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mercoledì 30 agosto 2017

Controlli serrati nel Catanzarese: tre persone trovate in possesso di marijuana, eroina e cocaina.174 posti di blocco controllati 5512 veicoli, elevate 312 contravvenzioni, con 27 ritiro di patente.

Ventiquattro persone sono state denunciate in stato di libertà all'Autorità Giudiziaria territorio predisposti dalla Questura di Catanzaro sull’ intero territorio provinciale. L’attività si è concentrata nelle zone maggiormente affollate per la stagione estiva ed ha visto anche l’intervento del personale del Nucleo Cinofili di Vibo Valentia e della Guardia Costiera.

Nello specifico, cinque persone sono state deferite per guida in stato di ebrezza ed è stato operato anche il ritiro della patente; tre per minacce a Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle loro funzioni; una di nazionalità ucraina senza fissa dimora per il rifiuto opposto di fornire la propria identità; una per possesso ingiustificato di arnesi atti allo scassouna per porto ingiustificato di arma e munizioni, una pistola e 50 cartucce, per le quali si è proceduto al sequestro; una per porto ingiustificato di un coltello a serramanico a punta lungo complessivamente 25 centimetri; sei, residenti nella provincia, per inosservanza alle prescrizioni del Foglio di Via Obbligatorio e divieto di ritorno nel comune di Catanzaro; una per truffa online, avendo pubblicato una falsa inserzione sul web; quattro, residenti nella provincia, per violazioni violazione delle prescrizioni imposte dalla Sorveglianza Speciale di P.S. con obbligo di soggiorno; un 36enne catanzarese per continui comportamenti violenti, minacciosi e vessatori nei confronti della compagna e dei suoi familiari. L’uomo due giorni prima era già stato destinatario del provvedimento di Ammonimento emesso dal Questore. Altre tre persone, trovati rispettivamente in possesso di marijuanaeroina e cocaina, in modica quantità, sono state segnalate al Nucleo Operativo Tossicodipendenza della locale Prefettura, quale competente Autorità Amministrativa per gli assuntori di stupefacenti. Tutto la droga rinvenuta è stata sequestrata. Congiuntamente all’ Ufficio Circondariale Marittimo di Soverato sono stati eseguiti complessivamente dieci controlli tra stabilimenti balneari, esercizi commerciali e luoghi si intrattenimento siti sui litorali ionico e tirrenico del catanzarese, per verificarne la regolarità delle autorizzazioni, la posizione lavorativa del personale dipendente, le condizioni di sicurezza. Nel periodo in esame sono stati inoltre effettuati 174 posti di blocco su strada, sottoposti a controllo 5512 veicoli, elevate 312 contravvenzioni, con 27 ritiro di patente, per infrazioni al Codice della Strada, per cinque delle quali si è provveduto al sequestro amministrativo del............

martedì 29 agosto 2017

Un altra bella trovata del presidente Oliverio: Sei un comune virtuoso nella raccolta differenziata? Bene anzi male! Pagherai più tasse

La Regione ha rimodulato le tariffe per il conferimento in discariche e impianti di smaltimento. Finora chi superava il 65% di differenziata pagava 107 euro a tonnellata, da gennaio 2018 invece dovrà sborsarne 165

Non ha sbagliato chi ha detto che il vero oro calabrese sono i rifiuti. E hai voglia a ripetere che fare la raccolta differenziata fa bene anche al portafogli, oltre che all'ambiente. Nonostante la Calabria sia uscita già da un pezzo dal commissariamento del settore, con risultati assai poco esaltanti dopo 15 anni e oltre un miliardo di euro speso, pare che l'emergenza rifiuti a queste latitudini non debba, nei fatti, finire mai. E che a dispetto degli slogan a base di “discariche zero” sbandierati dalla giunta regionale targata Pd, a guadagnarci siano, sempre di più, solo i privati. Mentre i cittadini, anche quelli bravi che fanno la differenziata con diligenza e senso civico, sono gli unici che continuano a pagare.
Si sa, è quasi una regola, che le cose peggiori la politica le fa mentre tutti sono in spiaggia sotto l'ombrellone. Se debba rientrare in tale categoria anche la delibera di giunta regionale 344 del 25 luglio scorso saranno i lettori a stabilirlo, di certo c'è che leggendola a più di un sindaco la granita sarà andata di traverso. In particolare ci saranno rimasti male (o ci rimarranno, appena rientrati dalle ferie) quei sindaci che negli anni scorsi hanno spinto al massimo per raggiungere alte percentuali di raccolta differenziata. Quelli più virtuosi, insomma, che sono riusciti a raggiungere la fatidica soglia del 65%, da gennaio 2018 verranno “premiati” dalla giunta regionale con un considerevole aumento, rispetto all'anno precedente, dei costi per il conferimento dei rifiuti in impianto o in discarica. 
Con la delibera 344, infatti, sono state rimodulate le tariffe e, giusto per andare al sodo, basti pensare che finora (dal 2015) chi superava il 65% di differenziata doveva pagare per il conferimento (importo unitario) 107 euro a tonnellata, mentre nel 2018 chi è sopra la stessa soglia dovrà sborsare 165 euro. Per farsi un'idea, quest'ultima è una cifra molto vicina ai 169 euro/tonnellata che doveva pagare prima chi non era arrivato nemmeno al 25%.
«L'importante incremento del livello della raccolta differenziata registratosi nell'ultimo biennio – spiega la delibera in questione – ha determinato da una parte la riduzione del quantitativo di rifiuto indifferenziato residuale, dal quale proviene la maggior parte della spesa complessiva di gestione, dall'altra l'applicazione dello scaglione più basso per la tariffa sopracitata. Il variato scenario dei conferimenti comporta la necessità di procedere alla rimodulazione del corrispettivo di gestione (“tariffa di conferimento”) che i comuni devono versare per lo svolgimento del servizio di trattamento/smaltimento e ciò indipendentemente da chi sarà il soggetto giuridico che nel corso del 2018 dovrà provvedere a governare il sistema impiantistico di trattamento/smaltimento (Comunità d'ambito di cui alla L.R. 14/2014 ovvero Regione)». La nuova tariffa, spiega ancora la Regione, deve «assicurare l'equilibrio tra entrate e costi del servizio per tutto il 2018», e comunque «il costo complessivo del sistema regionale per il trattamento e lo smaltimento dei quantitativi di rifiuti previsti per l'anno 2018 è stimato in 96,5 milioni di euro e risulta inferiore rispetto a quello previsto per l'anno 2017».
Detto ciò, però, è la stessa delibera a parlare di «aumento tariffario», un incremento che secondo i dirigenti della Cittadella «non comporta maggiorazione di spesa per i comuni che, nel corso del 2018, passeranno da un valore di raccolta differenziata inferiore al 25% ad uno superiore al 65%, potendo risolversi in una diminuzione dei costi», sempre che esista un Comune che riesca a fare un tale balzo in avanti in un solo anno. Di contro, però, «produrrà un aumento di costi contenuto per i comuni che faranno registrare un aumento del livello di raccolta differenziata, dovendo applicarsi su un quantitativo di rifiuti indifferenziati inferiore rispetto al dato dell'anno precedente».
Ad ogni modo, si prevede comunque di premiare i Comuni che avranno alte percentuali introducendo, «in occasione della pubblicazione di bandi per l'accessione a finanziamenti e/o contributi di varia natura, da parte dei dipartimenti regionali, nei..............

