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lunedì 14 maggio 2018

Magisano elezioni comunali 2018 Lostumbo si presenta per l'eventuale terzo mandato. Ecco tutti i nomi della lista "Per Magisano tradizione e futuro"

Su segno del successo di 5 annni fa il Sindaco Lostumbo si presenta con una nuova lista che riporta sempre il nome di Per Magisano - tradizione e futuro.

La lista N° 1 sara capeggiata dal candidato a sindaco Fiore Tozzo


a seguire i 10 candidati a consiglieri per la lista N° 2

Candidato a Sindaco Lostumbo Antonio

Alimondi Rosario
Amelio Pietro
Cefali' Lucia
Cosentino Stefania
Cristofaro Franco
Fotino Martina, Rita
Mastria Salvatore
Tosto Antonio
Veraldi Antonio
Viscomi Natalino

sabato 12 maggio 2018

Catanzaro il giudice di Pace accoglie un ricorso del Codacons: I comuni sono obbligati a dimostrare i consumi effettivi dell’acqua e non i cittadini.

Sono i Comuni a dover dimostrare i consumi effettivi dell’acqua e non i cittadini. Questa in sintesi la decisione del giudice di Pace di Catanzaro che ha accolto il ricorso di un consumatore del capoluogo annullando una cartella del Comune con cui si chiedeva il pagamento del canone dell’acqua. A darne notizia il Codacons che ha supportato l’azione legale del catanzarese ottenendo l’annullamento della cartella. «Alzi la mano – spiega Francesco Di Lieto, vicepresidente dell’associazione di consumatori – chi non ha ricevuto bollette dell’acqua (ma il discorso vale, ovviamente, per tutti i rapporti di utenza) con importi di gran lunga superiori rispetto agli effettivi consumi. Il problema è dovuto al fatto che le somme vengono calcolate sulla base di consumi ipotetici e non di quelli reali».
«Tanto avviene nonostante ci sia un preciso obbligo di effettuare la lettura dei contatori almeno una volta l’anno ma, evidentemente – prosegue il vicepresidente nazionale del Codacons – è più comodo addebitare consumi presunti e maggiori, rispetto a quelli reali».
Così partendo da questa premessa il Codacons a proposito della vicenda del consumatore di Catanzaro, ricostruisce Di Lieto «ha chiesto l’intervento dell’Autorità Giudiziaria».
«Con la sentenza depositata il 3 maggio il Giudice di Pace di Catanzaro ha accolto le tesi difensive di un consumatore e ha dichiarato “la nullità della pretesa pecuniaria reclamata dal Comune di Catanzaro a titolo di canone acqua a mezzo ingiunzione di pagamento emessa da Soget SpA”. Il giudice, inoltre, ha condannato il Comune di Catanzaro e la Soget SpA anche al pagamento delle spese del giudizio». Secondo Di Lieto, «in buona sostanza il ragionamento svolto dal Giudice è il seguente: La bolletta dell’acqua è un atto emesso da chi pretende il pagamento e, pertanto, non dimostra assolutamente nulla». «Sicché, in caso di contestazione – continua l’esponente del Codacons – è onere del Comune “dimostrare la correttezza della misurazione secondo gli effettivi consumi d’acqua da parte dell’utente”. Aver determinato i consumi in base a “criteri presuntivi”, senza aver accertato i consumi reali mediante la lettura periodica del contatore, rende inesigibile la pretesa relativa ai canoni acqua«. «Finalmente – commenta Di Lieto – uno stop alla pratica odiosa di sovrastimare i consumi che non solo provoca bollette più alte, ma permette di gonfiare i bilanci comunali, evidenziando somme non dovute dai cittadini».
«Il Codacons – conclude la nota – invita tutti gli .......... 

venerdì 11 maggio 2018

Degrado alla stazione di Catanzaro Lido; Identificati 9 immigrati che dormivano dentro la stazione tutti con precedenti penali

Sono in tutto 9 i cittadini extracomunitari, entrati nella rete di una vasta operazione di contrasto all’occupazione edilizia abusiva, condotta nei pressi della stazione di Catanzaro Lido dalla Squadra Volante, dal Reparto Prevenzione Crimine e dall’unità Cinofila di Vibo Valentia.

