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lunedì 22 giugno 2020

Controlli dei carabinieri nei comuni di Cropani, Magisano e Botricello arrestati 3 persone per droga


Sono tre le operazioni antidroga condotte dai carabinieri della Compagnia di Sellia Marina nel corso dell’ultima settimana. I controlli hanno interessato i comuni di Botricello, Cropani e Magisano e hanno portato all’arresto in flagranza di reato di 3 persone e alla denuncia in stato di libertà di altre due.In particolare, già sabato scorso i militari della Stazione di Botricello avevano eseguito perquisizioni personali e domiciliari, rinvenendo a casa di due fratelli, 7 dosi di cocaina, bilancino di precisione e tutto l’occorrente per il confezionamento dello stupefacente. Dopo qualche giorno, sempre i carabinieri di Botricello hanno trovato della sostanza stupefacente occultata nella cuccia del cane di un’abitazione nel comune di Cropani: arrestando così padre e figlio, con il primo che aggrediva i militari nel tentativo di sottrarre il figlio alla Legge. L’attività di contrasto ha interessato anche il territorio di Magisano dove la stazione carabinieri di Zagarise, al termine di mirati servizi di osservazione, ha sorpreso un uomo di 45 anni mentre irrigava una piantagione costituita da 22 piante di marijuana. Gli arresti e i sequestri eseguiti dal personale dell’Arma sono stati..........

sabato 20 giugno 2020

Il misterioso albero mangia pietre Il suggestivo albero secolare si trova all'interno del Parco Nazionale della Sila


Molti anni fa, nel percorrere i fitti e scoscesi boschi della media valle del fiume Lese, mi capitò di imbattermi in una bizzarra creatura arboreaUn secolare Carpino nero (Ostrya carpinifolia) dalle strane forme, dominava una scarpata all’interno di una fitta foresta di caducifoglie, dove mi ero portato per cercare uno dei più temuti predatori alati delle selve silane: l’Astore (Accipiter gentilis). Ciò che mi colpì più di ogni altra cosa, furono i fusti della pianta, incredibilmente intessuti di pietre della più svariata forma e dimensioneCon sontuosa delicatezza, quei massi si erano conficcati e amalgamati all’interno del legno al punto tale che nessuna sofferenza sembrava trasparire da parte dell’albero. La vecchia pianta, ricoperta di muschi e licheni, rappresentava una sorta di baluardo in uno degli ultimi lembi del Parco Nazionale della Sila, situato al confine tra le province di Cosenza e di Crotone. Durante le mie tante scarpinate per monti e per valli della Sila non avevo mai visto niente di simile. Per ore rimasi ammaliato dalla forza e dalla dignità suprema di quella creatura. Nel silenzio e nella riflessione a cui invita il luogo, ho cercato a lungo di trovare una risposta ai miei interrogativi, convincendomi alla fine che non sempre c’è un perché ai misteri della natura. Quel vecchio Carpino era nato tanti anni prima, elevandosi faticosamente da una densa sassaia. Aveva inghiottito le tante pietre della scarpata e mi chiedevo se fosse stato un fatto necessario all’ecosistema del bosco oppure se quell’albero, in una sorta di mitica metamorfosi, avesse voluto quasi crearsi uno scudo, mutandosi in un “guerriero” a difesa della foresta.

 Conclusi che fossero semplicemente ammirevoli la tenacia e la pazienza che aveva impiegato nei secoli per superare innumerevoli difficoltà come siccità, gelo, vento e le tante minacce umane tipiche del nostro tempo, offrendoci un chiaro e grande esempio della forza suprema di Madre Natura. Un religioso silenzio accompagna ancora oggi quel bosco appartato, l’albero “mangia-pietre” è ancora lì e domina la valle sembrando osservare scrupoloso ogni evento e proteggere la foresta con audacia. Forse la vera funzione dell’albero che mangia le pietre è quella di essere un faro per illuminare l’unica strada percorribile da noi umani, ossia nient’altro che quella del rispetto verso la natura. Khalil Gibran diceva: “Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo. Noi li abbattiamo e li trasformiamo in carta per potervi registrare, invece, la nostra vacuità”:chissà il vecchio albero “mangia-pietre” quante storie ci potrebbe raccontare e quante cose saprebbe insegnarci, se solo ci impegnassimo a entrare in armonia con tutto ciò che ci circonda e a comprendere il legame ancestrale che da sempre intercorre tra l’uomo e la natura. Che il cielo possa assicurare a questa magnifica e misteriosa creatura la pace e la..............
forza necessarie per continuare a essere un simbolo di resistenza contro le asperità della vita.
Gianluca Congi *
*Ornitologo e coordinatore del Gruppo Locale di Conservazione-Sila; noto appassionato e divulgatore di tematiche legate alla natura, conduce da tanti anni osservazioni e ricerche in particolare sull’avifauna del territorio calabrese e silano ed è organico in numerosi gruppi di ricerca. Oggi presta servizio per la difesa del territorio nel Corpo della Polizia Provinciale di Cosenza.

