giovedì 31 gennaio 2013

Anche a Roma comanda la Ndrangheta. Nella Capitale sequestrati beni per oltre 20 milioni di euro tra i quali anche attività commerciali in pieno centro

 Intestazione fittizia di beni aggravata dalla modalità mafiosa. Questa l'ipotesi di reato per la quale la Dda della Capitale ha dato seguito ad alcune ordinanze di custodia in carcere e al sequestro di beni per oltre 20 milioni di euro tra i quali anche attività commerciali di rilievo poste anche in centro città
Nuovo colpo alla cupola di camorra e 'ndrangheta che, secondo la Guardia di Finanza, controlla gli affari illeciti della criminalità organizzata a Roma. Almeno due arresti e sequestri di beni - immobili di prestigio, bar, ristoranti - per un valore di 20 milioni di euro sono stati effettuati dagli investigatori della Dia nella Capitale - in collaborazione con il Centro operativo Dia di Reggio Calabria - in esecuzione di ordinanze emesse dal gip del Tribunale di Roma Simonetta D'Alessandro nei confronti di alcuni esponenti della 'ndrangheta da tempo radicatisi nell'Urbe, ritenuti responsabili di «trasferimento fraudolento di valori», aggravato dal metodo mafioso. - Le ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite nell'ambito del blitz riguardano alcuni esponenti legati alla 'ndrina dei Gallico, originari della provincia di Reggio Calabria. Gli arrestati, grazie ad alcuni prestanome e società fittizie, erano riusciti a concludere - investendo ingenti capitali per conto della cosca di riferimento - una serie di importanti operazioni immobiliari e societarie soprattutto nel settore della ristorazione, impadronendosi di bar e ristoranti ubicati in zone di pregio della Capitale. Tra questi, il bar Antiche Mura in via Leone IV, il ristorante Platinum in via dei Banchi Nuovi. Il gip del Tribunale di Roma D'Alessandro ha accolto la richiesta di contestazione del reato (ex art. 12 quinquies legge 356/1992, aggravato dal metodo mafioso) che punisce l'intestazione fittizia di beni, per un valore di circa 20 milioni, ora sottoposti a sequestro preventivo.

A finire in carcere sono stati Francesco Frisina, 56 anni, di Palmi (Reggio Calabria) e Carmine Saccà, 44 anni, di Taurianova. Entrambi residenti a Roma, risultano legati alla cosca dei Gallico: Frisina ha precedenti per associazione mafiosa, estorsione, armi e rapina e in passato è stato anche sottoposto alla sorveglianza speciale; Saccà ha precedenti per estorsione. Un terzo membro del clan, pregiudicato per furto, porto abusivo di arma da fuoco e favoreggiamento in favore di un latitante, peraltro già irreperibile da tempo, risulta ancora da rintracciare.
Gli indagati sono dei «prestanome», familiari e non, che hanno acquisito negozi, appartamenti e terreni tra Roma e Reggio «Calabria «con l’aiuto fondamentale di un immobiliarista dell’hinterland romano (indagato in stato di libertà, mentre la sua società è stata sequestrata) – ha spiegato in una conferenza stampa il colonnello De Marco – che ha fatto da tramite nelle operazioni di compravendita, spese formalizzate in tempi rapidissimi».

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