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giovedì 31 maggio 2018

Santi monaci e chierici selvaggi nella Catanzaro del Seicento


SANTI MONACI E CHIERICI                                                                  SELVAGGI                                                                                                       

Nell’estate del 1623, il lucchese Lorenzo Cenami prendeva possesso a Catanzaro dell’ufficio di Governatore della Calabria Ultra, in esecuzione  della nomina di Filippo IV di Spagna, e subito sperimentava l’ostilità dei baroni e dell’alto clero, come emerge chiaramente dalle Visite ad Limina dei vescovi  di Catanzaro(Fabrizio Caracciolo), di Squillace (Fabrizio Sirleto), di Belcastro (Girolamo Ricciulli), dell’ Isola ( Ascanio Castagna) e di Santa Severina (Diego Cabeza de Vaca).  Quest’ultima diocesi metropolitana  comprendeva la città di Crotone e le suffraganee di Umbriatico, Cerenzia, Gallipoli e dell’Isola; Belcastro  comprendeva anche i villaggi di Villa Aragona e Sant’Angelo, abitati prevalentemente da profughi albanesi e dagli ebrei (marrani) sfuggiti agli editti di espulsione del 1492 e del 1510. La diocesi di Catanzaro  era  suffraganea  della metropolìa di Reggio Calabria e comprendeva  8 foranìe, 6 istituti religiosi maschili, 2 monasteri domenicani femminili, 3 conventi delle Clarisse (di Santa Chiara, della Stella e delle Convertite o  “pentite” della  Maddalena) e un numero esorbitante di associazioni e confraternite. In base al trattato di Barcellona del 1529 tra papa Clemente VII e l’imperatore Carlo V, delle 24 diocesi calabresi erano di presentazione regia gli ordinari di Tropea, Cassano, Reggio e Crotone, mentre gli altri vescovi erano di esclusiva nomina pontificia. A Catanzaro, a Simeri, a Cropani, a Belcastro e a Santa Severina erano ancora attive nelle “judeche” alcune comunità ebraiche  -   col ruolo di “banchieri” (a usura) a sostegno della non florida economia locale  -   fortemente caratterizzate da un’ aspra conflittualità con la maggioranza cattolica della popolazione, specie durante la settimana santa, quando solevano “cagionare molti inconvenienti”, in associazione col risus paschalis. Infatti, durante la liturgia pasquale, il prete si trasformava nella sua antitesi comica del giullare plebeo, per suscitare la grassa ilarità dei fedeli, con buffonesche sconcezze, mimiche e verbali, soprattutto a sfondo sessuale. Si trattava, verosimilmente, della stratificazione folklorica di un antico rito pagano come la festa dei folli di ascendenza naturalistica, costantemente condannato nelle disposizioni “colte” dei sinodi calabresi dei secoli XVI e XVII.    
Nell’Archivio Generale Agostiniano di Roma (A.G.A., Cc 13, f.153) è custodita la lettera del 27.3.1659 del vescovo Visconti di Catanzaro con la quale invitava il vicario foraneo di Simeri  a eliminare con adeguato zelo il fanatismo religioso e la credulità popolare durante la rappresentazione della passione di Cristo della Settimana Santa, quando “drappelli di giovani vestiti da soldati romani e cortei di giudei, con la loro mimica suscitavano risi e lazzi più che devozione”-  In altre lettere (f.225) lo stesso prelato (di provenienza milanese) scriveva al confratello vicario di Taverna: “Viviamo in modo che le chiese sono fatti postriboli e lupanari, non vergognandosi di tenervi letti e donne impudiche con molta offesa  del Creatore […] L’immunità stessa ci fa più insolenti perciocché ivi, armati e dalla porta o poco longi dalla chiesa, oprano molti scandali e necessitano li nemici a star lontano [..] giochi, bagordi, crapule, cantilene oscene”. Infine, alla Congregazione dei Vescovi comunicava, in ossequio alle disposizioni tridentine: “Non vi è casa che non habbi clerico, non vi è clerico che non habbi donatione, non vi è donatione che non sia finta, non vi è fintione che non generi travagli con i regij, con la communità e con i parenti vedendo il tutto dovuto al clerico”. (Cfr,” Un milanese nella Calabria vicereale”, a cura di Donatella Gagliardi).
Dall’ “Epistolario Ufficiale del governatore Cenami” e dal “Cunto del Real Thesoriero di Calabria Ultra apprendiamo che il sistema difensivo calabrese contro le nuove ondate delle incursioni piratesche  turche, dopo l’effimera vittoria di Lepanto del 1571, era così strutturato: 339 torri di guardia costiera (49 torri di avvistamento e di presidio  in Calabria Ultra, di cui 18 dall’Alli al Neto),  castelli “marittimi” ,  provvisti di adeguata artiglieria, affiancati dalla compagnia spagnola della piazzaforte di Crotone e dalle compagnie di cavalleria della milizia di Papanice, Stalettì e Catanzaro, acquartierate a 4 miglia dalla costa di Simeri e di Cropani e sul Tacina. Nella sola marina di Catanzaro insistevano, sin dal tempo dei viceré Pedro de Toledo e Pedro de Ribera, una torre angioina, la daziaria e due cavallare, di cui una a La Petrizia.
                                        

