Belcastro ha radici lontanissime, risalenti alla Magnagrecia. è la città natale di S. Tommaso d’Aquino e Giuseppe Poerio. è stato un feudo medievale e una sede vescovile.
Belcastro, si estende dal versante sud-orientale della Sila Piccola al Mare Jonio tra i comuni di Andali, Cerva, Petronà, Mesoraca, Marcedusa, Botricello e Cutro, sorge su di uno sperone boscoso del fianco sinistro del fiume Nàsari, prima che questo affluisca nel fiume Crocchio, la cui grande e rigogliosa vallata trovasi al margine ovest del Marchesato. La Marina, posta tra Botricello e il fiume Tacina, si affaccia non contaminata sullo Jonio. Belcastro si raggiunge facilmente seguendo la SS.106 jonica, che da Catanzaro Lido muove verso Crotone, svoltando per la SP.5 non appena arrivati a Botricello (Bivio Botro).
Le sue origini si perdono nel Neolitico (4000 a.c.). Fonti accreditate la collegano con la magnogreca Koni, fondata nel VII sec. a,c, da Filottete, legendario eroe troiano, al pari di Crimissa e Petelia. Fu alleata di Roma contro Cartaginesi, Sanniti, Etruschi, Fenici ed Italici per
difendere i suoi commerci nel Mediterraneo orientale, fino a diventare
con il passare del tempo vero e proprio presidio romano sul versante
jonico dell'Italia Meridionale.
Divenne sotto Bisanzio Paleocastrum (vecchio castello) e il Patriarca di Costantinopoli nel VIII secolo vi insediò la Sede Vescovile. Il nome Geneocastrum,
datole dai Longobardi che aiutarono i Bizantini a scacciare i Saraceni
dal vecchio castello sul finire del primo millennio (934 d.c.), deriva
probabilmente dal fatto che venne edificato un nuovo ed imponente
castello sulla rocca prospiciente il vecchio, già distrutto dalla
guerra, proprio laddove sorgeva un antico tempio romano dedicato al
Genio di Castore e Polluce, assai venerati dalla gente, specie dalla
dama regnante e donne del luogo (Gynecocastrum).
Poco si sa del periodo che precede il Medioevo. Certo è che molta fu l'influenza di Roma prima e Bisanzio dopo, che senza alcun dubbio lasciarono segni indelebili sul costume e sulle strutture del luogo.
Con l’avvento dei Normanni e il successivo legame di costoro con i Longobardi di Capua e di Salerno, i d’Aquino
vi si insediarono quali feudatari, portando a compimento la costruzione
del Castello e della Cattedrale di San Michele Arcangelo. Atenolfo,
principe longobardo di Capua e capostipite dei d'Aquino, che già
contavano numerosi possedimenti nel Meridione, dal Lazio alla Calabria,
fu il primo Conte di Geneocastren già nei primi anni del XII
sec., titolo che venne temporaneamente loro tolto soltanto nella prima
metà del XIII sec. da Federico II per ragioni politiche e poi ridato
insieme ai beni confiscati. Poco si sa del periodo che precede il Medioevo. Certo è che molta fu l'influenza di Roma prima e Bisanzio dopo, che senza alcun dubbio lasciarono segni indelebili sul costume e sulle strutture del luogo.
Nell’ottobre del 1226, da Landolfo d'Aquino, signore di Belcastro e di Loreto, e da Teodora Caracciolo (Loritello), figlia del conte di Teate e principessa di Barbaro, che erano in Città per motivi politici (in incognito) e commerciali (per perfezionare l’acquisto del feudo di Botro), nacque Tommaso d’Aquino, destinato a diventare il più santo dei Dotti e il più dotto dei Santi. Altre città rivendicano questo vanto, ma nessuna è in grado di dimostrarlo come Belcastro. A battezzarlo fu Bernardo, vescovo di Geniocastro, che di sicuro nel 1221 prese parte alla consacrazione della Cattedrale di Cosenza, e madrina fu la nobildonna del luogo Eleonora Staffa.