lunedì 28 agosto 2017

Il consulente da 50mila euro che sa mandare le mail. Il curriculum del sindaco di Zagarise, assunto come consulente alla Cittadella: "usa abitualmente il computer. E per contratto può lavorare quando gli pare"

Domenico Gallelli 

Non sarà un prof di ginnastica, infatti non gli è stato assegnato un ruolo chiave nel settore degli investimenti pubblici, ma il suo curriculum lo ha portato ai piani alti della Cittadella regionale. Responsabile amministrativo della struttura speciale dell’assessore all’Urbanistica: Domenico Gallelli, sindaco della piccola Zagarise (dove ha subìto un'intimidazione nel 2015), è planato non lontano da Mario Oliverio, al quale – lo dimostra (anche) la nomina – è politicamente vicino. La sua presenza tra i corridoi di uno dei dipartimenti più preziosi della Regione era imprescindibile. Chiariamo subito: per fare il responsabile amministrativo della struttura speciale non c’è bisogno di essere urbanisti o ingegneri edili. E infatti Gallelli non appartiene alla categoria. Era comunque difficile fare a meno della sua esperienza (il suo rapporto con l’assessorato risale al marzo 2016): perché – parole sue – può contare sull’«uso abituale del computer e di internet e della posta elettronica». Non occasionale, proprio «abituale». Tutt’uno con il suo terminale, Gallelli segnala anche l’«ottima conoscenza del sistema operativo Windows Xp e Windows Vista e del programma Word, Autocad». Word serve sempre. E pure la «patente di guida (categoria B)». Queste sono le capacità tecniche. Quelle organizzative sono più aderenti alla politica, e dunque probabilmente più decisive ai fini della “selezione”. Una piccola “scalata”, quella di Gallelli: dalla Comunità montana “Presila catanzarese” alla guida di Zagarise, dove è stato consigliere comunale per 13 anni e assessore all’Urbanistica e ai Trasporti per due (ecco finalmente l’attinenza con il piano della Cittadella che i vertici della Regione hanno scelto per lui). Basta? Forse sì, forse no. Ma è legittimo dubitare se contino più le capacità o la fedeltà a un’area politica. Tanto più che Gallelli non è certo l’unico caso di sindaco, amministratore comunale o quadro di partito cooptato dall’amministrazione comunale. Si fa presto a scoprire perché: i sindaci dei piccoli comuni o i semplici consiglieri comunali non hanno diritto a sospendere il proprio “vero” lavoro una volta eletti. Ed è difficile amministrare dovendo pensare ad altro.
Quelli che hanno santi nel paradiso di Germaneto risolvono così: un bel comando in una struttura speciale ed è fatta, ci si può dedicare a tempo pieno alla politica. Tanto pagano i contribuenti. Ci si chiede: ma come si fa a conciliare le due attività (quella da sindaco e da responsabile amministrativo)? Si risponde leggendo il contratto di consulenza: «La prestazione (...) viene resa nel contesto di un rapporto che non ha caratteri di lavoro subordinato e comporta da parte del medesimo l’esecuzione dell’attività senza osservanza di specifici orari e senza specifici vincoli di presenza». “Smetto quando voglio”, per citare un film di discreto successo. Tutto molto vago, il compenso invece è preciso: 54.452,52 centesimi per l’incarico che dura fino alla cessazione o sospensione dell’assessore. Starà a Gallelli (e a tutti quelli che hanno un contratto come il suo) decidere i propri orari e le presenze in assessorato: il sogno di ogni lavoratore. Ma essendo così bravo con il computer potrà anche lavorare da casa. Non è certo colpa del sindaco di Zagarise se il .........