venerdì 19 giugno 2020

In giro per Catanzaro con l'auto pieno di droga. 5 kg di marijuana e cocaina Colti in flagranza di reato un 41enne e un 26enne.

In giro con un borsone pieno di droga, durante la notte servizio di controllo del territorio, 2 arresti a Catanzaro
I carabinieri di Catanzaro-S.Maria e Tiriolo hanno arrestato in flagranza di reato V.R. 41enne e M.A. 26enne con l'accusa di spaccioI due, notati dalle pattuglie dell’Arma mentre sostavano insieme accanto alle rispettive autovetture parcheggiate una accanto all'altra, sono stati bloccati appena in tempo.  All'interno della macchina di V.R. è stato trovato un borsone all'interno del quale erano custodite cinque sacche contenenti complessivamente 5 kg di marijuana e 2 confezioni termosaldate di cocaina del peso complessivo di 110 gr. Nella macchina di M.A. invece è stato trovato un pacchetto di marijuana da 100 gr., oltre alla somma contante di 1445,00 euro, ritenuta il provento di attività di spaccio. I due, dichiarati in stato di arresto, sono ora in attesa dei prossimi provvedimenti dell'Autoritá Giudiziaria. L’ingente quantitativo di sostanze stupefacenti e il...............

giovedì 18 giugno 2020

Uccise il cugino per una ragazza contesa. Il tribunale di Catanzaro dimezza la pena da 30 a 16 anni per il 21enne che con un coltello ammazzò il cugino per gelosia

Pena quasi dimezzata in appello nei confronti di Gaetano Muller, 21 anni di Sorianello, accusato dell'omicidio del cugino Bruno Lazzaro, colpito con una coltellata il 4 marzo di due  anni fa in località “Savini”, per motivi di gelosia.

In primo grado Muller (difeso dall'avvocato Giuseppe Di Renzo e dall'avvocato Vincenzo Galeota) era stato condannato a 30 anni al termine del processo con rito abbreviato. Condanna ridotta a 16 anni in Appello in quanto è caduta l'aggravante della premeditazione. Nel processo si erano costituiti parti civili Viola Inzillo, madre di Bruno Lazzaro (avvocato Nazzareno Latassa); il padre Giuseppe Lazzaro (avvocato Marcello Scarmato) e la sorella Azzurra Lazzaro (avvocato Latassa). Secondo l’accusa Gaetano Muller ha inferto la coltellata a Bruno Lazzaro (colpito con un solo fendente all’addome) avendo egli intrapreso una relazione sentimentale con una minorenne del luogo – figlia di un boss della zona – che in precedenza era stata la sua ragazza. Nel tardo pomeriggio del 4 marzo dello scorso anno era stato proprio l’imputato a chiedere aiuto ai carabinieri dicendo che il cugino si era ferito con un “ferro”. A prestare soccorso a Bruno Lazzaro erano stati i militari e il 118 ma il giovane, trovato già privo di coscienza, spirava dopo qualche ora all’ospedale di Vibo. In seguito a dare una svolta alle indagini era stato il contenuto del telefono cellulare della vittima rinvenuto sul luogo dove venne soccorsa. In particolare i whatsapp avrebbero consentito agli inquirenti di delineare il movente. Infatti pochi minuti prima dell’accoltellamento Bruno Lazzaro sarebbe stato messo in guardia dalla ragazza, ex fidanzata di Muller, la quale temeva per la sua incolumità visto che il 20enne era a conoscenza della loro relazione. Secondo quanto ricostruito dai militari Gaetano Muller avrebbe chiesto un incontro chiarificatore al cugino in località “Savini”. E nella zona teatro di numerosi agguati il confronto tra i due è degenerato sino alla coltellata inferta a Lazzaro mentre si trovava all’esterno dell’autovettura
a seguire la ricostruzione dell’omicidio. 