Alcuni vivevano accampati all'interno di un mezzo della ferrovia, ubicato su un binario morto, con all'interno diversi materassi e altri suppellettili che facevano presupporre una permanenza duratura. Altri invece, erano alloggiati in zone degradate del quartiere, occupando finanche due immobili rurali.
Condotti in Questura per ulteriori controlli, sono stati identificati: D.C., 23enne nato in Gambia, con precedenti per droga, invasione di terreni ed edifici, resistenza o minaccia a pubblico ufficiale e violazione a foglio di via obbligatorio e per gli stessi reati è stato accusato il 33enne K.T., nato in Gambia, nei confronti del quale pende già un ordine di lasciare il territorio nazionale emesso dalla Questura di CrotoneUn'altra identificazione corrisponde al nigeriano 31enne A.C.L. con precedenti per droga, lesioni personali, atti osceni, diffamazione, estorsione, danneggiamento, violazione degli obblighi inerenti il permesso di soggiorno; il 22enne B.M. nato in Gambia, titolare di permesso di soggiorno in attesa di ricorso, con precedenti per droga, invasione di terreni ed edifici, resistenza e minaccia a pubblico ufficiale, violazione del foglio di via obbligatorio; S.M., 23enne del Gambia, titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari scaduto dal 2017; S.B., 25enne nato in Gambia, con precedenti per furto aggravato, minaccia, lesioni personali, violazione obblighi inerenti il soggiornoIl 22enne J.A. del Gambia F.R. nigeriano di 38 anni ed il 23enne del Gambia B.A. erano tutti titolari di permesso di soggiorno, i primi due per motivi umanitari con scadenza l’uno nel 2019 e l’altro nel 2017. In ultimo B.A. titolare dì permesso di soggiorno per attesa ricorso, è stato denunciato anche poiché ritrovato in possesso di circa 5 grammi di marijuana. Al termine delle indagini i 4 destinatari di decreto di espulsione sono stati accompagnati al Cpr di Potenza. Altri quattro stranieri invece, titolari di ....

giovedì 10 maggio 2018

Al via il terzo Macrolotto della nuova SS 106 per un importo di un miliardo e trecentomilioni di euro