venerdì 25 agosto 2017

Savuci: il silenzio dei luoghi dimenticati rivive grazie a due giovani che ci abitano stabilmente

Due anime giovani creano vita nel Borgo Savuci. (Frazione di Fossato Serralta  abbandonata da molto tempo) Dove solo la natura incontaminata diventa ribelle



Ci sono posti come Savuci                            
che vorremmo vivere come Adamo ed Eva. Primitivi proprio come la ricerca del nostro “io” fuori dal tempo, questo di oggi giorno, con vere emozioni e pace, con amore e passione. Peraltro, ci sono degli angoli che attraggono per la loro particolare seduzione, un fascino che nasconde sospiri emozionali.
Nel borgo fantasma, di Savuci in provincia di Catanzaro vicino al fiume Alli, due anime sognatrici respirano aria d’altri tempi. Rapite da un’agricoltura sottomessa e fiorente grazie al microclima che soggiace. Sono giovani che vogliono riappropriarsi di quel tempo ricco di emozioni. Non è poco con quello che hanno raccolto. Sono Rosa e Francesco, vivono liberamente in una casa in dotazione dal comune, dietro un bando. Liberi senza impedimenti, senza sofisticati servizi. Solo la corrente elettrica.
È uno dei tanti luoghi che ha vissuto nel silenzio dopo un disastro ambientale, passando poi nel dimenticatoio, dove la politica ci entra sempre e ha pesanti responsabilità. Savuci è alle porte della presila catanzarese, una strada provinciale ancora in uso che porta a Cosenza e il borgo sottano, saturo di macchia mediterranea incorrotta.
Negli ultimi periodi Savuci ha avuto frane tanto da chiedere al primo cittadino la chiusura di mezzo paese per l’inagibilità. Tanti anni chiuso giusto per metà. Fino a quando un giovane di Catanzaro, dopo esperienze del genere, e pochi successi decise di chiedere al sindaco il permesso di abitarla. Il primo cittadino intanto aveva in cantiere la ristrutturazione di parecchie case che risalgono 16° secolo. Ma poi i soldi finirono e solo poche case riuscirono ad essere completate. Questo però non frenò l’entusiasmo di Francesco pioniere di questa, chiamiamola avventura, che coinvolgendo un nutrito gruppo di persone riuscì ad avere assegnata una casa insieme a loro. Solo lui insieme alla sua compagna ci abita in pianta stabile, gli altri ogni fine settimana in un full immersion nel posto più green che il padreterno abbia potuto creare.
L’aria, il profumo di quelle erbe selvagge che vivono nel contesto savuciano raccolgono una parte di vita agreste ormai scomparsa. La macchia mediterranea rimasta intatta riflette un vissuto che parte da uno spazio temporale in cui tutto si è fermato. Qui l’uomo per fortuna non ha fatto danni importanti, solo sputi di cemento buttati come chiazze catarrose qua e là invadendo quello che........

giovedì 24 agosto 2017

Sellia imbrattata l'icona a memoria del Dott. Mimmo Zicchinella Sgomento e rabbia per il vile gesto


L'icona era stata collocata nel luogo dove il 14 agosto del 1993 il mai dimenticato Dott. Mimmo Zicchinella mori tragicamente mentre si trovava in sella della sua bicicletta. Una persona unica un vero punto saldo di riferimento per molti abitanti di Sellia che ancora oggi dopo 24 anni dalla sua prematura scomparsa piangono e si commuovono ogni volta che qualche ricordo ricade sul suo breve ma intenso operato sia di medico che di uomo dai forti valori sempre disponibile con tutti.
Nessuno potrà mai cancellare il suo ricordo che rimane indelebile dentro i nostri cuori
Ciao Mimmo perdona questa/e persone vili e balordi che forse non conoscono la tua gloriosa storia 
storia che dovrebbe essere presa come esempio per le future generazioni che cercano una figura bella, pulita, onesta da poter un po imitare

A seguire il messaggio su Facebook da parte di Angelo e Rosa Zicchinella
Questa icona dedicata alle memoria del dottor Mimmo Zicchinella .,morto 24 anni fa per un tragico incidente stradale ...,oggi è stata oggetto di un atto vandalico imbrattandola con della vernice .
COSTUI O COSTORO PENSANO ,CHE CON QUESTO GESTO DI CANCELLARLO DELLA MEMORIA .Cosa assolutamente sbagliata!Lui è morto nel corpo ma non nella memoria di noi suoi cari e anche di tutte le persone che lo hanno conosciuto 
È stato un atto condannabile che questa persona ha compiuto !
Se ha del coraggio ci..........



mercoledì 23 agosto 2017

Classifica dei 20 castelli più belli della Calabria. Qualcuno nel nostro Comprensorio?



