Caso Giardina, analisi dell'arringa di Scopelliti in conferenza stampa. Il governatore va all'attacco ma dimentica alcuni fatti
Il sindaco Demetrio Arena, gli assessori comunali Tilde Minasi, Demetrio Berna e Pasquale Morisani, l'ex coordinatore cittadino del Pdl Luigi Tuccio e il suo successore Daniele Romeo, il consigliere comunale Walter Curatola, quello provinciale Michele Marcianò, il coordinatore regionale della lista “Scopelliti presidente” Giovanni Bilardi, quello provinciale Oreste Romeo, l'ex assessore comunale Franco Germanò, l'ex assessore Enzo Sidari. Erano tutti in prima fila.
In fondo alla sala, invece, un attento Tino Scopelliti, all'anagrafe Consolato, ad ascoltare l'attacco che il fratello stava sferrando in conferenza stampa al colonnello Valerio Giardina, “reo” di aver riferito in un'aula di tribunale il contenuto di un'informativa da lui stesso firmata e inserita dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo nel fascicolo del processo “Meta”, nato da un’inchiesta contro il gotha della 'ndrangheta reggina.
L'intervento del governatore è la dimostrazione plastica che l'arroganza ha ceduto il passo all'esigenza di rispondere, di attaccare, di offendere e di alludere a «macchinazioni» e «cabine di regia» di cui, con il solito stile che lo contraddistingue, non svela il regista.
Ma andiamo con ordine e proviamo ad analizzare le dichiarazioni del governatore della Calabria.
La vicenda del palazzo confiscato al boss Pasquale Condello e ristrutturato dal Comune è quella su cui il governatore si sente più forte, fa riferimento a «scelte coraggiose» che avrebbero distinto la sua amministrazione comunale a differenza di quelle che l'hanno preceduta. Parla in terza persona: «Scopelliti ha mandato il provvedimento di sgombero al boss più pericoloso della 'ndrangheta. Il 10 aprile 2006 il Comune scrive agli occupanti degli alloggi diffidandoli ad abbandonare lo stabile entro 30 giorni».
A questo punto il governatore dimentica un passaggio importante. Se da una parte è vero che l'assegnazione del bene al Comune risale al 2001, dall'altra è altrettanto vero che, dal maggio 2002 al momento della diffida alla moglie del boss, l'amministrazione era guidata da Scopelliti.
Il “city manager” del Comune era l'avvocato Franco Zoccali (oggi direttore generale della Regione) che i primi di aprile del 2006 (quindi prima del provvedimento) veniva interrogato dal pm Sara Ombra e dichiarava: «La problematica relativa agli immobili confiscati è molto delicata; per tale motivo nessuno, fino ad oggi, si è assunto in maniera determinata la responsabilità di atti decisivi. Ritengo che la responsabilità del ritardo sia da attribuire all'intera amministrazione comunale...».
E da chi era diretta quest'ultima nei 4 anni precedenti a quell'interrogatorio?
Ancora più pesante era stata la deposizione dell'ingegnere Giuseppe Granata, funzionario del Comune, sempre al pm Ombra: «Alcuni immobili confiscati sono ancora occupati da appartenenti alle famiglie mafiose. Non so se paghino un indennizzo di occupazione che è di competenza dell'Ufficio staff del sindaco. Le eventuali ordinanze di sgombero devono essere firmate dal sindaco. Non mi risulta che finora siano state mai emesse ordinanze del genere. Non mi risulta che sia mai stato sgomberato alcun immobile confiscato».
Siamo ai primi di aprile 2006 quando, con gli interrogatori dei propri funzionari, il Comune viene a conoscenza di un'indagine sulla gestione dei beni confiscati. Pochi giorni dopo (e non prima), Scopelliti firma l'ordinanza di sgombero del fortino di Pasquale Condello.
SCOPELLITI E IL BOSS COSIMO ALVARO ALLA FESTA DI BARBIERI
Il governatore risponde alle domande dei giornalisti. Tra queste anche quella relativa alla sua partecipazione a un pranzo dove era presente pure il boss Cosimo Alvaro. È l'ottobre 2006 quando il governatore accetta l'invito degli imprenditori Barbieri per festeggiare, al ristorante la “Fenice” di Gallico, i 50 anni di matrimonio dei loro genitori.
Ecco la versione data da Scopelliti: «Fu Vincenzo (Barbieri, ndr) a telefonarmi, dicendomi che il padre sarebbe stato felice di avere il sindaco alla sua festa, essendo stato in passato un dipendente del Comune. Preciso che in quella data la Prefettura aveva rinnovato il certificato antimafia alla ditta Barbieri e che Vincenzo non è mai stato arrestato».