Un opera strategica che permetterà un collegamento veloce e sicuro con il Corridoio Adriatico, è stato al centro di una iniziativa, dalla massiccia partecipazione, che si è tenuta stamane nella sala convegni del Museo Archelogico di Sibari per l’avvio delle attività del III Macrolotto Sibari-Roseto Capo Spulico della 106 ionica,
A partecipare, il presidente della Regione Mario Oliverio, l’amministratore delegato di Anas, Gianni Vittorio Armani ed il presidente di Sirjo scpa, contraente generale che realizzerà i lavori, Pietro Mario Gianvecchio. A coordinare l’incontro il responsabile delle relazioni esterne di Anas Mario Avagliano. Il progetto- è stato spiegato- conta un investimento complessivo di circa 1 miliardo e 330 milioni di euro, prevedendo la realizzazione di due lotti: il primo, da Sibari allo svincolo di Trebisacce; il secondo da Trebisacce a Roseto Capo Spulico. “E’ una giornata particolarmente importante. Non facciamo annunci, parte il cantiere di una grande d’opera- ha detto il presidente Oliverio-. È stato un lavoro complesso aver portato a termine le procedure per l’inizio di questa infrastruttura, progettata sin dal 2007, la cui gara d’appalto è stata fatta nel 2011, che si era incagliata nella burocrazia e nelle procedure. Abbiamo lavorato perché si portasse a buon fine un investimento significativo per la nostra regione che consente non solo di ammodernare l’infrastruttura di area della nostra regione, ma di collegare la Calabria con il corridoio Adriatico e di realizzare l’ammodernamento di un pezzo fondamentale della 106 ionica.
Ci siamo impegnati- ha proseguito- perché si realizzasse una soluzione, la più equilibrata possibile, che tenesse insieme gli aspetti ambientali, che sono fondamentali, poiché ci troviamo in una zona, impervia ma bellissima, di alto pregio, con la sostenibilità ed i costi. È stato un lavoro abbastanza complesso; ringrazio il ministro Del Rio che ha dato un grande contributo; ringrazio Anas e il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici che abbiamo tallonato e incalzato. Un grazie va anche ai sindaci per il ruolo attivo e fondamentale svolto. Problemi di miglioramento del progetto saranno ulteriormente recepiti- ha sottolineato Oliverio-. L’opera ha un contraente generale di grande esperienza; l’infrastruttura, tassello fondamentale del corridoio ionico sul quale prestiamo grande attenzione, dovrà avere ricadute sul territorio, per il sistema delle imprese per l’occupazione”. “Partono i lavori preliminari della verifica di ordigni bellici, dell’eventuale sminamento e degli espropri sono già in atto e quindi diciamo di aver portato quest’opera a buon fine. Tutto- ha rimarcato con forza il presidente Oliverio- dovrà essere fatto rispettando il principio della legalità. Riteniamo sia necessario alzare l’asticella dell’attenzione, della trasparenza. Non è un caso che noi abbiamo proposto un protocollo di legalità, con la Prefettura, la Regione, l’Anas ed il contraente generale, perché noi abbiamo bisogno che le opere vadano avanti con la massima trasparenza possibile e che ci siano ricadute dal punto di vista occupazionale, che ci saranno e saranno importanti, e anche per il sistema delle imprese. Imprese pulite, che in Calabria ci sono, di qualità e competenti”.
“Tra le opere compensative- ha messo in evidenza infine Oliverio- abbiamo posto un importante intervento per il sito archeologico di Sibari14 milioni di euro, che dovranno essere utilizzati rapidamente ai fini della valorizzazione di una eccellenza”
“Siamo a testimoniare il fatto che dopo un lavoro portato avanti i cantieri possono partire- ha detto Armani che ha ancora diffusamente parlato degli investimenti che attualmente impegnano Anas-. Si tratta di un itinerario fondamentale per il Sud e per il Paese, che complessivamente completa 150 km di strada a quattro corsie che è stata già realizzata. Questo mette in connessione la ionica con il porto di Taranto e con l’autostrada del Mediterraneo. È una viabilità strategica complessivamente per la Calabria e per il sud, e finalmente questi 38 km vengono a completare tutta la direttrice. C’è in corso la Firmo- Sibari- ha aggiunto l’ad di Anas- che è il cantiere che adesso stiamo realizzando, che completa la connessione”.
“Il territorio calabrese in generale è molto complesso sia dal punto di vista orografico, per le pendenze, le gallerie ed i viadotti che devono essere costruiti, che da quello geologico. Il progetto- ha affermato ancora Armani- è quello che è uscito fuori dalle conferenze ai servizi e che risponde a tutte le limitazione e i vincoli ambientali che sono stati richiesti e su cui è stata data risposta. Grande è stato l’investimento per rendere compatibile il progetto ai vincoli ambientali. È un investimento ambientale enorme che risponde alla tutela del territorio e delle bellezze della Calabria e dell’Italia in generale”.
Dal presidente della Sirjo scpa, è venuta l’illustrazione del cronoprogramma, gli impatti territoriali con le ricadute economiche ed occupazionali. Gianvecchio ha spiegato che la durata dei lavori sarà di sei anni e mezzo. Quattro, i cantieri operativi. Grande, l’impiego di manodopera locale.
Altro appuntamento, sempre, con il presidente Oliverio e l’amministratore delegato Anas Armani: si ritroveranno nel pomeriggio nella Cittadella regionale per presentare il nuovo collegamenti tra Crotone e Simeri Crichi in variante all’attuale sito.

Il comunicato dell'Anas | Si è tenuta questa mattina, presso la sala convegni dell’Area Archeologica di Sibari, la presentazione del progetto del III Megalotto della nuova strada statale 106 “Jonica”. All’incontro hanno preso parte, tra gli altri, l’Amministratore Delegato di Anas Gianni Vittorio Armani e il presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, anche per fare il punto sui lavori in corso e programmati nonché sugli interventi di messa in sicurezza.
La nuova 106 “Jonica” viene integrata con l’A2 “Autostrada del Mediterraneo” grazie al completamento delle trasversali di collegamento, in parte già in corso di esecuzione, come la statale 182 "Trasversale delle Serre" e il Megalotto 4, nuovo collegamento Firmo-Sibari, e in parte già realizzate come la statale 280 “dei Due Mari”
Sull’intero tratto della nuova 106 "Jonica" risultano ultimati, ad oggi, 150 km con l’ampliamento a quattro corsie e spartitraffico centrale, di cui 39 km in Puglia, 37 km in Basilicata, mentre nel tratto ricadente in Calabria sono stati ........