Calabria terra aspra e fertile, terra di mare e di montagna, terra di contraddizioni e complessità storiche, naturali, culturali. Le strutture difensive in Calabria sono state influenzate dalla continua minaccia delle invasioni. Un tratto di costa così grande ha costretto i regnanti delle varie epoche, a costruire molte di queste opere difensive. Il timore degli attacchi dal mare è stata la principale motivazione della costruzione di moltissime barriere difensive. Ogni opera aveva una precisa motivazione militare e strategica, collocandosi lungo le principali vie di comunicazioni o a presidio di città. Il nome odierno deriva dal volgare “castellum”, a sua volta dal latino “castrum”, insediamento militare. Furono infatti i Romani a sviluppare un accampamento organizzato con diverse strutture di difesa. L’antenato dei castelli fu proprio il “castrum” dei Romani, cioè l’accampamento militare formato da tende di pelle o da baraccamenti. I “castra” dei Romani erano costruiti su pendii, avevano forma quadrata o rettangolare ed erano circondati da un fossato.  L’arrivo dei Barbari comporta uno studio da parte degli ingegneri Romani di nuove fortificazioni, come le Mura Aureliane. Tuttavia è con la caduta dell’Impero e il conseguente annullamento del potere centrale che si comincia a sviluppare l’idea di un edificio fortificato adatto a difendere un territorio. Fu costruito il “castellum”, opera fortificata con materiale più solido, agli angoli e alle porte venivano innalzate delle torri di vigilanza, delineandosi così il castello medievale. Il castello comprendeva: le cinta, il mastio e il palazzo baronale. Con le prime due, si garantiva sicurezza e difesa al palazzo, dove dimorava il signore ed amministrava la giustizia. Fino al XIII sec. raramente le mura ebbero dei fossati, dal XV sec. ogni fortificazione ne aveva almeno uno, mentre nel XIII sec. venne introdotto l’uso dei merli sul “parapetto”.  Durante tutto il Medioevo ogni territorio, ogni comunità viene dotata di castelli e fortificazioni, grazie all’avvento del feudalesimo: ogni proprietario terriero, dal vassallo al valvassino si dota quindi di un castello, usato come abitazione della sua famiglia e come ricovero della guarnigione di soldati alle sue dipendenze. Sono i secoli cosiddetti dell’incastellamento. Molti castelli in principio erano solo delle torri di guardia isolate, solitamente di legno, adatte a proteggere appezzamenti di terreno e a controllare passaggi obbligati. Con il passare degli anni si assiste a un progressivo processo evolutivo dove il castello diventa un complesso di edifici fortificati, a volte comprendenti un intero borgo, abitato dal popolo che serve il Signore e i suoi bisogni e che, all’occorrenza, si rifugia all’interno del complesso fortificato sopportando assedi. Sede del signore, rimase per tutto il Medioevo, il centro amministrativo e giuridico. Nel tardo Medioevo si assiste all’edificazione di castelli nelle grandi città, allo scopo di controllarla e per far fronte alle insubordinazioni cittadine. Le torri erano abbastanza alte, ma con l’introduzione delle armi da fuoco furono abbassate al livello delle cinta ed i fossati diventavano più larghi e profondi e venne introdotto il “ponte levatoio“, formato da un tavolato girevole intorno a due perni fissi nei lati del portone. Il mastio era una grande torre con la funzione di sorvegliare il terreno circostante e baluardo di difesa contro gli assalitori e su di esso si innalzava il vessillo. Quasi tutti i castelli si dotarono di due porte. Il castello assolve le funzioni protettive fino al XVII secolo, quando la polvere da sparo e le nuove armi da fuoco rendono obsolete le protezioni medievale-rinascimentali. Nascono quindi le fortificazioni alla “moderna” e le cittadelle, mentre i castelli vengono ristrutturati come residenze signorili per le famiglie nobili oppure sono stati abbandonati e sono diventati dei giardini di pietre. I castelli di Calabria sono tanti e rappresentano un libro aperto di storia, miti, leggende e gesta eroiche che tramandano, attraverso il tempo, il protagonismo bellico, il valore, il coraggio e l’ansietà di libertà e di indipendenza di tutti i paesi calabresi, difronte all’infuriare di diversi invasori.  I castelli in Calabria sono davvero tantissimi e localizzati sia sulle coste che sull’entroterra. Qui ne conosciamo alcuni, quelli meglio conservati e più suggestivi.
Le Castella
Tra i castelli più suggestivi della Calabria, il castello aragonese di Le Castella è divenuto nel tempo il simbolo del turismo culturale nella regione. Ubicata su un piccolo lembo di terra prospiciente la splendida Costa dei Saraceni nella frazione Le Castella del comune di Isola Capo Rizzuto, la splendida fortezza di Le Castella è ciò che rimane di una vasta area che doveva costituire un vero e proprio villaggio dotato di cinta muraria. Di probabile origine magnogreca, ebbe varie modifiche architettoniche nel corso dei secoli, a seconda dei governanti e delle esigenze difensive. Importantissime sono le monumentali cave di blocchi e di rocchi di colonna di età greca (VI-III secolo a.C.) sulla Punta Cannone e nell’area del porto. Da esse sono stati presumibilmente estratti i rocchi delle colonne del Tempio di Hera Lacinia, posto sul promontorio di Capo Colonna. La fortezza non ospitò mai la nobiltà del luogo, ma servì sempre da ricovero per i soldati impegnati contro gli attacchi provenienti dal mare dagli invasori di turno. La torre cilindrica che svetta centralmente all’interno della fortezza è di chiara derivazione angioina risalente al XIV secolo, caratterizzata