E qui, le amnesie del presidente della Regione tornano a condizionare il suo intervento. È vero che Vincenzo Barbieri non è stato arrestato, ma è indagato per corruzione elettorale e abuso d'ufficio. Reati per i quali la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio e sono in corso le udienze preliminari che vedono sul banco degli imputati anche l'ex consigliere comunale Manlio Flesca accusato, sempre nell'ambito dell'inchiesta "Meta", di avere fatto assumere la moglie dell'imprenditore alla società mista Reges in cambio di 200 voti alle elezioni comunali del 2007. Vincenzo Barbieri, inoltre, è il fratello di Domenico, condannato in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso.
A questo punto i nervi del governatore sono messi a dura prova. La sua arringa più accorata Scopelliti la dedica al fratello Tino, indicato nel corso di una conversazione come colui che si «è riempito la mazzetta».
Ecco cosa ha detto il governatore mercoledì scorso: «Non è possibile svergognare una persona solo per la telefonata di un balordo. Andate in giro a vedere di quali persone parliamo, di chi si è permesso di fare il nome di mio fratello. Con una telefonata avete costruito mesi di diffamazione nei miei confronti. Perché non siete riusciti a colpire Scopelliti Giuseppe, pensate di farlo colpendo mio fratello e la mia famiglia. E allora vi domando: una telefonata tra due persone può diventare l'oggetto di aggressione a una persona che non si può difendere? Un'aggressione vergognosa. Spero che i giornalisti che hanno scritto queste cose paghino e che mio fratello diventi ricco grazie ai risarcimenti».
In attesa che la giustizia civile faccia il suo corso, il governatore potrebbe rileggere l'informativa finale dell'inchiesta “Meta” e constatare con mano quanto sia importante documentarsi prima di replicare. In particolare quando si tratta di argomenti delicati come i rapporti tra 'ndrangheta e politica. Innanzitutto, quella a cui fa riferimento Scopelliti non è una telefonata ma un'intercettazione ambientale, captata il 3 gennaio 2007 all'interno dell'auto di Domenico Barbieri.
Ecco lo stralcio dell'informativa del Ros dalla quale emerge che a indicare Tino Scopelliti è stato l'imprenditore Barbieri che ha organizzato il pranzo al ristorante “Fenice” a cui ha partecipato l'ex sindaco di Reggio. «Il Barbieri – scrivono i carabinieri – illustrava al Labate l’intraprendenza di una ditta denominata “Edilma”, la quale avrebbe ottenuto l’aggiudicazione di alcune gare d’appalto grazie all’intervento del fratello del sindaco che, d’accordo ed in combutta con l’ing. Crucitti Pasquale, si sarebbe preso alcune somme di denaro, per favorire proprio l’Edilma ed altre ditte:
BARBIERI D.: … incomp... aggiustare i lavori, l'hai visto Edilma... incomp... (Edilma, ndr) come cazzo ha fatto ad entrare?
LABATE F.: Io non sono riuscito a sapere con chi… incomp...
BARBIERI D.: Con il fratello del sindaco!
LABATE F.: Con Crucitti proprio?
BARBIERI D.: Con il fratello del sindaco è lui. I soldi se li sta prendendo il fratello del sindaco!
LABATE F.: Edilma (Edilma, ndr)
BARBIERI D.: Di tutti! Quello che si è riempito la mazzetta, quello che si è preso la pila».
E quando qualcuno gli ricorda l'intercettazione telefonica (stavolta lo è veramente, sic) in cui il 10 febbraio 2009 Tino Scopelliti ha chiesto al dirigente Crucitti, gambizzato pochi giorni prima, informazioni su alcuni lavori che il Comune stava svolgendo ad Aretina, il governatore sbotta provocando gli applausi della claque: «Ma di che sta parlando? Dove cazzo vive? Lei vive a Reggio Calabria o vive a Milano? A mio fratello più che dire di stare mille miglia lontano dai palazzi dove sono io, che gli devo dire? Mio fratello ha chiesto un'informazione e non ha chiesto soldi. Fate demagogia. Non meritate neanche il rispetto della risposta. Qua stiamo parlando di pettegolezzi». E alludendo alle indagini che ne sarebbero scaturite: «Gli avrebbero messo le microspie a mio fratello, anche nelle orecchie per non dire altro. A cosa ha portato quella fase investigativa? A niente».
Tralasciando il fatto che, come è emerso da alcune importanti inchieste, Milano è diventata la capitale della 'ndrangheta, una cosa Scopelliti l’ha indovinata. Nella richiesta di sottoporre ad intercettazione telefonica il parente del politico, infatti, il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri aveva scritto che tra l’ingegnere e Tino Scopelliti «insistono equivoci rapporti atteso che quest'ultimo, pur non avendo alcun titolo, chiedeva al Crucitti, nel corso di una conversazione delucidazioni in ordine a dei lavori in corso di realizzazione nel Comune di Reggio. Non risulta dalle dichiarazioni dei redditi che Consolato Scopelliti svolga attività lavorativa per conto del Comune di Reggio».
