lunedì 3 giugno 2019

Botta e risposta tra la diocesi e la dda di Catanzaro sui 2 preti indagati per estorsione aggravata dalle modalità mafiose.

Assume dei contorni piuttosto “forti” sebbene di per sé “delicati” la vicenda di don Graziano Maccarone (41 anni) e don Nicola De Luca (40), i due sacerdoti del vibonese finiti sotto i riflettori dopo essere stati indagati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro per l’ipotesi di reato di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose

E proprio le affermazioni della diocesi hanno portato oggi la Dda di Catanzaro a rispondere a quanto riportato nella nota partita dagli uffici del vescovo vibonese sottolineando alcuni dei passaggi chiave dell’indagine che hanno portato ad indagare i presbiteri.
È lo stesso procuratore Capo Nicola Gratteri a precisare infatti come il 7 marzo scorso sia stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di inizialmente di quattro indagati, due dei quali, nei 20 giorni successivi, avevano chiesto di essere sentiti dal Pm titolare delle indagini.
Al termine dell’interrogatorio di questi, la Dda aveva poi stralciato la loro posizione esercitando l’azione penale nei soli confronti dei due sacerdoti“che non hanno inteso esercitare alcuna delle facoltà” prevista in questi casi, pertanto, “non hanno offerto alcuna ricostruzione alternativa delle risultanze istruttorie, né hanno segnalato circostanze nuove o diverse rispetto a quelle accertante nel corso delle investigazioni”, ribadisce Gratteri.
In particolare, i due preti non avrebbero depositato delle memorie o documenti; prodotto documentazionerelativa ad investigazioni difensive; così come non avrebbero chiesto al Pm il compimento di altri atti di indagine; e non si sarebbero presentati per rilasciare dichiarazioni, né chiesto di rendere interrogatorio.
Il 23 aprile successivo, così, veniva esercita l’azione penale e gli atti trasmessi all’Ufficio Gip/Gup del Tribunale di Catanzaro.
“NESSUNO DEI PRETI HA CHIESTO DI ESSERE ASCOLTATO DAL PM”
Soltanto a seguito della notifica della data dell’udienza preliminare, fissata per il 3 ottobre - viene ricordato ancora dal Capo della Dda - è arrivata all’Ufficio del Pm una comunicazione, un email certificata(del 24 maggio), con la quale il difensore degli indagati non formulava alcuna richiesta di interrogatorioper i propri assistiti” ma chiedeva un colloquio dello stesso legale con il magistrato titolare delle indagini.
Gratteri fa poi riferimento ad alcuni passaggi nella nota della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, in particolare a quello in cui si sosterrebbe il fatto che uno dei sacerdoti coinvolti, don Graziano Maccaronesarebbe stato a sua insaputa registrato dalla persona offesa - ovvero la vittima della tentata estorsione - e in inoltre si alluderebbe al fatto che il contenuto delle registrazioni sarebbe stato “artatamente alterato e artificiosamente interpretato, fino ad accusarlo di messaggi a sfondo sessuale con la figlia disabile”.
Un altro passaggio del comunicato è quello in cui si sostiene che l’accusa di violenza e tentata estorsionedi stampo mafioso usata da don Maccarone nei confronti” della vittima sarebbe “senza riscontri nella realtà” e che per questo gli imputati hanno sporto querela nei confronti del denunciante presso la Procura di Vibo Valentia.
LE INTERCETTAZIONI E LA “STRADA PARALLELA” PER FARSI RESTITUIRE I SOLDI
Su questi argomenti, però, la Dda non è affatto d’accordo e rimarca come diversi accertamenti, riassunti poi nel fascicolo delle indagini preliminari, riportino oltre alle iniziali registrazioni versate agli atti dalla vittima, anche le acquisizioni dei tabulati telefonici, gli esiti delle intercettazioni oltre che le dichiarazioni delle persone informate sui fatti.
Da tutto ciò - sempre secondo gli inquirenti - emergerebbe pertanto che don Graziano Maccarone si sia attivato per recuperare la somma di denaro data in prestito alla vittima“percorrendo quella che lo stesso prelato definisce come la cosiddetta strada parallela”.
LE MINACCE ESPLICITE: “STAI ATTENTO CHE FAI UNA BRUTTA FINE”
Il Procuratore, facendo ancora riferimento agli atti, spiega infatti che il sacerdote avrebbe rivolto alla vittima delle minacce esplicite, comunicate tramite don Nicola De Luca che avrebbe dovuto fargli sapere che “se dovesse partire la macchina non si fermerà più”, e avvisandolo anche di stare attento, che avrebbe fatto una brutta fine.
Sempre nel fascicolo d’indagine sarebbe agli atti, poi, che don Maccarone, dopo aver preso contatti con soggetti di............
 Nicotera Marina, tra cui il cugino Antonio Giuseppe Tomeo, ritenuto vicino al presunto boss Pantaleone Mancuso (di 57 anni), avrebbe fatto sapere all’amico sacerdote di mettersi da parte”, dato che - il 18 marzo e il 26 marzo del 2013 - sarebbero intervenuti direttamente “i suoi cugini” recuperando il denaro “per vie traverse”.
I “CANALI” DEL PRETE E IL CUGINO “VICINO” AI MANCUSO
Il prete avrebbe anche specificato che si era “mosso con i suoi canali”, che aveva informato la cerchia che lui sapeva e che se fosse stato per lui, “li avrebbe mandati quella notte stessa a picchiare” la vittima, ma le persone alle quali si sarebbe rivolto gli avrebbero detto che non era “il momento ... perché ora il fuoco è troppo alto e ci bruciamo tutti... Perché se agiamo... Questo fa una piccola cosa... A voi rimane la macchia... Non è che non vi rimane! ... Quindi non è ora... Cercate un compromesso per temporeggiare... E poi interveniamo ...”.
La ricostruzione specifica dell’evoluzione dell’indagine è stata resa pubblica dalla Dda, a dire del procuratore Gratteri, per dare “massima trasparenza” all’azione della Procura della Repubblica e della Squadra Mobile di Vibo Valentia, che - conclude il magistrato - hanno operato senza “artatamente alterare e artificiosamente interpretare le risultanze oggettive confluite nel fascicolo delle indagini”.

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