da una splendida scala a chiocciola in pietra che ne collega i tre piani. Verso la fine del XV secolo la fortezza di Le Castella passò in mano aragonese. Nel 1496 il re Federico d’Aragona la consegna al conte Andrea Carafa che tra il 1510 ed il 1526 fa edificare possenti bastioni quadrangolari speronati al fine di aumentare la capacità difensiva del castello. Quelle degli angioni ed aragonesi sono le modifiche più importanti del castello, oggi ben visibili grazie ad una paziente opera di restauro. Gli scavi archeologici effettuati all’interno della fortezza di Le Castella, hanno evidenziato differenti stratificazioni storiche e architettoniche con sovrapposizione di diverse fasi edilizie. Sul lato est della fortezza è emerso un muro lungo quaranta metri fatto a blocchi di calcare e piccoli riquadri in pietra disposti a scacchiera, simile per tecnica edilizia al muro ellenistico di Velia. Dal castello si gode una splendida visuale sul mar Ionio e sulle acque della Riserva Marina di Capo Rizzuto. La fortezza di Le Castella si colloca oggi in un contesto ambientale di elevato pregio naturalistico, circondato dalla Riserva Marina di Capo Rizzuto, istituita nel 1991. In una delle stanze della fortezza è possibile osservare i fondali dell’Area Marina Protetta in tempo reale grazie a delle telecamere subacquee posizionate a 10 metri di profondità. L’intera zona di Capo Rizzuto è interessata da una frequentazione turistica tra le più elevate della Calabria, sia per il valore paesaggistico ed ambientale delle coste, sia per la ricchezza di risorse culturali ed archeologiche.
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Castrum Petrae Roseti
Situato a Roseto Capo Spulico, a picco sul mare sul Promontorio di Cardone, il Castrum Petrae Roseti (Castello della Pietra di Roseto) è un castello fortificato a difesa della costa dell’Alto Ionio Cosentino, risalente ad epoca normanna, ricostruito nel Duecento per volontà dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, rimaneggiato più volte fino al secolo XVI. Nel XIII secolo fu requisito da Federico II ai Cavalieri Templari, per ritorsione verso il loro tradimento durante la VI crociata in Terra Santa, e divenne fortezza prettamente militare; dai registri angioini si conosce l’entità della guarnigione assegnata alla fortezza, che nel 1275 risulta composta dal castellano, uno scudiero e da dodici guardie. Già la sua pianta trapezoidale testimonia il riferimento al tempio di Gerusalemme e basti leggere nelle antiche mappe catastali, Foglio 34 del Comune di Roseto Capo Spulico, i nomi delle contrade che circondano il maniero per confermare detta ipotesi: a Nord del Tempio troviamo il fiume Giordano che poi scende verso Est; a Nord troviamo la terra Giordana con il primo paese di Montegiordano, confinante col maniero; a Sud leggiamo il nome di Piano d’Orlando, che richiama Re Artù ed i Cavalieri della Tavola Rotonda alla Ricerca del Sacro Graal; ad Ovest leggiamo il nome di Piano di Salomone, il re costruttore del Sacro Tempio di Gerusalemme; ad Est l’acqua dello Jonio, come a rappresentare l’acqua del Giordano che scende da Nord verso Est, rispetto alla Città Santa. A conferma rileviamo i seguenti segni esoterici inseriti su un imponente portale in stile gotico: la rosa crociata, i petali di giglio, il cerchio di Salomone e lo stemma con grifone, emblema del casato Svevo. Ed ancora: un onfale con sopra incisi i segni della Passione di Cristo con l’Agnus Dei, il tetragramma di Heavè, una croce cristiana all’ingresso del piano terra e, sul cornicione di detto ingresso, i numeri romani che richiamano i versetti di inno ad Allah del Corano. Segno che Federico credeva nella unione delle tre religioni monoteiste. Il castello è di forma trapezoidale ed ha tre torri di avvistamento possenti, una delle quali più alta, merlata e a pianta quadrangolare. All’nterno della rocca si apre un ampio cortile con cisterna centrale per l’approvvigionamento d’acqua e i resti delle scuderie, mentre gli interni hanno saloni di rappresentanza e grandi stanze ancora arredate secondo lo stile medioevale. Non è un caso, quindi, se il “Castrum Petrae Roseti” è stato classificato tra i 10 castelli più belli e romantici d’Europa dalla rivista “Style”.
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Castello Carafa
Spostiamoci un po’ più giù, in provincia di Crotone, precisamente a Santa Severina, dove troviamo un altro meraviglioso castello. La costruzione risale all’epoca normanna (XI secolo) che tanta importanza ha avuto nella storia della Calabria. Il castello Carafa, detto anche di Roberto il Guiscardo, il re normanno che ne ordinò la costruzione su una fortificazione preesistente di epoca bizantina, si estende su un’area di circa 10.000 metri quadri e, grazie ad un’abile restaurazione, avvenuta verso la fine degli anni Novanta, mette in mostra importanti reperti archeologici di origine greca, i resti di una chiesa (con pareti affrescate) e quelli di una necropoli bizantina. La costruzione bizantina è nota come oppidum ed è attestata da Erchemperto di Benevento testualmente come “oppidum beatae Severinae”.  