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sabato 3 giugno 2017

Estorsione, minacce, sfruttamento dei dipendenti questo il metodo usato dal presidente di Confagricoltura nella sua famosa azienda nel catanzarese.

Un imprenditore che da anni e “sistematicamente” avrebbe sfruttato i propri dipendenti 
costringendoli a lavorare accettando uno stipendio notevolmente più basso, di almeno un terzo, rispetto a quanto risultasse nelle buste paga, oppure non corrispondente a quello previsto dal contratto collettivo nazionale. Ma non solo, i lavoratori avrebbero dovuto rinunciare anche a ricevere il Tfr, il trattamento di fine rapporto.
Le condizioni sarebbero state queste e per chi si fosse lamentato partiva subito la minaccia del licenziamento immediato. A chi, invece, all’atto della proposta di lavoro avesse pretesto il giusto veniva, invece, rigettata proprio l’assunzione. Sarebbe dunque questo lo spaccato che verrebbe fuori dall’operazione denominata “Spartaco”, condotta dai finanzieri di Lamezia Terme nei confronti di un noto imprenditore agricolo della città della Piana: si tratta del presidente di Confagricoltura Calabria, Alberto Statti, la cui attività è nel settore vinicolo ed oleario. Per diversi mesi le fiamme gialle hanno controllato diverse località di campagna del lametino, eseguendo controlli su automezzi, sopralluoghi, appostamenti, pedinamenti, riprendendo tutto con le telecamere e contando anche sull’apporto di mezzi aerei del Corpo.
LE INDAGINI, nonostante la ritrosia di quasi tutte le vittime nel riferire le reali condizioni lavorative, per il timore, ovviamente, di essere subito licenziate, hanno portato a verificare la reale estensione del fenomeno, risultato tale da rappresentare - secondo gli inquirenti - "una sostanziale fonte di arricchimento" per l’imprenditore stesso e che gli investigatori hanno quantificato in circa 290 mila euroUna somma che per questo è stata sequestrata, su disposizione della magistratura, che ha anche.........

giovedì 1 giugno 2017

Terremoto giudiziario alla Fincalabra di Catanzaro invece di finanziare i progetti presentati da piccole e medie imprese si intascavano i soldi per un valore di 46 milioni in titoli

Un vero e proprio terremoto quello che si è abbattuto oggi sulla Fincalabra, l’ente in house della Regione Calabria, istituita a sostegno del sistema produttivo regionale. Cinque persone denunciate per peculato ed eseguito un sequestro da oltre 1,8 milioni di euro.



Le indagini, eseguite della Guardia di Finanza di Catanzaro, si focalizzano su una presunta distrazione di fondi comunitari avvenuta in soli tre mesi, ovvero da fine agosto a metà novembre del 2015. Una cifra di oltre 46 milioni di euro affidata in gestione a Fincalabra e che doveva essere vincolata esclusivamente al finanziamento di progetti presentati da piccole e medie imprese. Secondo gli investigatori, il Consiglio d’Amministrazione dell’Ente in house, allora in carica, con il concorso dei dirigenti della banca Widiba, che fa parte del Gruppo Monte dei Paschi di Siena, avrebbe utilizzato indebitamente la somma per acquistare diversi strumenti finanziari, sia nazionali che esteri, caratterizzati, tra l’altro, da un altissimo rischio e volatilità, provocando così un ammanco nelle casse regionali stimato in poco meno di 1,9 milioni di euroUn danno che viene calcolato, nel complesso, in oltre 360 mila euro per provvigioni corrisposte al promotore finanziario, altri 685 mila che sarebbero riconducibili a spese o commissioni trattenute dalla stessa banca e, infine, 822 mila euro come perdita netta di valore subita dai titoli acquistati dalla Fincalabra. Per questo è stato disposto il sequestro per equivalente, ma sono stati anche e contestualmente notificati degli avvisi di garanzia, nei confronti del presidente del consiglio d’amministrazione pro tempore dell’Ente, di altri due componenti del Cda e altrettanti dirigenti della Widiba, intermediaria nell’acquisto dei titoli. Il sequestro ha riguardato disponibilità finanziarie, cespiti immobiliari ed altri beni mobili riconducibili agli indagati, individuati grazie agli accertamenti economico-patrimoniali svolti dai finanzieri.
Il provvedimento è stato emesso dal Giudice per le.........

mercoledì 31 maggio 2017

La storia del carabiniere catanzarese "Laureato in Onestà" che sembra uscire da una fiction televisiva.