Giorgio De Stefano e Paolo Romeo. Il primo è cugino del boss don Paolo, il secondo è l’unico parlamentare reggino condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Stando alle indagini, sarebbero loro le menti della lobby affaristico-mafiosa che controllava la vita politica e sociale della città dello Stretto. Su questo, Scopelliti si è rifatto alle dichiarazioni del senatore Maurizio Gasparri: «Forse ha ragione lui: bisogna capire se c’è una cabina di regia dietro questi accostamenti. Non ho mai preso parte al salotto di Romeo e ne sono contento».
E, commentando la frase pronunciata in aula dal militare («Questo è il “modello Reggio”»), il governatore riparte con le offese all'ufficiale dell'Arma. E poi attacca: «Il colonnello Giardina si è comportato come un oppositore politico, chissà che alle prossime elezioni non si candidi».
Anche qui, la reazione di Scopelliti appare scomposta. Dimentica, infatti, che il riferimento agli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo quali “menti” della lobby che manovra il sistema degli appalti al Comune, non è frutto della fantasia del colonnello Giardina, ma è il risultato di un'intercettazione ambientale tra gli imprenditori Franco Labate e Domenico Barbieri.
«Si sono mangiati sopra a dodici miliardi di strade che dovevano bitumare… non dico dieci, ma una ottina di miliardi se li sono mangiati, se li sono divisi....ed ora uscirà fuori sempre che le menti sono Paolo e Giorgio!... Uscirà fuori»: è la frase pronunciata da Labate che alla richiesta del suo interlocutore di essere più esplicito («Paolo e Giorgio?») ha risposto: «Paolo Romeo e Giorgio De Stefano».
I CINQUE PENTITI
Questo è senza dubbio il momento della conferenza stampa in cui Scopelliti è sembrato più entusiasta. Punto su punto ha tentato di smontare tutti i riferimenti che cinque collaboratori di giustizia hanno fatto nei suoi confronti.
«Paolo Iannò è stato arrestato nel 2000 – ha affermato il governatore –. Per undici anni non ha mai fatto il mio nome, qualche mese fa invece ha detto di aver sentito dire che mi veniva dato appoggio elettorale per la mia elezione a sindaco. Ma ho vinto le elezioni nel 2002, come faceva lui a sapere queste cose almeno due anni prima?».
Distorcendo la realtà, Scopelliti si difende da una dichiarazione mai pronunciata dal collaboratore Paolo Iannò. Ecco, infatti, cosa il pentito ha riferito il 21 settembre 2010 ai sostituti procuratori Giuseppe Lombardo e Beatrice Ronchi nel corso di un interrogatorio tenuto negli uffici della Direzione nazionale antimafia: «In relazione a Giuseppe Scopelliti, si diceva che era appoggiato dalla ’ndrangheta: ciò si diceva già da quando io ero latitante».
Dov'è il riferimento alle elezioni del 2002? Questo il governatore non lo dice dimenticando, inoltre, che negli anni Novanta, quando il braccio destro del boss Pasquale Condello era latitante, lui è stato consigliere comunale di Reggio eletto nel 1992, presidente del consiglio regionale nel 1995, rieletto nel 2000 quando il governatore Giuseppe Chiaravalloti lo nominò assessore al Lavoro e alla Formazione professionale. Tre campagne elettorali alle quali, per onor di cronaca, si aggunge una quarta nel 1994 quando si candida alle Europee nel collegio dell’Italia meridionale risultando il secondo dei non eletti con 34mila voti di preferenza.
È lo stesso periodo che ha preceduto il pentimento di Nino Fiume il quale si è consegnato in questura nel febbraio 2002. Anche qui è fondamentale il gioco delle date. Nella speranza che i reggini dimentichino i suoi incarichi politici prima dell’elezione a sindaco, Scopelliti tralascia di essere stato candidato al consiglio comunale e a Palazzo Campanella.
«Essendo amico di quello che oggi è il sindaco Scopelliti» è stata la frase pronunciata in aula durante il processo “Testamento” dal collaboratore di giustizia Nino Fiume che, il 29 luglio 2008, ai pm Domenico Galletta, Giuseppe Lombardo e Beatrice Ronchi aveva dichiarato: «Conosco Giuseppe Scopelliti in quanto ho appoggiato politicamente lo stesso».
Per quanto riguarda Nino Lo Giudice, Scopelliti ritiene infondate le sue accuse sostendendo che fu l'amministrazione da lui guidata a ordinare «l’abbattimento di una sua casa, per cui non penso avessero tutta questa voglia di sostenere la mia candidatura».