                                                           Incursione saracena
Le comunità locali erano oberate da un’infinità di pesantissimi balzelli, che servivano a sostenere lo sforzo bellico spagnolo e l’opulenza dei nobili e delle mense vescovili: i contadini erano piegati all’asservimento del villanaggio o costretti ad abbandonare i casali, per sfuggire alle vessazioni  del sistema feudale, come la decima, la fida,gli angari e parangari, il diritto di piazza e di caricatura, i diritti proibitivi (jus proibendi mulini, trappeti e  acque pubbliche) e particolari, come quello relativo alle chiese collegiate, sulle quali il patrono vantava il diritto della provvista ecclesiastica. Così a Cropani, a Simeri, a Squillace e all’Isola.
Il Governatore si scontrò subito col Preside della Regia Udienza  e con la cupidigia dei funzionari regi, dei collatori ecclesiastici e baronali (con i Ravaschieri  di Simeri, Cropani e Satriano, con i Sersale di Belcastro , i Borgia di Squillace, i Ruffo della contea di S. Severina, i Cicala di Gimigliano e Tiriolo, tutti titolari della giurisdizione penale del mero e misto imperio), ma soprattutto con l’ignoranza dei monaci e del clero secolare e con la corruzione nei tribunali locali, laici e religiosi, competenti anche sui  benefici e sui regi patronati.   
Dalle ispezioni delle visite triennali dei vescovi (imposte dal Concilio di Trento) emerge  che diversi parroci sottoscrivevano gli atti col semplice segno di croce, altri non sapevano celebrare messa e non avevano cognizione dei libri parrocchiali, oltre a trascurare la custodia degli arredi e dei paramenti e a eludere l’obbligo della residenza, preferendo vivere in luoghi più salubri e più comodi.  Perduravano abusi e immoralità, mentre diverse chiese andavano in lenta rovina a causa dell’usura del tempo e dell’incuria generale.  “Il numero dei chierici continuava ad essere pletorico. Solo poco più di un terzo, però, erano ordinati in sacris. Tra gli altri ..[…] i diaconi o chierici selvaggi  e i chierici coniugati […] godevano della esenzione delle tasse e non erano soggetti al foro civile”, ha confermato recentemente mons. Antonio Cantisani, in “ Vescovi a Catanzaro (1582-1686)”. Alle stesse conclusioni era giunto anche Augusto  Placanica (“Storia della Calabria”) trattando del clero postridentino regionale: “chierici corrotti, duellanti,protettori di banditi o banditi essi stessi […]nonostante le condanne dei sinodi diocesani e dei concili provinciali. I chierici selvaggi, per lo più di provenienza aristocratica, erano esenti da imposte e gabelle, violenti,perturbatori dell’ordine pubblico […] rappresentavano il 64% del clero secolare.” Secondo i dati della Relationes 205 del 1636 di mons. Caputo (Arch. Seg. Vat, Congr. del Concilio), a fronte di una popolazione di 29.416 abitanti della diocesi di Catanzaro, il clero secolare era costituito da  933 unità (3,1%), di cui 369 sacerdoti (1,2%) e 564 chierici (1,9%).
Padre Giovanni Fiore (“Calabria Illustrata”, 1691), però, racconta anche di ecclesiastici di santa vita, dotati  di una solida spiritualità penitenziale, come fra’ Girolamo di Albi, fra’ Lorenzo di Cutro, fra’ Bonaventura dell’Isola, frat’Antonio di Magisano, fra’ Bonaventura di Zagarise, fra’ Bernardo de Cumis di Catanzaro, frat’Antonio Piccoli di Squillace, diversi monaci dell’ordine francescano del beato Paolo D’Ambrosio di Cropani e soprattutto il profetico fra’ Silvestro di San Pietro di Taverna, “arricchito di gran lume per conoscere le cose occulte”.  Dimorò nel convento dei cappuccini di Simeri per oltre 25 anni e , “singolarissimo nell’umiltà” e nella perpetua vita quaresimale, si faceva chiamare col nome del bandito Scarcella, mentre “quelli di Simmari portavano opinione che per la sua sola santità Iddio conferiva loro ogni bene”. Un giorno, il duca di Girifalco inviò un suo delegato, “ con mediocre comitiva di gente armata, per consultare con Fra’ Silvestro cose di premura, ma quei della Terra, rapportando fossero venuti per portarsi l’uomo di Dio, corsero a folla in convento” , costringendo il messo a tornarsene indietro.