mercoledì 9 maggio 2018

Allarme prostituzione nel catanzarese SudAmericane si "vendono" anche per una spesa al supermercato

Tutte giovanissime, per la maggior parte di origine sudamericana, stazionano nelle vie periferiche della città in attesa dei clienti cui offrono prestazioni sessuali anche in cambio di generi di prima necessità. La fotografia della recrudescenza del fenomeno apre scenari nuovi e ancora più
preoccupanti. Chi si prostituisce non lo fa più solo per guadagnare o far guadagnare eventuali sfruttatori, ma per recuperare un pranzo o per spingere il cliente a dare in cambio sacchetti della spesa. Il nuovo viatico della prostituzione cittadina si consuma così, sia di giorno che di notte, con approcci che avvengono nelle vie centrali cittadine e nella zona adiacente la stazione ferroviaria. Più volte operazioni di polizia hanno cercato di debellare il fenomeno che ritorna, però, puntualmente. Le nuove forme di sfruttamento diventano meno violente ma più subdole, facendo leva sulle condizioni economiche di chi si trova a barattare il proprio corpo in cambio di un telefono o di alimenti per sfamare la propria famiglia. Ad accendere i riflettori sul fenomeno sono le segnalazioni di alcuni dipendenti dei supermercati del comprensorio, che hanno notato più volte uomini di mezza età consegnare sacchi della spesa a giovanissime donne che rimanevano in attesa del loro ritorno all’uscita dell’esercizio commerciale. Le stesse più volte notate girovagare senza meta nelle strade. Scene analoghe si moltiplicano nella giornata del venerdì, quella del mercato cittadino. In attesa degli interventi delle autorità preposte, dal Comune di Soverato si cerca di affrontare il problema da un’ottica differente da quella repressiva. «Il fatto che qualcuno pensi di dover vendere il proprio corpo per riuscire a cibarsi - il commento dell’assessora alle politiche sociali Sara Fazzari - non può lasciarci indifferenti. Invito tutti a segnalarci le situazioni sospette per darci la possibilità di intervenire. Nel mio ufficio è attivo un banco alimentare permanente in cui alimenti e beni di prima necessità vengono volontariamente offerti dai cittadini per essere distribuiti a chi ne ha bisogno. Nonostante il lavoro dei nostri assistenti sociali può però capitare che qualcosa sfugga. Dalle operazioni passate è emerso che le donne che si ......

martedì 8 maggio 2018

Nicola Barbuto storia del prete scomodo di Simeri Crichi nella Calabria del Risorgimento." Il prete sicofante e le patriote invisibili " di Marcello Barberio.