mercoledì 17 giugno 2020

Pentone I carabinieri intervengono per una lite in famiglia e scoprono diverse armi da fuoco e centinaia di munizioni oltre a piantine di marijuana. Arrestata 37 enne







Una scoperta alquanto anomala è stata fatta la scorsa notte dai Carabinieri della Stazione di Pentone nell’abitazione di una donna del posto. I militari, a seguito di una richiesta di al 112 per una lite familiare, sono giunti a casa di una 37enne, M.V.. Poco prima dell'arrivo della pattuglia, la donna aveva infatti avuto un acceso diverbio con la madre. L'alterco, sorto per futili motivi, aveva indotto i militari a ritenere che presso l'abitazione fossero detenute illecitamente delle armi da fuoco, dato anche lo stato di forte nervosismo e preoccupazione alla vista degli operatori. Effettivamente, fin dalle prime fasi della perquisizione domiciliare, i Carabinieri hanno avuto modo di ritrovare due fucili, di cui uno semiautomatico e uno mono canna senza matricola, e una pistola calibro 7,65. La donna, alla richiesta dei militari, avrebbe dichiarato di non detenere altre armi, tuttavia, la prosecuzione delle attività di ricerca hanno dimostrato il contrario. I militari, infatti, sono riusciti a scovare una seconda pistola, anch'essa calibro 7,65, e 3 caricatori e 290 colpi dello stesso calibro delle pistole, 55 colpi calibro 9 e ulteriori 62 munizioni di vario calibro detenute illegalmente insieme a 3 piantine di marijuana. Per la donna sono scattate le manette e, su disposizione dell'Autoritá Giudiziaria, è stata...........

La terribile morte della povera Francesca Falbo di Sersale uccisa dal mostro "Angelone" Un raccapricciante racconto tra i comuni di Sersale, Zagarise e Magisano.


Ricerca storica dell'arch. Salvatore Tozzo 
La storia che vi racconto oggi è una storia drammatica. Tutti hanno scritto di Angelo Schipani detto Angelone che terrorizzo' la presila catanzarese da giugno ad agosto del '49. Sappiamo che alla fine lo catturo' Giuseppe Mustari di Magisano. E che fu condannato all'ergastolo per essersi macchiato, tra gli altri delitti, dell'uccisione di una giovane e bella ragazzina Sersalese diciassettenne, FRACESCHINA FALBO. Piu volte stuprata e ringhiusa per giorni in un frantoio di campagna. Di Angelone ne hanno scritto in molti ultimo dei quali l'avvocato Le Pera. Ma non ho mai visto il volto di questa povera fanciulla. E così mi sono messo a cercare i luoghi dove tutto avvenne. Il primo fabbricato che è citato è la chiesetta di Cipino di Sersale che si trova appena prima di arrivare al paese, a pochi metri dalla provinciale, provenienti da Zagarise. Seguendo poi la comunale e scendendo verso il fiume sulla sinistra noto un ceppo commemorativo. Mi chiedo se è quello il luogo dell'omicidio. Mi avvicinò e con mia grande sorpresa e commozione noto che si tratta proprio del cippo dedicato alla povera fanciulla. Ma ancora di più noto la sua foto. Finalmente posso guardare il volto di Franceschina. Il cippo reca scritto quanto segue: Barbaramente uccisa da esacrato mostro un angelo di purezza Franceschina Falbo a ricordo 27/11/1932 - 2 /7/1949. In allegato la sua foto, il cippo, e la chiesetta diroccata di cipino. Cara Franceschina con questo mio scritto ti ho voluto ricordare e far vedere il tuo volto innocente a tutti anche se sono passati 70 anni. Perché noi vogliamo ricordare la vittima non il mostro. Riposa in pace e che questo sia da monito a tutti gli uomini che si macchiano di femminicidio.

Ecco una rara testimonianza del terribile episodio raccolto dal Prof. e storico locale Marcello Barberio
Tale opportunità mi si è presentata casualmente nell’estate del 2005, con l’intervista a Pancrazio Agosto, un ultrasettantenne di Zagarise, emigrato a Milano.
 “Nel ’40, per tre anni e mezzo, io e Angelone eravamo garzuni accordati nell’azienda dei Caravita, dove guardavamo capre, maiali e buoi, a Serre di Zagarise, assieme ad altri due forisi più grandi, di Magisano, un certo “Fiore da’ manca di cani” e “Franciscu tri grani”. Nel 1941 Angelone rubò agli stessi  Magisanisi  ceci, fave e formaggio, cioè la roba da mangiare portata dal paese, e si fece 3-4 mesi di carcere. Io dovetti procedere al riconoscimento dell’impronta delle sue scarpe: ad una c’erano i tacci bullette di ferro e i tundini e l’altra era liscia. C’erano le impronte che dal pagliaio portavano fuori. Era stato lui e lo dissi a Caravita…Insomma lo presero alla “Turrricedda”, una casetta colonica. Uscito di prigione si fece paisanu e collega di “Nicola  u Melissarotu”, cioè della località di Melissaro.
Ad una turra rapirono Francesca Falbo, una ragazza che aveva rifiutato u Milissarotu: scoperchiarono il tetto della turra, uccisero il padre che si faceva forte col dubotti e rapirono la figlia. Per 15 giorni la tennero in una stalla e la violentavano. La nascondevano in una gibbia, dove scorreva il vino nelle vasche, sotto il pavimento; con una cannuccia ci jettavanu nu pocu ‘e latta in bocca (12), perché lei voleva lasciarsi morire e rifiutava il cibo. Gente malvagia. Ad un certo punto Angelone decise di lasciarla andare a casa sua a Sersale, ma  la nonna di Nicola gli disse: “Tu la lasci andare e lei ci accusa tutti e va a finire che andiamo tutti in galera,  tutto per i comodi vostri”.  Angelone allora raggiunse la ragazza a Cipi, a un chilometro da piazza San Pasquale di Sersale, e la uccise con due colpi di fucile.

La ragazza non aveva potuto camminare veloce, perché zoppicava per le violenze subite. In quel luogo sorse una conicedda, dove la madre della ragazza andava tutti i giorni a piangere: si formava quasi una processione di gente, sia di Sersale che di Zagarise. Erano dolenti proprio! La vecchia campò poco e morì in carcere all’Isola. Anche Angelone morì in carcere a Catanzaro, perché fu preso a tradimento da Mustari in Sila, vicino  Buturo. Lo ubriacò e durante la notte lo colpì alla testa col cozzo della gaccia, lo stordì e lo legò con uno sciartu.Poi lo consegnò alla legge.Al processo vennero i più grandi avvocati, pure di fuori. Poi, ti ho detto, morì in carcere. Nicola, il complice, fu condannato pure lui all’ergastolo.ma poi la pena gli fu ridotta a 33 anni di carcere, per buona condotta. Ho sentito dire che ora è libero e vive a Sersale. Mo’ dovrebbe essere anziano. Sono 45 anni che manco dal paese: partii nel ’60 e ora che sono pensionato torno solo l’estate e a Natale, ma non sempre. Sono stato accordatu per 8 anni: mi davano da cazare, dormire nel pagliaio o nella baracca, vestire e mangiare. Questa era la vita del forise. Partii soldato che non avevo una lira. Ai due forisi  di Magisano, più grandi, Carovita dava 34 di grano al mese, senza altri viveri né soldi. Ad Angelone dava 14 di grano al mese, ma poteva mangiare alla mandria. Lui aveva un moschetto ad una canna e una pistola a tamburo.Il fucile da caccia per uccidere la ragazza glielo diede Nicola Scalise, u Melissarotu.  Insomma, Angelone era uno che entrava e usciva dal carcere come da un albergo, ma sempre per cose di poco, per roba da mangiare, non per oro o denaro. In carcere aveva imparato a lavorare a maglia, all’uncinetto e ai ferri “ di legno d’erga”, duro, usato per fare scupuli  e che quando u rumpi spara. Li modellava col coltello, era molto abile, e faceva anche il gancetto alla bacchettina. In paese vendeva i prodotti: calze di lana, borsette, maglie, che faceva mentre pascolava le bestie. Così sordiàva. Prima aveva una donna a Zagarise, una vedova, poi un’altra a Sellia, da cui ha avuto due figli, un maschio e una femmina: mi ricordo che l’amante se la curcava prena al pagliaio di Porticello delle Serre di Zagarise; io dovevo dormire all’aperto, fuori dal pagliaio. Durante la sua latitanza mi guardavo : dormivo all’aia sotto la paglia, per non essere scoperto durante la notte. Avevo testimoniato contro di lui, quando aveva rubato ai Magisanisi. Ma che potevo fare, ero un ragazzo. A Milano ho lavorato duro, ma ho trovato fortuna”. 
A seguire 