 Dalle “Visite” scopriamo anche che, il basso clero e gli ordini religiosi mendicanti vivevano in povertà, nel rispetto delle costituzioni francescane, che prevedevano la “cerca” da parte degli oblati con la bisaccia e il somarello,  per la sussistenza dei frati e per sfamare i poveri nel bisogno e in tempo di carestia. Incredibilmente anche nel campo dell’oblazione monacale si registravano abusi e nefandezze varie da parte di vagabondi e mestieranti travestiti da quaestores elemosinarum o da eremiti, che giravano per le campagne e i paesi imbonendo le persone semplici  con racconti mirabolanti a fini estortivi, per poi vendere la mercanzia a privati e agli stessi ospedaletti di mendicità.  Sempre nell’Epistolario del Cenami, alla data dell’8 novembre 1623 è riportata la cronaca dell’aspro conflitto tra il principe Ettore Ravaschieri, feudatario di Simeri, e il vescovo di Catanzaro Fabrizio Caracciolo, a causa del diritto particolare dell’ “utile signore” sulla chiesa di giuspatronato di Santa Maria dell’Itria, elevata a insigne collegiata, con bolla da Firenze del 15.9.1440 di papa Eugenio IV, al tempo di Roberto d’Angiò. Dal “Regesto Vaticano per la Calabria” di p. F. Russo, dalla Relazione ad Limina del 1592 di mons. Nicolò Orazi e dall’Archivio della R. Giurisdizione (vol. 2,n.91, a.109) risultava certo ed attuale il diritto ereditario del feudatario di Simeri di “presentare canonici e altri beneficiati semplici”, conformemente alla bolla papale, che ne riconosceva la “facultas presentandi”, in diretta associazione col diritto di patronato. Si trattava di un diritto onorifico, oneroso e utile del feudatario,il quale doveva garantire la funzionalità dell’edificio religioso e il sostentamento dei beneficiati (una sorta di compenso agli uffici dell’arciprete, del cantore, del tesoriere e degli altri 8 canonicati semplici). Non trattandosi di giuspatronato popolare, non necessitava dell’approvazione del vescovo. Il Vicario Generale del presule di Reggio (Annibale D’Affitto) si recò a Simeri “per eseguire la commissione del vescovo di Catanzaro (collatore ordinario jure primaevo et naturali), il quale anch’egli fu là standogli intorno gran numero di chierici di questa diocesi, armati di tutte le armi […] Successe un gran tumulto per l’arresto del capitano Tuxo di Cropani”, che parteggiava per la gente del luogo e sosteneva il principio della soggezione degli ecclesiastici all’ordinamento statale. Inoltre, secondo tradizione, l’attore era tenuto a seguire il foro del reo, per cui “contra laici non giudici ecclesiastici”!  Mons. Caracciolo rappresentò, con scarso successo, la controversia alla Gran Corte della Vicaria di Napoli e al papa Urbano VIII, sostenendo che il Preside Giovanni Eques, protetto dal cardinale  spagnolo Antonio Zapata Cineros, non rispettava le prerogative e le immunità ecclesiastiche. Nel contempo il vescovo di Belcastro apriva un altro contenzioso con la mensa vescovile di Catanzaro e col barone Cesare Marincola per il pagamento di alcune decime, in particolare quella sulle terre di Magliacane e del Marchesato, considerati veri e propri “granai di frumento”. Intanto i baroni e il clero, piccoli re e tiranni, con i loro privilegi e la sete di ricchezza, alimentavano la rabbia e il crescente malcontento popolare, che sovente sfociava in episodi di vero e proprio brigantaggio. Sulla costa, pastori, contadini, mendichi e prostitute aspettavano l’arrivo delle galee corsare per imbarcarsi come rinnegati o odalische nel Magrheb, e finivano per popolare interi quartieri in Barberia, a Tunisi e a Tripoli.