Calabria e Risorgimento
Il prete sicofante e le patriote “invisibili”
di Marcello Barberio
Forse per tacitare il disagio della condivisione della cittadinanza con un personaggio che ha lasciato al paese natale l’infamante contumelia dei testimoni falsi per antonomasia, ho scritto più volte   -   seguendo l’intreccio delle Ricordanze della mia vita  -  dell’arresto a Catanzaro, nel 1839, di Luigi Settembrini, in seguito alla delazione alla polizia borbonica del prete di Crichi, Nicola Barbuto. Preoccupato d’indagare le ragioni vere del tradimento del mio compaesano e le eventuali ricadute del suo gesto sulle vicende del Risorgimento meridionale, ho glissato sui personaggi femminili della vicenda, già condannati alla invisibilità dalla retorica ufficiale e dalle narrazioni canoniche, in quanto personaggi minori, a latere dei loro uomini. Ed è stato così anche per Raffaela
Luigia Faucitano Settembrini, destinata a una vita claustrale e invece andata sposa a 17 anni al giovane professore di retorica e greco del Regio Liceo di Catanzaro.
Nel ’38 ispirò al marito il dramma “La donna del proscritto”, che non venne rappresentato nell’unico teatro cittadino, per la ferma e strumentale opposizione dell’intendente, il principe di Giardinello. Nel ’39  mise in guardia il marito alla vista del prete traditore; al quinto mese di gravidanza non esitò a raggiungere Settembrini a Napoli in occasione del suo primo arresto, pretese di parlare col ministro della polizia Francesco Saverio Del Carretto, con alti prelati e intendenti, andò fino all’isola di Santo Stefano dove il marito scontava la sua seconda condanna, in seguito alla pubblicazione clandestina del pamphlet “Protesta del popolo delle Due Sicilie”e alla fondazione della setta Unità Italiana. Eppure la storiografia ufficiale la ricorda solo come  custode dell’epistolario del  marito e per le sue lettere intercettate dalla polizia borbonica nel carcere napoletano di Santa Maria Apparente nel 1842 e indirizzate a Benedetto Musolino.
 “ Così passarono gli anni 1837 e 1838”.  -  racconta Settembrini  .  “ Ma tosto ci fu un traditore. Un prete mio amico G(aetano)L(arussa) volle che io conoscessi il parroco di un paesello chiamato Crichi, col quale ei mi disse che s’erano allevati insieme in seminario, e che era liberale e bravo, e si chiamava Nicola Barbuto. Quando io vidi questo parroco Barbuto sentii certa ripugnanza per lui, e mia moglie con quel fino senso che hanno le donne lo temeva come un nemico, ch’egli era brutto e nero come un topo, e aveva il labbro leporino: pure io l’accolsi  e gli feci dare un catechismo. Io gli diedi una lettera per Raffaele Anastasio, farmacista in Cosenza, e una pel Musolino in Napoli [ …] La notte dell’8 maggio 1839 mentre io dormivo mi fu accerchiata la casa da gendarmi e poliziotti..” E fu tradotto a Napoli.
 Ricorda Giuseppe Paladino (1) che nel Mezzogiorno operavano circa 12.000 convertiti alla setta carbonara I Figlioli della Giovane Italia, fondata nel ’32da Benedetto Musolino di Pizzo. Il parroco Nicola Barbuto di Crichi-Simeri dette all’Intendente  una copia del noto catechismo, un foglio con il motto d’ordine e l’emblema dell’associazione, senza rivelare in
principio  da chi aveva ricevuto quelle carte. Messo alle strette, indicò poi un Francesco Marino di Albi, nome affatto immaginario, e aggiunse, per deviare l’attenzione dell’autorità, che la setta era più diffusa in provincia di Cosenza.
                                                             

                                                                                                  
Nicola Barbuto (di Alfredo Piacente)

Ma l’Intendente ve lo mandò con l’incarico di far ricerche e il prete, dopo aver lasciato sperare buoni frutti dalla sua missione, tornò senza aver concluso nulla. Queste contraddizioni e tergiversazioni misero in sospetto il principe Giardinelli, che, dopo aver consumato varii mesi inutilmente, si persuase che il poco degno sacerdote, essendo riuscito a impadronirsi delle carte, aveva immaginato un piano di cospirazione e tentativo d’ingannarlo, sicché decise di arrestarlo e farlo punire col dovuto rigore come falso denunziante. In quel mentre però venne dal ministero informato della faccenda, l’ordine d’inviarlo nella capitale. Le rivelazioni del Barbuto apparvero alla polizia centrale che sapeva come stavano le cose da altre fonti, sotto una luce ben diversa da quella, in cui potevano presentarsi alle autorità provinciali ignare di molti fatti. Il parroco fu condotto a Napoli nell’aprile 39 e sia che si sentisse più sicuro da eventuali vendette per le sue rivelazioni, sia che il carcere gli incutesse paura, disse tutto. Non Francesco Marino, ma il Settembrini era stato il suo iniziatore; egli stesso avevagli dato, quando si era messo in via per Cosenza, una lettera di presentazione e raccomandazione per Raffaele Anastasio, farmacista in quella città e organizzatore della setta, e un’altra per il Musolino;  lettera che il prete non aveva consegnato ai destinatarii e che confessò di possedere ancora nella sua casa di Crichi-Simeri”. Settembrini, Musolino e gli altri furono tradotti al carcere di Santa Maria Apparente, a loro spese, “più fortunato l’Anastasio, messo a tempo sull’avviso, riuscì a darsi alla fuga” […] Settembrini negò di conoscere Barbuto e Anastasio”. Racconta Paladino.
Il ministro Del Carretto era convinto che la setta del Musolino fosse la stessa Giovane Italia di Giuseppe Mazzini, il quale in diverse occasioni si premurò di confutare l’equivoco. (2)  La bandiera dei Figlioli della Giovane Italia era nera a forma rettangolare con nel centro un teschio bianco sostenuto da due stinchi umani incrociati e la scritta “Riunione e Indipendenza Italiana.                  “I colori nazionali italiani si sarebbero adottati dalla Repubblica futura”. Il giuramento di fiere parole obbligava ogni convertito a essere “fedele, costante ed imperterrito soldato repubblicano […] ciecamente ubbidiente ai superiori […] di spegnere lo spergiuro e il denunziante [---] rinunziare a tutte le proprietà e tenerle in comune con tutti i fratelli convertiti […]”. E concludeva: “Se fossi così vile e miserabile da dimenticare i santi giuramenti pronunziati dinanzi a Dio e alla Patria, io sarei indegno di vedere la luce del giorno. Spegni allora crudelmente lo spergiuro!”E’ del tutto evidente la marginale influenza della Giovane Italia di Mazzini, che del giacobino di Pizzo rifiutava la concezione materialistica, il socialismo egualitario, il militarismo illuminato e l’anarchismo ante litteram. Da parte sua, Musolino ribatteva: “Il profeta di Bisagno, ostinandosi a ritenere la causa politica come inseparabile dalla religiosa, si espone a delle alternative poco favorevoli al suo ingegno come alla morale […] Non avendo potuto Mazzini guadagnare al suo partito i membri italiani del Comitato Latino, li fece denunziare al governo, accusandoli come cospiratori contro la sicurezza dello Stato”. Addirittura considerava il patriota genovese “un uomo nullo, intruso, usurpatore, giudeo errante della speculatrice democrazia del secolo XIX, un eccellente capo di scherani”. Altro che misticismo romantico.                                                        
                                                                  

Luigi Settembrini
Ma passiamo al processo dei cospiratori calabresi, seguendo l’orditura del Paladino:          “Settembrini imperniò il proprio sistema difensivo nel dipingere a foschi colori quelli che lo accusavano. Per Barbuto ebbe buon gioco a farlo dalla circostanza che il vescovo e un altro prelato dettero sfavorevoli informazioni di lui, e il primo si rifiutò di ascoltarlo allorché intendeva denunziare il buon professore di eloquenza”.
Per Settembrini: ”Sul Barbuto, l’istruttore ebbe da Catanzaro le più fosche informazioni, anche dal vescovo, che lo diceva 
indegno sacerdote e sospeso a divinis; ed altri lo accusarono di brutte infamie, che non voglio ripetere, e chiunque fu dimandato di lui, lo dipinse come un ribaldo[..]Quando si fu dichiarato denunziante, ognuno gli calò la mano addosso. Per non tornare più su di lui, dirò sin da ora che egli, sopraffatto dal pubblico disprezzo e dallo sdegno anche della sua famiglia, ammalò e morì poco dopo che fu fatta la causa”. La nemesi della borghesia e del clero carbonari.
Dagli studi di mons. Antonio Cantisani (3) risulta che, in quegli anni, era vescovo di nomina regia  di Catanzaro mons. Matteo Greco, di sicura fede borbonica, mentre “ sempre consistente era il gruppo di carbonari e di altri patrioti della nobiltà, in particolare intellettuali che nutrivano idee liberali, anche se da un punto di vista formale erano molto deferenti verso i Borbone”. La città contava 14.000 anime, distribuite in 10 parrocchie, mentre le 1.300 anime di Simeri e di  Crichi erano affidate alle cure di 14 preti. Secondo Umberto Caldora (“Calabria Napoleonica”), la regione contava poco meno di 800.000 abitanti, con 4719 preti, 701 frati, 609 monache, 356.000 campagnoli, 18.000 mendichi di cui 14.263 femmine. Con l’enciclica “Traditi Humilitati Nostrae” del 1829, Pio VIII aveva  condannato le società segrete, nemiche di Dio e dei prìncipi, dedite a procurare la rovina della Chiesa, a minare  
                                                    
                                                      

Benedetto Musolino
lo Stato e a sovvertire l’ordine universale, per cui “con tutto il Nostro zelo, vigileremo perché la Chiesa e la società civile non ricevano alcun danno dalla cospirazione di tali sette”. Già nel 1821, Pio VII, con la bolla “Ecclesiam a Jesu”, aveva proibito “la predetta società dei Carbonari o con qualunque altro nome chiamato”, concludendo: “A nessuno sia lecito contraddire con 

