Sono una settantina i comuni calabresi a rischio
estinzione per una delle norme contenute nella manovra approvata venerdì
scorso dal Governo;
74 a voler essere pignoli, anche se per averne
certezza si dovrà attendere i dati del censimento Istat 2011. Ma prima
della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del testo della manovra, su
questo come su altri argomenti si può solo camminare a tentoni; anche
per via delle diverse interpretazioni date alle parole udite fin qui.
Cosa significa “accorpare” i Comuni con popolazione inferiore ai mille
abitanti? Si tratta di una “fusione” come quella che fecero (ma per
libera scelta) nel 1968 i comuni di Nicastro, Sambiase e S. Eufemia per
dar vita alla città di Lamezia Terme? È l’obbligo di costituzione di
“unioni di Comuni” che pertanto singolarmente manterrebbero ciascuno la
propria identità? O di altro ancora? Il ministro Calderoli, ad esempio,
ha parlato di unione e non di fusione. In attesa di avere, sul punto,
idee più chiare, allo stato ci si può limitare a considerazioni di
carattere generale. La prima è che se i termini della manovra dovessero
rimanere immutati in sede di conversione, ci si troverebbe di fronte ad
una bella sforbiciata: 74 comuni sui 409 della Calabria sono il 18%.
Dovrebbero “scomparire” (accorpati, uniti, fusi: si vedrà) micro-
municipalità come quella di Staiti, che sulla carta non arriva a 300
abitanti, o di Scido, sempre in provincia di Reggio Calabria, che
“rischia” per due abitanti appena, risultandone residenti 998. Ma, come
detto, è il caso di attendere i risultati del censimento, le cui
procedure di svolgimento sono già attivate in tutta Italia. Più in
dettaglio, la questione dovrebbe riguardare tre comuni su un totale di
27 nella provincia di Crotone (Umbriatico, San Nicola dell’Alto e
Carfizzi), sei su 50 nella provincia di Vibo Valentia (Simbario,
Spadola, Mongiana, Zaccanopoli, Vallelonga e Brognaturo), 17 su 80 della
provincia di Catanzaro (Cicala, Martirano, Sorbo San Basile, Motta
Santa Lucia, Amato, Andali, Miglierina, San Floro, Jacurso, Olivadi,
Fossato Serralta, Cenadi, Gagliato, Argusto, Sellia, Marcedusa e
Centrache), 23 su 97 della provincia di Reggio (Scido, Cosoleto,
Serrata, Samo, Casignana, Canolo, Ferruzzano, Camini, Sant'Agata del
Bianco, Pazzano, Agnana Calabra, Ciminà, Roccaforte del Greco, Martone,
San Procopio, Caraffa del Bianco, San Giovanni di Gerace, Terranova
Sappo Minulio, Bova, Laganadi, Candidoni, Sant'Alessio in Aspromonte e
Staiti), e 25 su 155 in provincia di Cosenza (Marzi, Lappano, Belsito,
Domanico, Civita, Cervicati, Laino Castello, Pedivigliano, Terravecchia,
Papasidero, Aieta, Malito, Plataci, Canna, San Lorenzo Bellizzi,
Altilia, Serra d'Aiello, San Cosmo Albanese, San Pietro in Amantea,
Alessandria del Carretto, Cellara, Nocara, Castroregio, Panettieri e
Carpanzano). Per quanto riguarda il “taglio” delle Province, a Crotone e
Vibo Valentia tira aria di mobilitazione, anche se con una mannaia
posizionata a 300 mila abitanti c’è ben poco da fare sia per Crotone
(174.000) che per Vibo Valentia (166.000). Protesta il presidente di
provincia Pd Francesco De Nisi a Vibo, recrimina il presidente di
provincia Pdl Stano Zurlo a Crotone. «L'abolizione delle Province più
piccole – tuona De Nisi – rappresenta una scelta iniqua, inefficace e
profondamente demagogica. Iniqua perchè discrimina proprio quei
territori meno popolati dove i compiti e le funzioni delle Province
hanno maggiore importanza nelle dinamiche socio-economiche locali,
lasciando in vita, invece, le Province più “inutili”, cioè quelle dove
sono presenti grandi aree metropolitane, come Milano, Roma, Napoli.
Inefficace, perchè il risparmio realizzabile con l’abolizione delle
Province è irrisorio rispetto agli enormi disagi che questa norma
comporterà per le popolazioni dei territori coinvolti». Gli fa eco Stano
Zurlo: «Se è il costo della politica che si vuole tagliare, noi siamo
pronti a dare una mano al Governo, di andargli incontro azzerando le
spese della politica. Ho già parlato con la mia Giunta e con il
Consiglio e all’unanimità abbiamo deciso di rinunciare all’indennità ed a
tutte le altre concessioni che potrebbero diventare una spesa per
l’Ente. Capisco che il periodo è tremendamente difficile e che è
arrivato il momento dei sacrifici e dei tagli ma ho l’impressione che le
piccole Province stiano pagando il prezzo più alto». Entrambi sono
preoccupati per la soppressione, oltre che della Provincia in quanto
Ente, degli “annessi e connessi”: Prefettura, Questura, comando
dell’Arma, Camera di commercio e via discorrendo. Un tema questo ripreso
dal senatore Adriano Musi, commissario del Pd calabrese e vice
presidente della commissione Finanze del Senato: «La soppressione delle
province “minori” non deve comportare un abbandono del territorio sotto
il profilo dell’ordine pubblico. L’eventuale abolizione di Prefetture,
Questure, comandi provinciali delle forze dell’ordine, non dovrebbe
tradursi in una “ritirata” dello Stato da territori - penso ai casi di
Crotone e Vibo Valentia in Calabria - in cui è forte l’esigenza di una
lotta costante contro la criminalità, organizzata e comune ». Per Musi
«non si tratta di ingaggiare lotte di campanile, a difesa di enti
amministrativi sulla cui reale utilità si può legittimamente avanzare
qualche dubbio, bensì di assicurarsi che lo Stato mantenga una presenza
tale da garantire alle popolazioni interessate i servizi necessari. E
soprattutto – continua Musi - i risparmi non possono giustificare cali
di tensione sui temi della legalità e della sicurezza. Chiediamo
pertanto – prosegue Musi – un’articolazione dei presidi delle forze
dell’ordine che non faccia venire meno gli standard di sicurezza
garantiti finora. Infine – dice il parlamentare – è auspicabile che i
risparmi di cassa siano impiegati per incentivare lavoro e sviluppo sul
territorio, elemento finora assente nelle politiche del governo».
(Gazzetta del Sud)