“All’armi, all’armi, ‘a campana sona!                                                                                                               Li Turchi su’ sbarcati alla marina.                                                                                                                          Si teni  scarpi vecchi, ti li soli,                                                                                                                   c’avimu ‘e fara nu lungu caminu.                                                                                                                    ’U patruna vena sempra de luntanu,                                                                                                        quannu sona ‘a campana e a genta  sinde cala alla marina!”
 Emblematiche sono le storie di Uccialì dell’Isola  e di Bassà Cicala, che per Luigi  Settembrini fu  colui che “fece nascere e fu occasione della congiura, alla quale presero parte alcuni Vescovi, alcuni baroni, molti ecclesiastici e molti banditi e se aveva un capo non fu il Campanella”, il cui sublime ardimento “parve follia”.  A dispetto anche dei molti tradimenti, come quello del capitano di Taverna Pompeo Mazza (a.1634) e dell’altro capitano Carlo Barracco, che, alleato con i Turchi,  a Capocolonna  taglieggiava civili, militari ed ecclesiastici.                                                                           Era  il tempo della guerra dei trent’anni (1618-48), dei processi  del Sant’Ufficio contro Tommaso  Campanella  “et alios fratres ordinis praedicatorum””, dei briganti Bruno Martino e Marco Berardi ( Re Marcore), della rivolta napoletana di Tommaso Aniello contro le gabelle  e dei tumulti antifeudali e antispagnoli in tutto il Regno.  Emuli calabresi di Masaniello furono il Cassanese Briola, il medico Cosimo Granito, Padre Camillo di Cerchiara,  il marinaio di Parghelia  Leonardo Drago e Carlo Pisano di Simeri, aiutante del Preside della Provincia: la cronaca di quegli avvenimenti ci è stata tramandata solo  dai resoconti di parte spagnola, in particolare dalle “Memorie Historiche della Città di Catanzaro” di Vincenzo D’Amato e dal “Diario contenente la storia delle cose avvenute nel Regno di Napoli negli anni 1647-53” di Francesco Capocelatro.                                
Castello Simeri, restauro 2015                                                                                      
 “Non vi fu luogo della Calabria, che con chimere fantastiche non sognasse di governarsi da Repubblica con proprie leggi […] Terminarono in fine le sciagure del Regno con l’arrivo di D. Giovanni d’Austria in Napoli, che domate le forze del Popolaccio, lo rimesse in obbedienza, rimanendo prigione il duca  di Ghisa, arrestato, mentre fuggiva e mandato in Spagna. […] Alcuni capi di quella gente vilissima, che ardì di muoversi in tempo che tutta la città di Catanzaro stava quieta, castigati con l’ultimo supplizio. […] La peste a Napoli del 1656 […] Una squadra di galere africana, condotta da un rinnegato della Terra, sbarcarono a Stallatì di notte, predaro le case senza fare schiavi perché gli abitanti