temeraria arroganza questo testo della Nostra proibizione e interdetto”.                                                       Secondo una consolidata tradizione locale, il prete delatore sarebbe morto in seguito ad una visita del protomedico di Catanzaro, che era accorso a Crichi per curarlo: il dottore non aveva ancora varcato il fiume Alli che le campane del paese già suonavano a morte. Nel Liber Mortuorum della parrocchia di Crichi, retta da don Domenico Sculco (4), risulta strappata la pagina dov’era stata registrata la morte di Barbuto: una mano pietosa deve aver pensato di occultare così la prova di una pretesa onta collettiva.  L’Archivio di Stato di Catanzaro, fondo Intendenza, custodisce “L’elenco dei giovani soggetti alla leva dell’anno 1824”, dove sono riportate distintamente le generalità dei coscritti di Simeri e di Crichi: al n° 65 di Crichi è annotato D. Nicola Barbuto, nato il 25 dicembre 1806, seminarista in Catanzaro, figlio di Domenico e di Diana Lopez.
La chiesa parrocchiale di Crichi custodisce una bella tela raffigurante “Scene delle anime del Purgatorio”(5), con la scritta “a devozione di Nicolino Lopez”, anno 1849. “Il prete rivelatore era un uomo perduto e perciò il vescovo erasi rifiutato di ascoltarlo”, conferma Paladino, sorvolando sui presumibili conflitti dell’uomo e anche sulla complessità della situazione politica. Nicola Barbuto, nell’aprile del ’39,  fu “condotto a Napoli, al sicuro da eventuali vendette per le sue  rivelazioni” e sottoposto a pesante interrogatorio, con l’eventualità del carcere che gli provocava grandissima paura, anche perché al suo primo arresto a Catanzaro, su ordine del Giardinello, era stato “punito col dovuto rigore”, cioè con la tortura. Per Settembrini, invece: “Non timore di Dio, né fedeltà al principe, ma il desiderio di farsi ricco e potente”.
E’ risaputo, però, che l’ala moderata della cospirazione del regno nutriva molte riserve sul programma dei Figlioli della Giovane Italia di Musolino, temendo lo sconvolgimento dello stato sociale e dei rapporti di classe nelle campagne e conseguentemente accusava i radicali fochisti di voler instaurare il socialismo con la violenza. Da parte sua Musolino non aveva alcuna remora a definire Mazzini un “uomo nullo, intruso, usurpatore, giudeo errante della speculatrice democrazia del secolo XIX, un eccellente capo di scherani”.(6) Anche la delazione diventava strumento di lotta nel complesso mondo della cospirazione e del settarismo, né il Risorgimento italiano  può essere                                                                                                                                    letto retoricamente come un processo storico lineare,sul mito del romanticismo, senza convulsioni e senza ostilità, scevro da tradimenti, ripensamenti e codardie. In “Cronaca dei fatti di Toscana, 1845-1849”, Giuseppe Giusti scriveva del patriota autonomista Giuseppe Montanelli: “Non ha né forte sentire né forte pensare. Nel ’31 fu della Giovane Italia, nel ‘33 sansimonista, poi socialista e comunista, poi ateo, poi bacchettone, poi giobertiano, poi daccapo mazziniano”. E Montanelli era professore di diritto all’Università di Pisa, fondatore del giornale “L’Italia”, volontario a Curtatone e Montanara contro gli Austriaci e infine autonomista-federalista contro la piemontesizzazione dell’Italia. Per Giovanni Spadolini si trattava, più semplicemente, di un dissidente del Risorgimento Italiano, come Enrico Cernuschi e Luigi Pianciani, cospiratori della sinistra liberale e componenti del Comitato franco-iberico-italiano (detto “latino”), sospettati nel ’51 di delazione alla polizia parigina contro altri esuli italiani, su ispirazione del mazziniano Comitato Democratico di Londra. Probabilmente, invece, era il frutto del lavoro della pervasiva rete degli occhiuti agenti e delatori delle varie polizie segrete (austriaca e borbonica in primis), come appare nei rapporti riservati dei tanti doppiogiochisti prezzolati, sulle  tracce dei patrioti risorgimentali emigrati a Parigi, a Londra e in Piemonte. Recentemente Agostino Botti ha pubblicato due epistolari, sotto il titolo di “Adalulfo Falconetti – Vita grama di una spia di Radetzky “ e “Giuseppe Favai – Una spia sulle tracce di Mazzini”. Anche le ostilità tra i patrioti contribuirono a tenere il popolo lontano dalle vicende risorgimentali, almeno fino all’arrivo di Garibaldi.  Ma torniamo alla cronaca del processo.
