano meno di me, che non sapevo cosa rispondere, ma pregavano tutti». Riferisce ancora che «c’era tanta gente, quattro, cinque file di centinaia di persone, piccoli e grandi sollevati da terra e a cerchio» e che erano presenti «tante anime di defunti con il viso per terra e in ginocchio che ..........