si salvorno con la fuga. La Terra fu incendiata, le Chiese strapazzate con indecoro ..] e con essa Montauro e Gasperina villaggi […] A Catanzaro accorse Achille Minutolo cavaliero napolitano Preside della Provincia con quattrocento cavalli”, racconta sempre il D’Amato. Il quale riferisce che il Sindaco e gli Eletti di Catanzaro inviarono il signor Agazio di Somma da D. Iuan de Arcos per rappresentare “la voglia ardentissima della città d’impegnarsi sempre al servigio della Corona”, ricevendo la rassicurazione di “toda satisfacion, esperando lo continuereis siempre en observancia de vuestra antigua y incorruptible fielidad”.                 Giovanni D’Austria poteva dirsi più che soddisfatto dell’opera del principe Fabrizio Pignatelli, nominato Vicario Generale delle Calabrie, col compito di spegnere con le armi  gli ultimi focolai della rivolta plebea e contadina. Falliva la rivolta dei “lazzari” libertari e visionari inconsapevoli   -   declassata da B. Croce a moto plebeo “senza bussola e senza freno, senza capo né coda”  -   e veniva confermata la fedeltà alla corona spagnola.
Intanto a mons. Caracciolo era subentrato nell’amministrazione della diocesi catanzarese Fra’ Luca Castellini dei padri predicatori, seguito da mons.  Consalvo Caputo e poi, dal 1646 al 1656, dall’esperto latinista mons. Fabio Olivadesio. Così nella cronotassi  Cantisani.  Alla morte di mons. Sirleto, ad aprile del 1635, la cattedra vacante di Squillace fu assegnata a mons. Giuseppe della Corgna; a Santa Severina s’insediava mons. Niceforo Melisseno Comneno, seguito da Juan Pastor e da Girolamo Carafa, mentre la sede di Belcastro veniva occupata da Antonio Ricciulli e poi da Filippo Crino, Bartolomeo Gessi, Francesco Clerico e Carlo Sgombrino.
Dal minuzioso lavoro di mons. Cantisani apprendiamo che alla morte del vescovo Consalvo, il Capitolo e il clero catanzarese supplicarono il pontefice perché scegliesse un pastore che si distinguesse per “pietà e amabilità”. A maggio del 1648,però, l’arcidiacono e i canonici della cattedrale di Catanzaro indirizzavano al papa una circostanziata denuncia di simonia contro il vescovo Olivadesio, il quale, per 50 ducati,  aveva assolto un assassino (di un monaco francescano) che aveva anche  “estratto” dalla chiesa di Sant’Agostino tale Cesare Ligudi di Simeri, in aperta violazione dell’antico diritto d’asilo. La Congregazione dei Vescovi sospese l’Olivadesio, sospettato  anche di relazione particolare col suo confessore, p. Giovanni Battista da Squillace, ministro dei Frati Riformati . La sua morte nel 1656 fu intesa come una liberazione, secondo l’opinione di Cesare Mulè (Una storia di Catanzaro); gli succedeva il milanese  Filippo Visconti, seguito nel 1664 dal poeta marinista petrarcheggiante Agazio di Somma, il quale  -  secondo la ricostruzione di Francesco Russo  -  aveva dovuto per tempo ottenere la dispensa a ricevere gli ordini sacri, essendosi macchiato di omicidio, in gioventù. Fedelissimo alla corona spagnola già come “messo cittadino”, è ricordato soprattutto per la sua copiosa produzione letteraria, in particolare per il poema “Dell’America, canti cinque”, per “L’arte del vivere felice” e per  l’ “Historico racconto dei tremoti della Calabria dell’anno 1638 fino all’anno 1641”, oltre che per un “Discorso sull’origine dell’anno santo” (chiaro esempio d’inculturazione delle fede, con riferimento al centesimus annus degli antichi e alla derivazione del Natale dalla festa del Sol Invictus o solstizio d’inverno).
“Per entrambe le Provincie si sollevarono dalle ruine densissime polverose caligini: per tutto lo ..............

