C'è nel modo di alimentarsi dei calabresi qualcosa di sacro e di antico, l'osservanza di regole di comportamento che vengono dai secoli. Si direbbe che tra la Sila e lo Stretto si avvertisse più che altrove la connessione tra le esigenze della nutrizione e quelle dello spirito: ogni festa religiosa aveva in Calabria il suo cibo di devozione, ogni evento della vita familiare - nozze, lutti, battesimi - il suo adempimento gastronomico. Era regola che per Natale si dovessero mettere in tavola tredici portate e che lo stesso si dovesse fare per l'Epifania; le feste di Carnevale richiedevano un menù fondato su maccheroni e carne di maiale, la Pasqua non poteva celebrarsi senza i pani rituali e l'arrosto di agnello. Per l'Ascensione erano di rigore i tagliolini al latte, per San Rocco dolci raffiguranti le parti del corpo che potevano guarire per l'intercessione del taumaturgo e così via: il pane azzimo a Santa Chiara, lagane e ciceri per i Defunti, il baccalà fritto a San Martino, la cuccia a Santa Lucia.
Il rigore di questo calendario si è affievolito col tempo, lasciando però tracce visibili nel repertorio alimentare della regione. Il cibo dei calabresi è sostanzialmente quello che era una volta, determinato dagli usi, dalle credenze e dalla storia. Protesa al centro del Mediterraneo, lambita da due mari, la Calabria nelle sue coltivazioni ha raccolto e metabolizzato influenze dell'Est come dell'Ovest: alcune coltivazioni furono trapiantate sul suolo di quella che si chiamava Enotria dai coloni greci, fondatori di una civiltà di cui si sente ancora l'orgoglio.
Incontestata è ad esempio l'origine greca dei laganoi, larghe fettuccine molto amate a Sibari, mentre è sicuramente arabo il nome della mustica, lo straordinario, appetitosissimo cibo che deriva dalla pratica di mettere sott'olio e sotto peperoncino le acciughe appena nate. Si tratta di un cibo conservato, dunque di una risorsa vitale.
Nei borghi dell'Appennino, nei luoghi della fatica mal compensata, la disponibilità di provviste non deperibili era fino a ieri l'unica ricchezza desiderata. "Amaru chi lu puorco non ammazza", infelice chi non ha maiali da ammazzare, diceva una vecchia canzone popolare. Gli insaccati, la sugna, la mustica, i formaggi, le melanzane sott'olio e i pomodori seccati erano per la gente del Sud la garanzia di sopravvivere nei periodi, non infrequenti, di carestia. La loro preparazione seguiva rituali e scadenze non derogabili, era accompagnata da invocazioni, auspici e scaramanzie di cui resta ormai solo il ricordo.
Non è certo una tavola raffinata o ricca d'ingredienti, né potrebbe essere così, data l'atavica povertà di una regione aspra, lontana dai grossi centri culturali e vessata per secoli da un'economia di tipo feudale che l'ha impoverita di risorse anziché potenziarne le possibilità. Nelle zone oggi bonificate, sottoposte a colture intensive, i prodotti agricoli sono ottimi: la piana di Santa Eufemia, quella di Sibari, quella di Rosarno sono fertilissime; in Sila si producono ottimi formaggi; la viticoltura è in aumento. La tavola resta comunque robusta, fatta di sapori intensi, di piatti antichissimi, di aromi violenti.
Le verdure sono, da sempre, protagoniste dell'alimentazione in Calabria: insieme alla pasta e a tutti i derivati del maiale costituiscono la base della cucina locale. A questi tre ingredienti si aggiunge, sulla costa, il pesce. La pesca ha una più lunga tradizione sullo Stretto e a Reggio, dove si cattura fra l'altro il pesce spada; tuttavia si può trovare pesce fresco e ricette per valorizzarlo sia sul Tirreno che sullo Ionio.
Regina delle verdure è la melanzana che, introdotta in Europa dopo la conquista dell'America del Sud, attecchì magnificamente nell'Italia meridionale. In particolare, il terreno calabrese, povero di acque, di natura silicea e scarsissimo di calcio, è adatto a questa solanacea, perché consente la maturazione di un complesso di sostanze aromatiche che danno alla polpa un sapore stupendo. È curioso il fatto che, mentre la melanzana per molti anni ha retto l'alimentazione delle popolazioni meridionali, nel Nord, fino al secolo scorso non ebbe fortuna. Si pensava addirittura che facesse male: il nome deriverebbe da «malum insanum», cioè frutto che predispone alla pazzia! Superato questo tabù popolare, oggi la si consuma un po' dovunque in Italia, ma certo è rimasta verdura tipicamente solare e mediterranea. Anche la sua preparazione più celebre, detta «alla parmigiana», nacque nel Sud e non a Parma; il nome derivò dall'abbondante dose di formaggio che il piatto richiede. In Calabria si trattò sempre di pecorino, ma qualcuno un giorno usò il formaggio parmigiano, e così è rimasto.
In Calabria si conoscono un'infinità di modi di cucinare le melanzane (in agrodolce, in scapece, ripiene, fritte con pomodori e uova, ecc.): talvolta arrivano in tavola irriconoscibili. Per esempio, tagliate prima a metà e scottate in acqua bollente, vengono ricomposte con uno strato intermedio di pecorino, pepe, basilico. Quindi vengono infarinate, passate nell'uovo sbattuto, infarinate una seconda volta e avvolte in un vestito di pangrattato, poi finalmente fritte. Il risultato è un fagotto che troneggia nel piatto, un po' misterioso.
Altre verdure pressoché onnipresenti sono i pomodori, i peperoni e le cipolle dalla caratteristica buccia rosso-violacea. Di polpa dolce e carnosa, dai bei colori vividi, sono ornamento della tavola nelle più svariate preparazioni.
Quasi dimenticata questa usanza delle tredici portate a Natale,anche a Sellia era molto usata
RispondiEliminaOgni volta che leggo un post sul blog mi tuffo, mi immergo nella mia infanzia fatta di tanta tradizione,usanze,costumi.Grazie selliaracconta
RispondiEliminaAttenta analisi della nostra antichissima storia culinaria fatta di tanti sapori, tanti prodotti della nostra terra.Ciao Sellia dalla Germania
RispondiEliminaRagazzi è veramente bello leggere i vostri post Grzie.
RispondiEliminaLa nostra cucina è ricca di tante tradizioni per ogni periodo dell'anno si prevaravano ricette appropiate per l'occasione
RispondiEliminaNun si mangiavanu i malanciani? chilli du nord nu sannu mangiara genuinu comu nui.
RispondiEliminaOggi si assiste ad una riscoperta degli antichi sapori ,tutto quello che una volta veniva mangiato per fame,per necessità oggi fa bene alla salute
RispondiEliminaQuande delizie,quante gulielli.Tutti prodotti naturali altro che i panini con hamberger patatine fritte ecc...ecc...
RispondiEliminaMolte volte mangiamo schifezze che fanno solo male, quando invece i prodotti semplici, genuini dei nostri nonni rimangono il modello di una sana alimentazione.Maria
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