venerdì 9 marzo 2012

Arriva il verdetto sull' operazione "Crimine" dieci anni a don Mico Oppedisano ma anche 34 assoluzioni.



Molte anche le riduzioni di pena. La sentenza non ha lasciato completamente soddisfatti. La condanna più pesante al boss Giuseppe Commisso di Siderno (14 anni e 8 mesi di carcere)

Il procuratore aggiunto di Reggio Michele Prestipino lascia l’aula bunker velocemente. Con lui tutti gli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Dire che la sentenza del processo “Crimine” emessa dal gup Giuseppe Minutoli li ha soddisfatti è un po’ una forzatura. Trentaquattro assoluzioni su 126 imputati sono tante. Così come sono state parecchie le riduzioni di pena, determinate dalla concessione delle attenuanti generiche, rispetto alle richieste di condanna formulate dalla Procura della Repubblica. La pena più pesante, infatti, è stata quella comminata al boss Giuseppe Commisso di Siderno (14 anni e 8 mesi di carcere). Dieci anni di reclusione, invece, sono stati inflitti all’anziano boss Domenico Oppedisano, indicato dalla Dda come il “capo crimine” della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Un ruolo che Oppedisano avrebbe rivestito nell'annuale riunione al Santuario di Polsi, durante la quale gli affiliati discutono e cercano di trovare soluzioni circa i contrasti tra i vari locali di ‘ndragheta. Per entrambi, la Dda aveva chiesto 20 anni di carcere. Commisso e Oppedisano sono stati processati con il rito abbreviato assieme ad altri 126 imputati. Una quarantina, invece, hanno scelto il rito ordinario e, nei mesi scorsi, sono stati rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Locri. Il processo “Crimine” è nato dalla maxioperazione che il 13 luglio 2010 aveva stroncato le cosche reggine e quelle di Milano. Stando alla Direzione distrettuale antimafia la `ndrangheta si sarebbe strutturata con un organo superiore, detto “Provincia”. Una ricostruzione che, in passato, non aveva mai ricevuto il sigillo di una sentenza definitiva, anche se tracce della “Provincia” si trovano nei fascicoli dei maxi processi “Olimpia” e “Armonia”. Nonostante le forti riduzioni di pena, in una nota stampa della Procura della Repubblica, si legge che «la sentenza odierna del gup di Reggio Calabria riconosce l'esattezza della ricostruzione della struttura e degli assetti della 'ndrangheta, quale emersa dall'indagine Crimine condotta dalle Dda di Reggio Calabria e di Milano».

«Il giudice riconosce, infatti – è scritto sempre in un comunicato stampa –, l'esistenza della 'ndrangheta quale organizzazione unitaria, articolata su una struttura complessa, governata da un organo di vertice e radicata in Calabria e con estensioni fino oltre oceano. La sentenza ribadisce quanto sul punto era già stata affermato da altre importanti decisioni pronunciate dal gup di Milano il 19 novembre 2011 e da quello di Reggio Calabria il 15 giugno 2011. Riconoscendo, assieme a queste decisioni, l'unitarietà dell'organizzazione 'ndrangheta e l'esistenza di un organismo di vertice, la sentenza di oggi costituisce un dirompente elemento di novità e rappresenta un fondamentale passaggio nell'azione di contrasto alla 'ndrangheta in Calabria e ovunque essa abbia messo radici. Va aggiunto, inoltre, che il gup ha riconosciuto la responsabilità di 94 imputati, condannando, in particolare, tutti i principali esponenti delle cosche calabresi».
A pochi giorni dal suo trasferimento a Roma, il procuratore Giuseppe Pignatone (che non ha assistito alla lettura del dispositivo) ha sottolineato che la sentenza “Crimine” «è l’ulteriore conferma del lavoro condotto in questi anni dalla Procura antimafia di Reggio Calabria per delineare il fenomeno mafioso in provincia di Reggio e le sue diramazioni in Italia e all'estero». Prima di abbandonare l’aula bunker, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri si limita a sottolineare che «l'impianto accusatorio comunque ha tenuto. Bisogna ora aspettare di leggere le motivazioni per capire come il gup sia arrivato alle determinazioni del conteggio della pena, delle condanne e delle assoluzioni».
Una sentenza coraggiosa che non lascia completamente soddisfatti.

Dopo una camera di consiglio durata oltre 24 ore, il giudice per le udienze preliminari Giuseppe Minutoli ha condannato boss e gregari della ‘ndrangheta reggina. Le risultanze investigative della Dda sono state certamente accolte dal gup, ma dire che quest’ultimo ha sposato in pieno il castello accusatorio, forse, è un po’ una forzatura stante l’aria che si respirava in aula bunker e i volti tirati di alcuni pubblici ministeri. E torna attuale una frase del procuratore generale di Ancona Enzo Macrì: «Occorre distinguere la ‘ndrangheta che regna da quella che governa».

Lucio Musolino
(Corriere della calabria)