Inoltre nell’edificio trova ospitalità il museo dove sono esposti tutti i reperti archeologici del territorio e periodicamente nel Centro Documentazione Studi Castelli e Fortificazioni Calabresi, trovano spazio mostre d’arte, di pittura, scultura, esposizioni e altre importanti rassegne artistico–culturali. E’ una delle antiche fortezze militari meglio conservate d’Italia: è composto da un mastio quadrato con quattro torri cilindriche poste agli angoli fiancheggiate da quattro bastioni sporgenti da dove si gode di una magnifica veduta sull’ampia valle del fiume Neto e sulle colline del Marchesato di Crotone. Nel periodo svevo, il castellano di Santa Severina si chiamava Johannes de Ladda. Tale notizia è rilevabile in un documento edito da Walter Holtzmann apparso in “Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven ud Bibliotheken”. Nel corso dei secoli e dei passaggi dalle varie famiglie regnanti, ha subito varie modifiche. Bellissimi i saloni interni del castello, decorati a stucchi e affreschi barocchi, alcuni dei quali appartenenti al pittore Francesco Giordano. All’interno del castello di Santa Severina sono presenti delle sezioni museali di primario interesse, tra le quali spicca il museo archeologico, dedicato a tutte le presenze storiche rinvenute in città. L’impianto museale di tutto il castello è fornito di pannelli illustrativi che consentono una maggiore comprensione delle diverse aree del maniero di Santa Severina.
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Castello della Valle
Castello della Valle è il castello di Fiumefreddo Bruzio, paese in provincia di Cosenza annoverato tra i Borghi più belli d’Italia. Nel 1054 Fiumefreddo fu espugnata da Roberto il Guiscardo, che provvide a fortificarla. Con la cinta muraria sorgeva anche il fortilizio (torre normanna).  Nel 1098 l’autorità feudale passò a Simone de Mamistra, autore di un primo ampliamento. A picco su di uno sperone roccioso impervio e quasi inespugnabile a Sud-Est del centro storico, nel 1531 il feudo di Fiumefreddo venne donato da Carlo V d’Asburgo al marchese Ferdinando De Alarçon-Mendoza. Questi fece rimodernare il castello per uso residenziale secondo il gusto tardorinascimentale dell’epoca: a questa fase di interventi risale il portale d’ingresso michelangiolesco. Un recinto di pietra lo divideva dall’abitato e un ponte levatoio fungeva da accesso settentrionale. Una scala a chiocciola conduceva ai piani alti, dove sorgeva l’abitazione del feudatario. Tuttora si osservano i resti delle due torri circolari che nel ‘500 sostituirono quelle quadrate di fattura sveva. Poche sale conservano il pavimento; sulla facciata resistono alcune belle finestre di tufo lavorato. I sotterranei, in gran parte recuperati, sono stati oggetto di scavi archeologici e ora adibiti a sale espositive e sala convegni. L’alzato fu ridotto allo stato attuale di rudere durante l’occupazione napoleonica per sottomettere gli insorti borbonici, anche se mostra perfettamente l’imponenza avuta nel passato. Il valore aggiunto del Castello della Valle è costituito dalla preziosa opera del pittore siciliano Salvatore Fiume. Era il 12 agosto 1975 quando l’artista, all’apice della sua notorietà, si aggirava ispirato tra le rovine dell’edificio: decise di rivitalizzare il paese disseminando sue opere per le strade e nei monumenti e proprio al castello dipinse le pareti di una sala, all’epoca scoperchiata ed oggi restaurata e coperta. Nelle scene del “ La stanza dei desideri”, che hanno prevalentemente profilo naturalistico, trovano posto anche la figura di Pavarotti, a simboleggiarne la presenza a Fiumefreddo, e l’autoritratto dell’artista con la sua Zaù. Dichiarato “Monumento Contro Tutte le Guerre, nonostante il restauro, le due cannonate del generale Renyer, del 12 febbraio 1807, sono ancora ben visibili.
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Castello Ruffo di Scilla
Il castello Ruffo di Scilla, talvolta noto anche come castello Ruffo di Calabria, è un’antica fortificazione situata sul promontorio scillèo che divide le due spiagge di Marina Grande e di Chianalea, proteso sullo stretto di Messina (già “stretto di Scilla”). Il castello costituisce il genius loci della cittadina di Scilla, circa 20 km a nord di Reggio Calabria, e sicuramente uno degli elementi più caratteristici e tipici del paesaggio dello Stretto e del circondario reggino. Sicuramente, il fatto di aver attraversato secoli e secoli di civiltà, ha alimentato grandemente miti, leggende e misteri che già normalmente nascono intorno ai castelli tanto che anche Omero ne parla nell’Odissea. La prima fortificazione a Scilla risale all’inizio del V secolo a.C.. Nel 493 a.C., il tiranno di Reggio Anassila, per porre fine alle incursioni dei pirati fece iniziare l’opera di fortificazione dell’alta rocca. Questa divenne per Anassilao un importante avamposto di controllo sul mare. Baluardo della sicurezza dei reggini, dotata di approdo, la fortificazione di Scilla è di fondamentale importanza agli effetti del felice esito della guerra contro la pirateria, consentendo ai tiranni di Reggio di opporre per lungo tempo una valida resistenza contro gli attacchi di nuovi nemici e contro i continui tentativi di rivalsa dei Tirreni sconfitti. Il dominio reggino sul luogo fu interrotto per soli cinquant’anni da Dionisio, tiranno di Siracusa, che, nel 390 a.C., assoggettò la rocca dopo un lungo assedio. La rupe pian piano divenne una vera fortezza, tanto che nel III secolo a.C. la fortificazione dei reggini, alleati dei romani, resistette validamente ai Punici alleati dei Bruzi. Successivamente Ottaviano, una volta disfattosi del rivale Pompeo, avendo compreso l’importanza strategica della rupe di Scilla che gli aveva offerto opportuno rifugio, decretò che venisse maggiormente fortificata. Infatti Plinio il Vecchio cita Scilla come Oppidum Scyllaeum (Naturalis historia, III, 76), e oppidum in latino è un termine usato per indicare un grande insediamento fortificato.
Scrive il geografo greco Strabone sullo Skyllaion (in greco Σκυλλαίον, originale denominazione greca del luogo):
