Le origini risalgono all’anno 835, quando papa Gregorio II, visto che
 la chiesa cattolica non riusciva a sradicare gli antichi culti pagani 
legati alla tradizione celtica (il cui calendario indicava nel 31 
ottobre l’ultimo giorno dell’anno), spostò la festa di “Tutti i Santi” 
dal 13 maggio al primo novembre con la speranza di riuscire, così, a 
dare un nuovo significato ai riti profani. Secondo l’anno druidico, il 1
 novembre era il Samhain, letteralmente “tutte le anime” fine dell’anno 
pastorale e primo giorno d’inverno, in cui la notte era più lunga del 
giorno. Questa particolarità permetteva al principe delle tenebre di 
chiamare a sé tutti gli spiriti e poter passare da un mondo all’altro. 
L’intento del papa di sradicare questo mito non riuscì. La chiesa 
aggiunse quindi, nel X secolo, la “Festa dei Morti” il 2 novembre, in 
memoria delle anime degli scomparsi. I festeggiamenti avvenivano tramite
 offerta di cibo, mascheramenti e falò, le usanze profane così 
giustificate.
In quasi tutte le regioni possiamo trovare 
pratiche e abitudini legate a questa ricorrenza. Una delle più diffuse 
era l'approntare un banchetto, o anche un solo un piatto con delle 
vivande, dedicato ai morti.
In Calabria nelle comunità 
italo-albanesi, ci si avviava praticamente in corteo verso i cimiteri: 
dopo benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti, si 
approntavano banchetti direttamente sulle tombe, invitando anche i 
visitatori a partecipare.
I 
dolci dei morti
 simboleggiano i doni che i defunti portano dal cielo e 
contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio. Un
 modo per esorcizzare la paura dell’ignoto e della morte.
Ogni 
regione ha i suoi dolci tipici che, già dal nome, richiamano la 
celebrazione, anche se le varie tipologie sono tra loro molto simili. 
Oltre al grano cotto appena ricordato, i dolci più usati sono biscotti 
di consistenza più o meno dura, in genere a base di mandorle, pinoli, 
albumi e talvolta cioccolato. In Calabria abbiamo le " Dita degli 
apostoli", dolci tpici della zona di Reggio Calabria!
Le fave
 Nell’antichità le fave erano il cibo rituale dedicato ai defunti e 
venivano servite come piatto principale nei banchetti funebri. I Romani 
le consideravano sacre ai morti e ritenevano che ne contenessero le 
anime, molto probabilmente questa credenza era legata ai caratteri 
botanici della pianta: le sue lunghe radici che affondano in profondità 
nel terreno; il suo lungo stelo cavo, secondo le credenze popolari 
faceva da tramite tra il mondodei morti e quello dei vivi, ma erano 
soprattutto i suoi fiori bianchi con sfumature violacee e con una 
caratteristica macchia nera, a ricordare la lettera greca
 theta, lettera iniziale della parola greca
 thànatos che significa morte. In seguito con l’avvento del 
Cristianesimo la tradizione popolare muto’ dal 
mondo Romano questo uso delle fave, e cosi’ a seguire nel 
X secolo
 le fave divennero cibo di precetto nei monasteri durante le veglie di 
preghiera per la Commemorazione dei Defunti. Per la stessa ricorrenza 
vennero usate come cibo da distribuire ai poveri o da cuocere insieme ai
 ceci e lasciare a disposizione dei passanti agli angoli delle strade. 
In Toscana, in Veneto e in Calabria era tradizione recarsi al cimitero e
 mangiare fave sulle tombe dei propri cari.
L’altro importante 
cibo tradizionale presente sulle tavole il Giorno dei Defunti è il 
grano. In tutte le culture e le religioni il grano è il simbolo stesso 
della vita e della fertilità. Ma per raccogliere il chicco di grano 
bisogna recidere la spiga - ucciderla - e il chicco solo dopo essere 
morto a sua volta sottoterra rinascerà in una nuova spiga. Il grano 
dunque viene associato nello stesso tempo anche alla morte e alla 
resurrezione e diviene il simbolo del continuo e incessante ciclo di ....