A proposito della cattura del bandito, ho avuto l’occasione di conoscere la figlia di Mustari, la quale ha consegnato a una rivista scolastica (11) un suo articolo emblematico sin dal titolo: Come Tatà prese Angelone
“Angelo Schipani, originario di Sersale [,….] abbandonato dalla madre all’età di 10 anni, si era guadagnato da vivere facendo il capraio anche se per arrotondare rubava galli e biancheria […] Prima della maggiore età aveva collezionato 15-20 condanne […]divenne il terrore della Sila macchiandosi di efferati delitti […] Le forze dell’ordine gli davano la caccia, ma Angelone sembrava invincibile [….]
In questo clima di paura e per proteggere i suoi 5 figli e la moglie, mio padre maturò l’idea di catturare il bandito sanguinario nell’estate del 1949 […] vicino a Buturo.  Una mattina, Tatà, mio fratello Francesco e mio zio Domenico si recarono in località Ariano per seminare il grano, quando intorno a mezzogiorno si presenta un uomo che cerca loro un po’ di pane perché digiuno da giorni.
La cosa si ripete nei giorni successivi: Angelone prende il pane, scambia qualche parola e si allontana nascondendosi in una baracca […]Un cognato di mio padre si premura di avvisare i carabinieri, i quali pensano ad una complicità di mio padre. Lo zio Domenico viene interrogato e picchiato a sangue:  a mio padre non resta altro che scappare e catturare il bandito per dimostrare la sua innocenza. Si reca da Angelone, gli racconta l’episodio e per un po’ di tempo condivide con lui la fuga fino al punto che il bandito si fida dell’amico. La famiglia ha bisogno, i viveri sono terminati. E’ dunque necessario mettere in atto un piano per catturarlo […] In località Acqua delle donne il bandito si addormenta. Mio padre, tormentato da mille pensieri, si rende conto che deve tradire la fiducia d’Angelone,[…] gli sottrae il sacco contenente la pistola e lo colpisce a un ginocchio per immobilizzarlo. Per il dolore Angelone sviene e mio padre lo trascina verso la segheria dove c’erano gli operai. Ma durante il tragitto Angelone  si aggrappa ad un pino e dà una spinta a mio padre, graffiandogli il viso,[…] nasce una colluttazione,[…]mio padre riesce a colpire il bandito con una pietra, facendogli perdere di nuovo i sensi. Cerca aiuto alla segheria, ma la gente per paura si allontana, solo un segantino gli offre una corda con cui legarlo, mentre un ragazzo va ad avvisare le guardie forestali di Buturo [.…] Trova il bandito che con un coltello sta tentando di tagliare la corda, fortunatamente arrivano le guardie forestali alle quali consegna armi e bandito. Alle 11 di quella mattina di luglio, scortato dai carabinieri  in motocicletta, il sanguinario bandito viene condotto a Catanzaro, presso la Legione dell’Arma. Mio padre viene convocato in questura, tra il giubilo della gente, gli vengono tributati tutti gli onori del caso e viene medicato e rifocillato. Gli è offerto un lavoro di netturbino che rifiuta perché la sua vita è tra i boschi della Sila. In cambio accetta una ricompensa in denaro, di £ 300.000. Ed è così che mio padre, Giuseppe Mustari, libera la Sila da quell’alone di terrore che l’aveva avvolta per anni”. Per la figlia Giovannina, Mustari ricevette una ricompensa in denaro, per i giornali dell’epoca e per l’opinione pubblica, invece, intascò la “taglia” per il tradimento dell’amico. Infatti il bandito – come nella tradizione brigantesca  –   continuava a rappresentare l’ultima plebe, i subalterni, tra i quali persistevano valori  culturali e ideologie  come lo stereotipo del mito del fuorilegge, caricato dalle masse popolari di ruoli sociali e di aspettative straordinari.