“Settembrini  - prosegue Paladino  - insistette sulla falsità delle dichiarazioni fatte dal Barbuto, attribuendogli la contraffazione della sua scrittura. Dette la colpa della disgrazia toccatagli al principe di Giardinelli e, quando si lessero le deposizioni dei testimoni, che lodavano l’onestà di sua moglie, esclamò: “E’ questo il mio peccato!”. Ma davvero le sue sventure erano da mettere in diretta relazione con l’onestà di sua moglie? Ci piace pensare che quell’esclamazione celasse piuttosto l’orgoglio per la riconosciuta virtù della sua Gigia. E non altro.
 Sappiamo che venne assolto, unitamente al Musolino, e posto in libertà provvisoria, con la concreta  possibilità per la polizia di trattenerli in carcere per altri due anni. Gigia non si perse d’animo, anche fuori dagli stereotipi del tempo, e riuscì a farsi ricevere dal re e dal ministro Del Carretto, per protestare contro l’ingiusta e arbitraria carcerazione del marito e di Musolino. Ma senza risultato.
“Nel mese di marzo del ’42  -   aggiunge Paladino  -   “fu scoperta per caso una corrispondenza tra Benedetto Musolino, che si firmava Pollak, e la moglie del Settembrini, detta Salica [..] La polizia volle interpretarle come documento di una relazione amorosa”, la quale, a dire del ministro Del Carretto “mostrava a chiare note in quale conto tener si dovessero le tante dicerie nella difesa della causa sull’inquisizione pur fatta in Catanzaro per debilitare le pruove irrefrangibili del processo, secondando così tutti i maneggi per potenti fini, onde la causa e i rei avessero buon vento, mentre in realtà, se non si vuole credere che il giovane calabrese fosse così astuto da celare sotto un linguaggio apparentemente innocuo sentimenti non lodevoli, si tratta di lettere di pura amicizia, che i due si scambiavano di tanto in tanto come ricordo della fraternità contratta negli anni giovanili. Il Settembrini vi è nominato col nomignolo di Omar. Finalmente il 25 ottobre 1843 la  
Commissione Superiore dichiarò liberi definitivamente i prigionieri, che lasciarono il carcere con l’obbligo di prendere domicilio nelle patrie rispettive”.                                                                                         La famiglia Settembrini non poté tornare a Catanzaro, ma dovette rimanere forzatamente a Napoli, dove, tre anni dopo, il patriota pubblicava clandestinamente il pamphlet “Protesta del popolo delle Due Sicilie” e fondava la nuova setta “Unità Italiana”. Il 23 giugno del ’49 veniva arrestato nuovamente e condannato a morte, pena poi commutata in ergastolo, da scontale nell’isola di Santo Stefano. Le traversie continuavano a non concedere tregua a Gigia. A Napoli partecipò alla rete di solidarietà politica a sostegno dei prigionieri politici, entrò nel Comitato Politico Femminile e poi nel Comitato Politico Mazziniano Femminile fondati da Antonietta De Pace e da altre donne della nobiltà e della borghesia meridionale, incontrò cospiratori, esuli, ambasciatori, cardinali e lo stesso  Ferdinando II, al quale presentò una supplica per la libertà del marito. Per i suoi spostamenti non si fece scrupolo di spacciarsi per la moglie di un ufficiale di Nino Bixio; raggiunse il carcere di Santo Stefano per il collegamento con i detenuti politici, ai quali impartiva istruzioni con lettere scritte con inchiostro simpatico, per la preparazione di un piano di evasione, fallito nel 1855. Incontrò anche il conte Cavour. Si stupì non poco dell’inatteso omaggio coniugale della traduzione de “I Neoplatonici” di Aristeo di Megara. (7) Altro che “ospite-non protagonista della storia”! Il marito fu liberato al passaggio della truppe garibaldine, che sollevarono grande entusiasmo anche tra i lazzaroni e i contadini con la loro atavica fame di terra; lei tornò nell’ombra, secondo una persistente rappresentazione culturale, che contempla processi di autocancellazione per donne silenti e invisibili. La morte la colse a Napoli nel 1876, nell’Italia unita, nella quale, però, già si affacciava la questione meridionale.

Invisibili e silenti rimasero i rappresentanti dell’ultima plebe, poveri, incolti e dolorosamente scettici come il nostro prete-contadino, un sanfedista col mito del ribellismo, che...........