Il presidente della Regione, quindi, motiva il fatto che Lo Giudice abbia riferito di lui con il risentimento nutrito dal collaboratore nei suoi confronti. Quello che non spiega Scopelliti, invece, è se il «collaboratore del sindaco che sta chiedendo voti» alla cosca Lo Giudice (attraverso un fotografo di Tremulini), tale «Romeo» (di cui il pentito fornisce anche l'indirizzo di casa), sarebbe il nuovo coordinatore cittadino del Pdl, Daniele Romeo, il consigliere di Palazzo San Giorgio che all'epoca era uno dei più stretti collaboratori del primo cittadino.
Era il 7 luglio 2004 quando a Rebibbia l'ex killer dei De Stefano, Giovanbattista Fracapane, parlò di politica e delle amicizie di cui gli “arcoti” godevano nei palazzi buoni della città: «Mi ricordo che alle votazioni sapevo sempre che loro, al De Stefano gli interessava sempre che se ne andava Falcomatà... Perché lui (De Stefano, ndr) magari con la destra aveva una sua amicizia no, che sicuramente qualche lavoro lo prendeva, col pizzo l’ha preso... Sentivo sempre il nome di Caridi... il nome di Scopelliti...».
Questo il commento del governatore: «Non so chi sia questo signore, non era una delle persone di cui mi onoravo di frequentare. Fracapane dice: “Abbiamo sentito dire nei nostri ambienti che si votava Scopelliti e Caridi nei momenti elettorali”. Cazzo. In campagna elettorale si sentiva dire che si vota. Questo è un pentito che dice una cosa sensata?».
Ma le cose non stanno esattamente in questo modo. Nel verbale del 19 ottobre 2004 quando Fracapane indica l'attuale assessore regionale alle Attività produttive, Antonio Caridi, come l'intermediario scomodato dal boss Paolo Rosario De Stefano per trovare un medico al pentito nel periodo in cui era latitante: «E questo dottore dice che l’aveva trovato con Caridi, che sarebbe non so assessore a che cosa».
Il fondo il governatore della Calabria lo ha toccato nel tentativo di sferrare un indiretto attacco violento alla Procura generale accusandola quasi di avere estorto («dopo molte insistenze» dice) la deposizione del collaboratore Roberto Moio che, nei mesi scorsi, durante il processo “Testamento”, ha fatto il nome di Scopelliti e di molti altri politici di centrodestra («Abbiamo sempre votato sia al sindaco Scopelliti, tramite Peppe Agliano e Antonio Franco…»).
«Moio è stato sentito prima dal pm Lombardo che gli ha chiesto tante volte di politica. Mi pare di capire che il mio nome non sia mai emerso negli interrogatori. Se è vero quello che so, comincerei a preoccuparmi. Non io».
E qui il presidente della Regione continua implicitamente a puntare il dito contro la Procura generale. Dopo quell'udienza celebrata davanti alla Corte d'appello di Reggio, il procuratore Giuseppe Pignatone ha inviato una lettera al procuratore generale Salvatore Di Landro lamentando la gestione dell'interrogatorio di Roberto Moio. Una gestione che, secondo i vertici della Dda, avrebbe compromesso le indagini.
Se così fosse, non è azzardato sostenere che Scopelliti dice il falso. Delle due l'una: o c'erano indagini in corso avviate dalla Dda dopo le rivelazioni di Moio sui rapporti tra la 'ndrangheta e l'amministrazione di centrodestra, o il procuratore Pignatone avrebbe dovuto inviare una lettera di ringraziamento al procuratore generale Di Landro per le inedite dichiarazioni che il suo ufficio è riuscito a raccogliere a un anno dalla decisione dell'ex 'ndranghetista di saltare il fosso.
L'ultima cosa che non spiega Scopelliti è come faccia lui a conoscere il contenuto delle dichiarazioni di Moio prima ancora che tutti i verbali redatti dal collaboratore siano pubblici.
Fuga di notizie o un bluff mediatico studiato a tavolino?
«Cosa si sta nascondendo in questa città? Vogliamo nascondere altro?». Queste ultime domande le ha poste il governatore Scopelliti che, per la prima volta, ha parlato pubblicamente di quasi tutte quelle vicende giudiziarie che lo vedono, in un modo o nell’altro, coinvolto.
Il quasi è d’obbligo. Non è stato mai citato il referente della cosca De Stefano in Lombardia al quale Scopelliti si sarebbe rivolto per incontrare a Milano Lele Mora con cui ha organizzato la notte bianca a Reggio Calabria. Parola del boss Paolo Martino.
Lucio Musolino (Corrieredellacalabria)