Presentato a Roma, alla Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura, “Laureato in onestà”, il libro del catanzarese Francesco Leonardis, 
già luogotenente dei carabinieri in Sicilia, in prima linea nella lotta alla cosiddetta mafia dei Nebrodisfuggito miracolosamente a diversi tentativi di omicidio.
Il libro è stato illustrato dall’ex generale dei carabinieri Donato Mauro – che firma la prefazione - nell’ambito del XIII master “Peace Building Management”, aprendo la lezione dell’ex comandante Leonardis sulle “Fenomenologie criminali transnazionali” che impediscono la costruzione della pace e invece danno ulteriore sviluppo alla mafia. Hanno preso parte alla presentazione la prof.ssa Rachele Schettini, Presidente del Centro Studi Europa 2010 che guida il master, e il giornalista Santo StratiIl volume, edito da Media&Books e disponibile su Amazon, è scritto a quattro mani con la giornalista Graziarosa Villani (già a “Il Messaggero” di Roma) e racconta la singolare disavventura di un carabiniere super-onesto impegnato in una strenua battaglia (vinta) contro mafiosi e corrotti. Nella sua missione Leonardis, sempre fedele al giuramento fatto e al Tricolore, non ha guardato in faccia nessuno. Ha contrastato politici corrotti, ha smascherato truffe allo Stato e all’Unione Europea, ha, soprattutto, combattuto le organizzazioni mafiose avviando, con i suoi colleghi, la storica Operazione “Mare Nostrum” che ha smantellato l’organizzazione mafiosa nel territorio siciliano dei Nebrodi. Visto che non riesce né a corromperlo né a ucciderlo, la mafia, allora, lo fa apparire “colluso”: così il comandante si ritrova – da innocente – invischiato in una torbida vicenda di manipolazioni, frutto di un magistrato corrotto d’intesa con la criminalità organizzata, create appositamente per alleggerire la posizione di una capomafia. La giustizia, però, trionfa e la vicenda si conclude positivamente, consegnando al comandante Leonardis (già decorato da Pertini e cavaliere della Repubblica) una “laurea” di onestà che nessun tentativo di corruzione prima e di eliminazione fisica poi sono riusciti a intaccare. Una storia che sembra uscire da una fiction televisiva, con colpi di scena e indagini delicatissime atte a scoperchiare un intrigo di corruzione di magistrati e poteri dello Stato, sottomessi alla mafia. Il comandante Leonardis - oggi in pensione - che ha contrastato anche in Calabria ‘ndrangheta e delinquenza organizzata, è riuscito a debellare il fenomeno mafioso dei Nebrodi, in Sicilia. Col suo libro ha voluto raccontare con uno stile asciutto ma avvincente le mille difficoltà degli uomini dello Stato nella lotta alla mafia, carabinieri e poliziotti spesso lasciati soli a fronteggiare un nemico potentissimo e spietato, che ha lasciato molte.......

martedì 30 maggio 2017

Catanzaro e Avellino concordarono il pareggio. Ombre sulla promozione in B del 2013

II presidente del Catanzaro Calcio (Lega Pro) Giuseppe Cosentino e la figlia Ambra, sono due delle 4 persone arrestate e poste ai domiciliari. Cosentino è accusato di appropriazione indebita e di reati tributari mentre la figlia e gli altri 2 arrestati, dipendenti della società di import-export dell’imprenditore, sono accusati di riciclaggio. Per l’accusa avrebbero trasferito in Svizzera ingenti somme di denaro. La società del Catanzaro Calcio, secondo quanto si è appreso, è comunque estranea ai fatti di riciclaggio contestati agli indagati. Le somme, infatti, sarebbero state distratte dalla società di Cosentino che ha rapporti anche con la Cina.
A margine, si segnala che al Cosentino, quale Presidente della società “Catanzaro Calcio 2011 Srl”, è stato contestato il reato di frode sportiva di cui all’art. 1 della L. 401/1989 in relazione ad una partita di calcio della Lega Pro prima divisione girone “B” del Campionato Italiano, disputata nella stagione 2012/2013. La partita in questione è Catanzaro-Avellino del 5 maggio 2013. Un gol di Zigoni regalò la vittoria ai lupi e la matematica promozione in serie B.   Accusati anche di questo reato Armando Ortoli, direttore sportivo, Andrea Russotto, calciatore del Catanzaro, Walter Taccone e Vincenzo De Vito, rispettivamente, all’epoca dei fatti, presidente e direttore sportivo della società calcistica dell’ Avellino. Questi ultimi quattro soggetti sono indagati a piede libero almeno da quello che riportano siti di informazione online calabresi che hanno lanciato la notizia prima di tutti gli altri.
Stando alle carte dell’inchiesta tutti avrebbero concordato il risultato della partita, svoltasi il cinque maggio del 2013, in un pareggio. Ciò avrebbe permesso al Catanzaro di non andare ai play out per la retrocessione e all’Avellino di raggiungere la promozione alla serie superiore. I campani però, all’ultimo minuto, non hanno “rispettato” gli accordi poiché il Perugia, avendo vinto, metteva a....