Mentre gli anni che precedettero l'egemonia dei d'Aquino furono caratterizzati dalle continue e sanguinose incursioni dei Saraceni, da cui i Belcastresi si seppero difendere con coraggio e temerarietà, grazie anche alle gesta prodigiose di cavalieri come Cesare Cavallo, gli anni successivi al loro dominio furono segnati dalle lotte fratricide tra Angioini ed Aragonesi per il dominio della Calabria.
In questo periodo, tra il XIV e il XVI secolo, Bellicastrum, così rinominata nel 1330 da Re Roberto d’Angiò per gratificare i meriti del conte Tommaso d’Aquino, pronipote del Santo, più che per la sua amenità, si distinse ancora per gagliardia e sete di libertà. Ospitò anche il Centelles durante la sua ribellione, ma presto fedele alla casa d’Aragona se ne liberò, guadagnandosi il privilegio della demanialità, da parte dei Re Alfonso e Ferdinando I d’Aragona, che emanarono sul posto un regio decreto all'uopo.
Dopo
i d’Aquino e fino al XVIII sec., numerosi tra conti, duchi e baroni si
susseguirono al governo della cittadina, lasciando impronte del loro
passaggio. Primi fra tutti i Falluch-Loritello, imparentati con i d'Aquino, cui successero i Sanseverino, spodestati nel 1401 dai de Viterbo. Nel 1426 Belcastro pervenne in casa di Covella Ruffo Sanseverino e vi rimase fino al 1460, anno in cui s'impadronì del feudo Ferrante de Guevara e, successivamente, dopo un breve dominio di Federico d'Aragona, passò a Giangiacomo Trivulzio.Nel 1500 Re Federico la dava a Costanza d'Avalos d'Aquino,
duchessa di Francavilla ed in tale periodo Belcastro conobbe
grande fulgore, contando 7000 fuochi. Poi venne alienata a Ferrante d’Aragona, duca di Montalto, il cui figlio Antonio la vendette nel 1575 a Gianbattista Sersale di
Cosenza, barone di Sellia, i cui discendenti nel 1644 divennero Duchi
di una Belcastro, però, già in declino e distrutta da pesti e terremoti.
Nel 1676, per successione femminile, passava ai Caracciolo di Forino d’Ischia i quali nel 1715 la cedevano ai Poerio di Catanzaro che la tenevano quale baronia fino al 1746, anno in cui la vendevano ai de Mayda di Cutro,
i quali nel 1755 la restituivano ai Poerio. Ed è proprio nel dominio di
questa famiglia che si chiude il periodo feudale (1806), che aveva
visto all’opera uomini e famiglie illustri dal letterato Lucio d’Orsi, ai prelati Michele Pitirri, Orazio Schipani, Antonio Ricciulli, Alessandro Papatodaro e Tommaso Fabiani, dai nobili ed antichi Diano
ondatori dell’omonimo Monte dei Maritaggi per prestiti ai poveri, ai notabili Tacina, Scarrilla, Sammarco, Castellana, Gargano, Spirone, Morelli, Fiorino e Verrina ai maestri d’arte Carpanzano, Carrozza, Nicoletti e altri, ma soprattutto a Tommaso d’Aquino e Sant’Antero Papa. Il 6 gennaio del 1775 vi nacque anche Giuseppe Poerio, destinato a divenire <primo nel Foro e nel Risorgimento>,
che non poco perciò avrebbe dovuto influire sugli avvenimenti postumi
della cittadina. Nel 1799, infatti, i Belcastresi, incoraggiati dallo
spirito libertario e repubblicano dell’ultimo feudatario, il barone Alfonso Poerio,
zio di Giuseppe, raccogliendo lo spirito di rinnovamento nella libertà
sorto dalla rivoluzione francese, piantarono l'albero della libertà, un
bagolaro detto milicuccio, che ancora oggi si erge superbo nella caratteristica ed omonima piazzetta, adiacente Palazzo Poerio.