« Dopo il fiume Metauro c’è un altro Metauro; segue poi il promontorio Skyllaion, in posizione elevata, che forma una penisola con un piccolo istmo a cui si può approdare da entrambe le parti. Anasilao, tiranno di Rhegion, lo fortificò contro i Tirreni, facendone una stazione navale; impedì così che i pirati attraversassero lo Stretto: vicino infatti c’è il promontorio di Caenys che è l’ultima estremità dell’Italia che viene a formare lo Stretto […] »
Nel 1533 il castello venne acquistato da Paolo Ruffo che decise di restaurarne il palazzo baronale poiché nel 1578 la famiglia Ruffo ottenne il titolo di principe. Il forte terremoto del 1783, che danneggiò tutta l’area dello Stretto e parte della Calabria meridionale, non risparmiò il castello di Scilla che però, divenuto proprietà demaniale dello Stato nel 1808, fu restaurato nel 1810. Il terribile sisma del 1908 distrusse gran parte dell’antica struttura del castello, mentre nel 1913 la parte superiore venne chiusa per ospitare il faro. Costruito nello stesso anno per fornire un riferimento alle navi che attraversavano lo Stretto, il faro è tuttora attivo ed è gestito dalla Marina Militare. Poi durante il periodo fascista alcuni ambienti vennero divisi in appartamenti destinati a impiegati e funzionari pubblici. Nell’ultimo trentennio il castello è stato utilizzato come ostello della gioventù, ma oggi, dopo un nuovo restauro, è un centro culturale: ospita infatti il Centro regionale per il recupero dei centri storici calabresi ed è sede di mostre e convegni. L’edificio presenta una pianta irregolare con parti databili a diverse epoche ma che nel complesso conservano tutt’oggi la configurazione abbastanza omogenea di una fortezza dotata di cortine, torrioni e feritoie. L’ingresso è preceduto dal ponte che conduce all’edificio il cui ambiente principale è caratterizzato dal portale di pietra costruito con arco a sesto acuto, sui cui campeggiano lo stemma nobiliare dei Ruffo e la lapide che celebra il restauro del castello eseguito nel XVI secolo. Superato l’androne a volta ribassata si apre un cortile, e da qui, percorrendo il grande scalone, si giunge all’ingresso della residenza. Questa è dotata di ampi saloni, essendo stata di proprietà di una delle più ricche e importanti casate del regno di Napoli.
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Castello Ducale di Corigliano
l castello di Corigliano Calabro è una fortezza risalente all’XI secolo, sito in provincia di Cosenza nel comune omonimo. È stato definito come uno “fra i castelli più belli e meglio conservati esistenti nell’Italia meridionale”. Le prime notizie che testimoniano la presenza di un avamposto fortificato risalgono ai Normanni, in espansione verso la Calabria e la Sicilia, i quali dovettero erigere un baluardo a difesa di Corigliano e a controllo di tutta la sottostante piana di Sibari. L’origine del castello di Corigliano Calabro è legata alla figura di Roberto il Guiscardo (Roberto d’Altavilla), il re normanno d’aspetto gigantesco. Fu lui, secondo il suo biografo Goffredo Malaterra, a volere nel 1073 la costruzione di un fortilizio vicino Rossano, nell’ambito della linea di difesa realizzata in Valle Crati tra il 1064 e il 1080. Rossano era allora ancora fortemente permeata di religiosità e cultura bizantina e frequenti erano gli episodi di ribellione verso i nuovi conquistatori. La vicina Corigliano, pur essendo solo un piccolo borgo arroccato sulla collina detta ” del Serratore”, poteva subirne l’influenza e Roberto non voleva correre rischi. Da qui la decisione di costruire il castello che, secondo la tradizione normanna, aveva non tanto lo scopo di proteggere il territorio da pericoli esterni, quanto di far sentire alla comunità il peso del potere dominicale. Il primo signore del castello di Corigliano fu un vassallo del Guiscardo, Framundo, proveniente da L’Oudon (Francia), al quale seguirono suo fratello Rinaldo e poi suo nipote Guglielmo. La fortezza era costituita solo da una torre e la trasformazione che porterà il castello all’aspetto attuale avvenne solo dopo l’avvento dei Sanseverini, una delle famiglie più importanti del Regno di Napoli, e in particolare di Roberto, conte di Corigliano.  A questo periodo infatti risale la costruzione all’interno del lato sud della struttura di alcune importanti e comode stanze signorili. Nel 1490, Alfonso Duca di Calabria, figlio di Ferdinando d’Aragona, rafforzò il potente mastio collegato al castello tramite un ponte levatoio protetto dal ravellino, allargò e reso più profondo il fossato su cui si poggiavano le scarpate delle torri di cui tre di loro sono più piccole e incastonate alla struttura quadrangolare. Nel 1538 il terribile pirata Barbarossa, nel corso di una delle sue incursioni in Calabria alla ricerca di schiavi e ricchezze, rivolse il suo attacco al territorio di Corigliano. I Coriglianesi, dopo una vana resistenza erano sul punto di cedere quando Pietro Antonio Sanseverino, sedicesimo conte di Corigliano, fece diffondere la notizia che un suo servo avevo sognato S. Francesco di Paola che gli aveva predetto una sicura vittoria contro i barbari incursori. Rassicurati da questa profezia, i cittadini si raccolsero nel castello e attorno alle porte delle mura cittadine, dopo una strenua resistenza riuscirono ad avere la meglio sui corsari guidati dal Barbarossa. Passato, nel corso dei secoli, oltre che sotto la potente famiglia dei Sanseverino, anche dai Saluzzo e dai Compagna, oggi il Castello Ducale, dopo una sapiente opera di restauro che ha coperto l’arco temporale 1988 – 2002, è un fiore all’occhiello non solo del territorio della Sibaritide ma di tutta l’Italia meridionale. Il mastio si divide in quattro livelli fino ad arrivare in cima alla torre, ogni livello ha la sua caratteristica diversa dagli altri.
