In oltre due millenni di presenza nella penisola gli ebrei, quando è stato loro permesso, hanno preso parte alla vita e alla storia del Paese, con un ruolo rilevante nelle sue evoluzioni politiche, sociali, culturali. Nel caso del Risorgimento, l’adesione degli ebrei italiani fu generalizzata: vi parteciparono dall’attività cospirativa mazziniana sino alla presa di Roma.
Il 20 settembre 1870 fu proprio un ufficiale ebreo piemontese a dare l’ordine di aprire il fuoco. Come ha detto la storica dell’Università La Sapienza di Roma Anna Foa, nella prolusione pronunciata poche settimane fa di fronte al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del VI Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l’emancipazione degli ebrei fu “un momento qualificante della costruzione del nuovo Stato italiano, e lungi dal rappresentarne una sorta di conseguenza marginale, ne segnò profondamente il percorso, divenendone, con il connesso principio della tolleranza di tutti i culti religiosi e poi con quello dell’uguaglianza dei culti di fronte alla legge, uno dei pilastri basilari.” Esiste, continua la Foa, “un’intima assonanza culturale ed ideale fra ebrei ed unità d’Italia.”A centocinquant’anni di distanza, i valori sui quali si fonda il nostro Paese, positivi da un punto di vista ebraico, rimangono validi e attuali. Basi solide in grado di garantire i diritti dei singoli, specie nelle società sempre più aperte e multiculturali che si vanno formando.
Crediamo che le radici dello Stato italiano siano profonde e nobili. Non è retorico ricordarle nel Giorno della Memoria, accanto alla occasioni di celebrazione, all’omaggio ai testimoni che ancora sono con noi e al doveroso ricordo dei Giusti: perché le ideologie totalitarie che perpetrarono la Shoah e gli altri crimini contro l’umanità durante la seconda guerra mondiale erano agli antipodi delle idee di libertà degli individui e democrazia che portarono all’Italia unita.
Renzo Gattegna, Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane