Ora non esistono più alibili, nessuna scusa bisogna fare in fretta bisogna fare di tutto per far rimuovere le lastre di amianto che ricoprono le case del rione "Madonna della Neve" di Sellia
 |
Sellia rione "Madonna della Neve"con i tetti in eternit |
Chiuso il processo di primo grado per 2.191 persone uccise dalle fibre
killer. I due imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64
anni, e il barone belga Louis de Cartier, 90 anni, colpevoli di
disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche. 30mila euro
di risarcimento per ogni vittima

Jean Louis de Cartier e
Stephan Schmidheiny,
proprietari della Eternit, sono stati condannati a 16 anni di
reclusione per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure
antinfortunistiche. La condanna, pronunciata dal presidente
Casalbore,
si riferisce ai reati commessi a Cavagnolo e Casale Monferrato.
Prescritte invece le condotte relative agli stabilimenti di Rubiera
(Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Lunghissimo l’elenco del
risarcimento danni e delle provvisionali per le parti civili: tra questi
4 milioni al Comune di Cavagnolo e 25 milioni per il Comune di Casale,
100 mila euro a Cgil nazionale, Associazione familiari e vittime
dell’amianto e Legambiente onlus. Settantacinquemila a Wwf Italia.
Undici milioni a Inail. E poi risarcimenti per cifre dai 30 ai 35 mila
euro per gli eredi delle vittime.La sentenza riguarda la morte per amianto di 2.191 persone ed è stata
accolta in aula da lacrime liberatorie. Hanno pianto, stringendosi l’uno
a l’altro, i parenti delle vittime italiane, ma anche gli esponenti
delle delegazioni straniere.Era visibilmente commossa
Fernanda Giannasi, leader del
movimento brasiliano: “Dobbiamo mantenere vivo questo movimento, non
deve accadere quel che accaduto in Brasile, dove nel 2004 abbiamo vinto
in primo grado un processo contro Eternit per 2500 vittime, ma non siamo
stati sufficientemente organizzati e abbiamo perso in secondo grado”.
C’è soddisfazione in aula, le attese non sono state deluse. I tremila
morti italiani non sono morti di cause scientificamente non provate, né
per la loro imperizia. C’era chi sapeva e ha fatto finta di niente,
anteponendo il proprio profitto alla salute e alla sicurezza dei
lavoratori.
Bruno Pesce, presidente di Vertenza amianto, è
riconoscente per il “lavoro eccezionale della Procura. È una pena
giusta, severa. Credo che il tribunale abbia agito con molto rigore – ha
detto – in modo esemplare. Questo dovrebbe fare riflettere tutti i
datori di lavoro in merito alla tutela della salute e della sicurezza”.
Soddisfatti ovviamente anche i pm e lo staff che ha condotto il lungo
lavoro che ha reso possibile il maxiprocesso. Per tutti questa sentenza
non è che l’inizio di un lungo percorso. “Ho inziato ad occuparmi di
sicurezza sul lavoro dagli anni Settanta, ma da allora tanto è cambiato.
Basta guardare quest’aula – da dichiarato il pm
Raffaele Guariniello
– abbiamo un grande compito, dare una risposta a questa sete di
giustizia che arriva dalla popolazione. Dobbiamo entrare nelle stanze
dei consigli di amministrazione perché è lì che si decidono le politiche
aziendali e quanto si spende per la sicurezza”.
Romana Blasotti, presidente dell’associazione vittime
dell’amianto di Casale, è ancora più convinta che sia necessario andare
avanti: “Noi vogliamo lottare per la bonifica e per la ricerca. La lotta
non finisce qui”. Il mesotelioma pleurico, il tumore provocato dalle
fibre d’amianto, le ha portato via il marito, la figlia, una sorella,
una cugina e un nipote. E nonostante questo, Romana Blasotti ha trovato
la forza di diventare un simbolo della battaglia di Casale Monferrato.
Il pool di avvocati svizzeri, coinvolti nella difesa delle parti civili,
porta a casa un risultato che spera costituisca un precedente in tutto
il mondo.Unica nota dolente sembra quella dei risarcimenti, più simbolici che
sostanziali. Ma questo è un aspetto di cui ci si occuperà in sede
civile. Qualche preoccupazione deriva invece dalla concreta possibilità
di recupero delle somme stabilite, dato che gli imputati sono stranieri.
“Avevamo chiesto di più, hanno riconosciuto la provvisionale, un
acconto, comunque non costuisce un problema.
Non è speculativo lo
spirito di questo processo – spiega l’avvocato di parte civile
Rubino
–. Insieme agli imputati hanno condannato anche i loro responsabili
civili, che sono società con capacità patrimoniali e quindi in grado di
onorare i debiti. Questo potrebbe aiutarci visto che bisognerà fare le
esecuzioni all’estero e non sarà semplicissimo, per quanto esistano gli
strumenti giuridici necessari”.Di fronte ai giornalisti, l’avvocato
Sergio Bonetto
cerca però di riportare l’attenzione al vero merito di questo
dibattimento: “Spero che si eviti di farlo diventare il processo dei
miliardi, e che resti invece il processo del riconoscimento della
responsabilità”. Diventa sempre più verosimile l’ipotesi di un processo
Eternit-bis, su cui la Procura sta già lavorando e che potrebbe avere
come capo di imputazione l’omicidio colposo o doloso. Oggi a Torino si è
scritta una pagina di storia. Un passo in avanti è stato fatto per la
tutela dei lavoratori in Italia e nel resto del mondo, anche se molto
resta ancora da fare”.Come le associazioni delle vittime, anche gli avvocati hanno deciso di
creare una “multinazionale” della giustizia, che faccia da contraltare
al cinismo industriale. “Abbiamo creato un’associazione di avvocati, si
chiama Interforum Ong. Abbiamo deciso di rendere permanente il lavoro
iniziato con il processo Eternit per estenderlo a tutti gli altri
processi che riguardano crimini industriali – spiega l’avvocato Bonetto
–. Il prossimo 25 febbraio sarà con noi a Parigi per una conferenza
stampa, organizzata con i magistrati francesi, per parlare dei processi
Eternit e Thyssen. La collaborazione con gli avvocati straniera è
fondamentale e lo è stato anche per giungere a questa sentenza: senza i
documenti forniti dai colleghi sarebbero mancati pezzi interi
dell’inchiesta”.