Ma presto forte fu la reazione borbonica che si concluse con il sequestro del feudo, ordinato dal Cardinale Fabbrizio Ruffo. Il Generale Championnet l'assegnò
al Cantone di Catanzaro. La legge francese del 1806 ne fece un
Distretto, comprendente i luoghi di Simbario, Sellia, Soveria, Cropani,
Sersale, Zagarise, Andali, Arietta, Marcedusa, Cerva, Cuturella e
Crichi.
Nel 1811 Belcastro fu inclusa nel circondario di Cropani e nel 1818,dopo circa un millennio, venne soppressa anche l'antica Diocesi.
Nel 1811 Belcastro fu inclusa nel circondario di Cropani e nel 1818,dopo circa un millennio, venne soppressa anche l'antica Diocesi.
Confusa con l’epopea risorgimentale, alla quale Belcastro diede il suo onorevole contributo per il tramite dei patrioti Michele Galati de Diano (che divenne nel 1861 il primo sindaco del Regno nella cittadina), Giuseppe Gualtieri, Andrea Rivoli, Tommaso Trivolo e Fortunato Mazza,
crebbe anche allora una sottile e virulenta lotta per il potere, che
vedeva per la prima volta nella storia di Belcastro coinvolte le classi
emergenti della nuova società, dagli artigiani agli agrari, la borghesia
nascente in altre parole, che cercava a tutti i costi di sostituirsi
alla vecchia nobiltà feudale decaduta. Il secolo XIX è, infatti,
costellato di episodi di lotte fra le famiglie emergenti che,
imparentate con il vecchio notabilato, mascheravano le ambizioni di
rivalsa di quest’ultimo, tentando la conquista del potere. Così si
susseguirono al potere i Cirillo, i Gimigliano, i Tallarico, i Galati, i Pisani ed i Ciacci,
i quali ultimi, sul finire del secolo, s’insediarono alla guida del
paese restandovi per circa un quarantennio, fino cioè agli inizi del
secondo conflitto mondiale.
E fu
proprio In questo periodo (1895-1934), grazie alla stabilità
amministrativa, che la cittadina transitò nell’era moderna.
Fiorirono, infatti, varie industrie di tipo artigianale come
l'allevamento del baco da seta, le cave di gesso e di
travertino, di sale, le sorgenti di acque saline (Spago, Caria Baloneo).
Parimenti si svilupparono un cospicuo patrimonio zootecnico
(ovini, bovini e suini), la coltivazione di erbe medicinali, del
lentischio, del gelso, dell'ulivo, la lavorazione di tessuti e
pelli e, infine, varie attività professionali (medici,
farmacisti, ecc.), artigianali (sarti, falegnami, barbieri,
calzolai, muratori, forgiari, fornai, ecc.) ed
artistiche, dai vasai agli intarsiatori del legno, che
nell'insieme facevano da giusta e decorosa cornice
alla rinascita sociale, politica, culturale ed economica del
paese, che andava annotando così un discreto incremento
demografico, passando dai 1400 ab. circa del 1901 ai quasi 2500
del 1936, riuscendo a contenere sensibilmente il forte flusso
migratorio di quel periodo, specie verso le Americhe ( v. ISTAT).
Anche
la scuola ebbe una buona implementazione e l'arte
venatoria raggiunse l'apice. Ma appartiene a tale periodo anche
la costruzione del Cimitero (1905), così come della strada rotabile, l'attuale provinciale di collegamento con la vecchia Jubbica, l'attuale SS. 106 (1921-1933), della rete idrica e fognante (1923) e di quella elettrica (1930).
Nel 1927 appariva anche la prima toponomastica, ancora in vigore.
Tratto dal sito ufficiale del comune di Belcastro CZ