mercoledì 30 maggio 2018

Importante scoperta alle porte di Catanzaro team di ricercatori hanno rinvenuto un rarissimo minerale in località "Fiumarella"



Un minerale molto raro è stato scoperto per la prima volta in Calabria, grazie a una collaborazione multidisciplinare che ha visto coinvolti l’Università della Calabria, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria e l’Università di Bari. Si tratta della “Wulfenite” (PbMoO4), un minerale appartenente alla classe dei molibdati, minerali molto utilizzati per l’estrazione del molibdeno. Il minerale è stato scoperto in prossimità di una vecchia miniera di Barite ubicata a Catanzaro, in località Fiumarella. Il gruppo di lavoro, costituito da Andrea Bloise (Unical), Luigi Dattola (Arpacal), Ignazio Allegretta (Uniba), Roberto Terzano (Uniba), Mirco Taranto (Unical) e Domenico Miriello (Unical), ha recentemente pubblicato i risultati della scoperta sulla rivista “Data in Brief”.
Negli ultimi anni sono state sviluppate tecnologie innovative che consentono di esplorare il mondo delle micro-mineralizzazioni senza distruggere i preziosi minerali; si tratta di un filone di ricerca totalmente inesplorato in Calabria e che, assicurano gli autori, offrirà, in un futuro assai prossimo, altre interessanti scoperte.
Il rettore dell’Università della Calabria, Gino Mirocle Crisci, ha manifestato tutta la sua soddisfazione per l’importanza della scoperta: «Come geologo e come membro del dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Unical, vedo in questa ricerca il potenziale che ancora la nostra terra può offrire e come la .............

martedì 29 maggio 2018

Smontano un tetto in amianto senza alcuna autorizzazione 2 denuncie nel Catanzarese e sequestro di 26 pannelli di Eternit

Hanno smontato dal tetto di un edificio pannelli con amianto, per poi accantonarli al suolo, in assenza di qualsiasi abilitazione. Così il socio di una ditta di costruzioni e il privato cittadino committente dei lavori sono stati denunciati all'autorità giudiziaria per aver esercitato attività di gestione di rifiuti non autorizzata.

È successo a Girifalco in un cantiere edile per la riqualificazione di uno stabile destinato a civile abitazione, a San Pietro a Maida, dove i carabinieri hanno effettuato controlli nei cantieri edili. Nel corso delle attività hanno segnalato la situazione all'Ispettorato Territoriale del lavoro di Catanzaro per l'elevazione di conseguenti sanzioni amministrative e sequestrato 26 pannelli e vari....

lunedì 28 maggio 2018

Catanzaro Lido 29 enne aveva trasformato la sua abitazione in una mini serra per la marijuana con piantine alte 70 centimetri

È stato beccato con droga, denaro in contanti, e una mini piantagione di marijuana. Per questo motivo per un 29enne catanzarese senza precedenti sono scattate le manette. È successo nel capoluogo di regione dove i carabinieri del Nor hanno effettuato un controllo dopo aver notato il giovane mentre si aggirava con fare circospetto nelle adiacenze della propria abitazione, nel quartiere Lido.

