È,
questo, un libro (a quattro mani) di insolita compattezza. Ne sono autori due
studiosi calabresi che hanno già dato prova del loro acume e della serietà dei
loro studi antropologici: non rimasticano (inutilmente) il già detto ma, come i
ricercatori di razza, danno interpretazioni originali (documentate e
convincenti) dei materiali esistenti, aggiungendo tasselli di verità nei campi
sterminati del sapere. Giustamente, José Luis Alonso Ponga, «antropologo
museale di fama internazionale», rileva, nella sua limpida Prefazione al libro, che il
«punto di vista» dei due ricercatori «si
completa».
D’altra
parte, secondo le più recenti acquisizioni dell’ermeneutica applicata ai testi
letterari (si pensi a Jauss), il lettore che dialoga con il testo («lettore attivo»)
e ne individua qualcuno dei sensi riposti va considerato addirittura coautore effettivo del testo stesso,
dacché contribuisce efficacemente alla semiosi, cioè al «processo di
significazione».
Ebbene,
Anna Rotundo è una lettrice attiva, attivissima, se è vero che, nel Capitolo I
del libro (Donne di Calabria e canti di
Passione), rilegge alcuni dei più famosi canti di donne, rievocanti la
passione di Cristo durante la Settimana Santa in Calabria, secondo un’inedita
ottica femminile, e ridà vita, di fatto, a testi che apparivano consunti, come
tutti quelli consegnati alla serialità delle feste popolari.
La
studiosa si muove chiaramente sulla scia della teologia femminile (e
femminista) che ha in Adriana Zarri una delle sue punte di eccellenza,
rivelando, in maniera molto diretta e senza forzature, la componente femminile,
appunto, di tali canti, che era stata obliterata sotto il velo opaco del
maschilismo cattolico (e non solo).
Epperò,
nella Sira di li treniri (Sera dei tremori), la Madonna si rivela
«profeta per una presa di coscienza collettiva di liberazione»; nel Rosario per le Quarant’ore, le donne
appaiono, sulla scorta di Edith Stein, «più capaci di empatia»; in E piangiti sorelli c’amurti Gesuna (Piangete sorelle ch’è morto Gesù),
traspare il tema della sorellanza, «caro ai movimenti delle donne»; in U Tummulieri, si evidenzia la capacità
femminile di «creare linguaggio» magari trasformando arbitrariamente
l’originale – oramai incomprensibile – teste latino (Tu in mulieribus). E così via … cantando.
L’auspicio,
sotteso alla ricognizione puntuale di Anna Rotundo, che si fa apprezzare anche
per la limpidezza della scrittura, è l’avvento, sul terreno religioso, «di un
linguaggio inclusivo che sappia accogliere in sé tanto la ricchezza del
maschile, quanto »quella del femminile».
Martino
Battaglia, nel Capitolo II del libro, Dalla
lauda al canto popolare nel sud Italia, comprova, da par suo, con
impeccabile contrappunto di citazioni scientifiche e di riferimenti testuali,
la tesi di una netta correlazione tra le laudi drammatiche medievali e i canti
popolari della Settimana Santa in Calabria e in altre regioni dell’Italia
attraverso il comune tramite della spettacolarizzazione barocca, convalidando
peraltro, sul terreno antropologico, una notazione esposta dal sottoscritto in
un articolo letterario su La Passione di
Cristo da Iacopone a Pasolini e Turoldo.
La
passione euristica di Battaglia si riversa sulla pagina, sottoponendo la
struttura del discorso a torsioni improvvise, a fulminei sbalzi, a clamorose
deviazioni perfino: non ci sono spazi vuoti che non vengano prontamente
saturati dall’incessante, febbrile impegno documentario dell’autore, anche a
scapito della ..........
linearità dell’espressione.
Ma
dal contributo di Martino Battaglia traspare anche l’apprezzamento profondo
della cultura popolare come espressione di sentimenti (religiosi, in questo
caso), autentici, complementari, per
dirla con Ponga, a quelli della cultura ufficiale: contro ogni tesi «sociologico-riduttivistica»
e sulla scia, per converso, di maestri – basti il nome di Luigi Lombardi
Satriani – che hanno fondato la moderna antropologia, liberandola da attardati
preconcetti ideologici.
Prof. Giuseppe Rando
Ordinario di Letteratura
Italiana
Critico letterario
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