  • Piano terra: Il piano terra che doveva far parte della struttura più antica del castello, è affrescato solo nella volta con motivi geometrici monocromatici.
  • Piano delle crociate: il più ricco dei quattro livelli con affreschi di antichi sovrani e cavalieri alle pareti e drammatiche scene di battaglie nelle numerose lunette incorniciate da stucchi sulla volta.
  • Piano dell’antica Roma: in questo piano gli affreschi nei tondi della volta eternano famose scene dell’antichità classica, in un geometria che si compone in petali avvolgendosi a fiore sul tortuoso stelo della scala.
  • Piano degli scudi: ultimo piano del mastio, sono presenti numerosi scudi effigiati ad intervalli regolari lungo il perimetro della volta sulla quale spiccano regali figure assise in trono, contornate dai simboli del loro potere.
Anima del mastio è la vertiginosa scala a chiocciola in ferro voluta dai Compagna che si riavvolge su se stessa per tutta l’altezza della torre, in un crescendo di decori ed affreschi eseguiti dal pittore fiorentino Girolamo Varna attorno al 1870.
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Castello ducale di Corigliano Calabro
Castello Murat
Maniero a Pizzo Calabro della seconda metà del XV secolo in cui, nel 1815, fu imprigionato e condannato a morte per fucilazione il Re di Napoli Gioacchino Murat. L’edificazione del Castello Murat avvenne in due periodi storici diversi. La prima parte di esso era costituita dalla sola torre più grande detta Torre Mastia o di avvistamento. La sua costruzione rientrava nel sistema difensivo attuato dagli angioini per la difesa dei centri abitati costieri dalle incursioni saracene e risale alla fine del 1300. Proseguito cento anni dopo da Ferdinando I D’Aragona, esso rientrava in quel processo di fortificazione delle coste dell’Italia meridionale il cui scopo era quello di contenere le scorrerie saracene che infestavano i mari del Sud. L’Aragona, infatti, rimasto solo contro i turchi, cercò di rendere sicuro il suo Regno, fortificando i luoghi costieri più esposti alle scorrerie saracene con l’ordinanza del 12 novembre 1480.  Per Pizzo fu disposto di aggiungere alla torre angioina già esistente, un massiccio corpo rettangolare, munito di una torre a tronco conico, alquanto più piccola della precedente, e di costruire poco più in basso, a strapiombo sulla Marina, una torretta di guardia. I lavori si protrassero dal 1481 al 1485. Ultimata la sua costruzione, il nuovo Castello, fornito di archibugi e di artiglieria, ebbe un presidio di soldati, sotto il comando di un Ufficiale. Esso non fu mai una residenza signorile, ma sempre fortezza militare e prigione dove vennero rinchiusi personaggi illustri quali il filosofo Tommaso Campanella, l’alchimista Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, il filosofo Pasquale Galluppi e Ricciotti Garibaldi, figlio di Giuseppe ed Anita. Il prigioniero più celebre del Castello di Pizzo è Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone, che giunse su queste coste con un manipolo di uomini per guidare una rivoluzione contro i Borboni che però non ci fu. Giunto a Pizzo l’8 ottobre 1815, fu subito fatto prigioniero e, dopo 5 giorni, fucilato. Nel suo complesso, il Castello conserva il suo aspetto originario. Esso si sviluppa su una pianta quadrangolare inscritta in un trapezio. Un tempo si accedeva attraverso un ponte levatoio, oggi sostituito da un piano di calpestio in muratura. Sul portale principale della porta d’ingresso c’è una lapide che ricorda Gioachino Murat. Il castello è composto da un piano a livello stradale e da un piano superiore. Sotto il piano a livello stradale, vi sono i sotterranei ai quali è vietato l’accesso, ma si narra che conducano fuori città, nei pressi di Vibo Valentia (circa a 11 Km) e verso il lago Angitola (circa a 7 Km). La parte della fortezza oggi visitabile riguarda i semisotterranei e il piano superiore. All’interno del maniero una ricostruzione storica con dei manichini in costume riproduce gli ultimi giorni di vita di Gioacchino Murat: nei semi sotterranei un corridoio lungo e stretto conduce  alle celle nelle quali furono rinchiusi Murat ed alcuni soldati della sua spedizione; al primo piano la sala in cui si svolse il sommario processo contro l’ex Re di Napoli, la cella in cui egli trascorse gli ultimi momenti della sua vita, nella quale si confessò con il Canonico Masdea e, infine, scrisse la lettera di addio alla moglie Carolina e ai suoi 4 figli. Sul ballatoio, il luogo in cui venne fucilato il 13 ottobre del 1815. Dalle terrazze del Castello si può ammirare il Golfo di Sant’Eufemia e lo Stromboli fumante da un lato e dall’altro la piazza di Pizzo, luogo di riunione storico per gli abitanti della cittadina e sede delle gelateria dove è possibile degustare il famoso tartufo.
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 Castello Normanno-Svevo di Cosenza
Il Castello Normanno-Svevo di Cosenza rappresenta il principale monumento della città dei Bruzi, che lo vede ergersi ormai da secoli su uno dei punti più alti della città, il colle Pancrazio, uno dei sette colli della città. E’ edificato su una motta artificiale di forma rettangolare, il cui orientamento rimanda alle edificazioni dei Bretii (VI sec a.C.), popolazione che era..........................................................