Ieri sera l’uomo è stato nuovamente avvistato e per questo motivo i militari dell’Arma hanno effettuato un controllo, nel corso del quale hanno intuito che il giovane potesse nascondere qualcosa nella propria abitazione. Da qui la decisione di procedere a una perquisizione domiciliare nel corso della quale hanno trovato all’interno di una cassettiera della camera da letto, due buste in cellophane con 115 grammi circa di marijuana già suddivisa in “fiocchetti”, una busta in cellophane contenente circa 28 grammo di cocaina e un portafoglio contenente 1500 Euro in contanti, suddivisi in banconote di vario taglio, un bilancino di precisione e materiale per il confezionamento della sostanza stupefacente.
Subito dopo, la perquisizione è stata estesa anche ad una cantina di pertinenza dell’abitazione, dove è stata trovata una piccola serra indoor con 5 piantine di Marijuana già in fiore, dell’altezza di circa 70 centimetri, oltre a un sistema organizzato per la coltivazione, composto da un impianto di illuminazione con due lampade alogene di grosso calibro ed un convogliatore di aria elettrico dotati di timer, un termometro, un taglierino ed un altro bilancino di precisione.
Al termine delle operazioni, la droga, il denaro contante e tutto il materiale per la produzione, la coltivazione e il.......

sabato 26 maggio 2018

Uccise un 56 enne dopo una banale lite di precedenza non data sulla SS106. Condannato 27 del catanzarese per omicidio preterintenzionale

Cinque anni e quattro mesi di carcere: questa la condanna inflitta nel processo col rito abbreviato a carico di Angelo Viscomi, il 27enne di Belcastro, accusato dell’omicidio preterintenzionale di Salvatore Gidari, ferroviere all’epoca 56 annideceduto dopo venti tre giorni di coma nell’estate del 2017.
Foto  D'Archivio
La sentenza è arrivata oggi dal giudice per l'udienza preliminare Carmela Tedesco, davanti al pubblico ministero Graziella Viscomi, del tribunale di Catanzaro: Viscomi dovrà anche pagare il risarcimento del danno alla parte civile, da quantificare in altra sede.
I FATTI
In quel frangente Viscomi avrebbe colpito con un calcio Gidari che, caduto a terra, avrebbe battuto violentemente la testa.




Soccorso l’uomo venne subito portato nell’ospedale del capoluogo, dove.....

venerdì 25 maggio 2018

Anche Sersale e Taverna tra i comuni Calabresi che non hanno inviato i dati sulla raccolta dei rifiuti. Ecco l'elenco completo diffuso dall'Arpacal

Sono 272, su un totale di 409 e pari al 66,5%, i Comuni calabresi che hanno trasmesso all’Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Calabria) i dati sui quantitativi di raccolta differenziata e rifiuti urbani prodotti nel 2017. Il termine fissato dalla Regione nel Regolamento sulla trasmissione dei dati, infatti, era per lo scorso 5 maggio.

E’ quella di Reggio Calabria la provincia che ha ancora il maggior numero di comuni “ritardatari” nella trasmissione dei dati, sia in valore assoluto e sia percentuale. Sono, infatti, 51 su 97 i municipi reggini (52,58%) a non aver inviato affatto la documentazione richiesta dall’Arpacal. Segue la provincia di Cosenza (41 comuni sinora assenti su 153 pari al 26,45%), quella di Catanzaro (22 assenti su 80, pari a 27,5%), Vibo Valentia (15 assenti su 50, pari a 30%) e Crotone ( assenti su 27, pari a 29,63%).
Si ricorda, infine, che una volta completato, il Report – realizzato dal Dr. Clemente Migliorino, Responsabile della Sezione Regionale Catasto Rifiuti istituita presso il Centro regionale di coordinamento Controlli Ambientali e Rischi della Direzione Scientifica dell’Arpacal, e dal dott. Fabrizio Trapuzzano –  sarà  inviato all’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e comunicato al Dipartimento Ambiente della Regione Calabria.




a seguire l’elenco completo dei Comuni calabresi che non hanno ancora trasmesso la scheda dati all’Arpacal............