I Carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro e Reparti speciali hanno eseguito, nella provincia ed in alcune località del nord, 12 fermi nell'ambito dell'operazione Reventinum contro presunti affiliati a due contrapposte cosche di 'ndrangheta, gli Scalise ed i Mezzatesta.
Il provvedimento è stato emesso dalla Dda catanzarese guidata da Nicola Gratteri. Alcuni Indagati sono accusati anche di violenza privata e sequestro di persona dell'avvocato Francesco Pagliuso, ucciso in un agguato il 9 agosto 2016 a Lamezia Terme. Il sequestro sarebbe avvenuto 2 anni prima. Per il delitto, nel 2018, è stato arrestato Marco Gallo, ritenuto dall'accusa un sicario a pagamento. Per gli inquirenti, Pagliuso sarebbe stato ucciso per una vendetta trasversale ed in particolare per la sua vicinanza a Domenico Mezzatesta, l'ex vigile urbano che insieme al figlio Giovanni uccise, nel 2013 in un bar di Decollatura, Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo, ritenuti vicini alla famiglia Scalise.
LA SCISSIONE DEL GRUPPO DELLA MONTAGNA
In particolare, la tesi è che l’attentato subito da Pino Scalise nel 2001 sia il momento dopo il quale il cosiddetto Gruppo Montagna inizierebbe a scindersi in quelle che diventeranno due distinte e contrapposte consorterie.A fronte di una prima fase, caratterizzata da una operatività sottoposta al controllo e alla supervisione delle più influenti cosche lametine, quelle dei “Giampà” e dei “Iannazzo-Cannizzaro-Daponte”, dal 2013, gli Scalise e Mezzatesta avrebbero iniziato ad operare con una maggiore autonomia.Gli indizi - considerati precisi e concordanti - raccolti nel corso di questa lunga indagine dimostrerebbero, sempre secondo gli inquirenti, come le due organizzazioni criminali - dopo le operazioni che hanno interessato, nel corso di questi ultimi anni, l’area territoriale lametina (in particolare le operazioni “Medusa”, “Perseo”, “Pegaso”, “Chimera”, “Andromeda”, “Dionisio” e “Crisalide”) avrebbero continuato a commettere dei gravissimi reati, alimentando quella che viene definita come una “crescente e violenta contrapposizione reciproca tesa a conseguire, da parte di ciascuno dei due gruppi, l’esclusivo controllo sul territorio di riferimento”.
IL CLAN DEGLI SCALISE
Quanto agli “Scalise”, le figure che emergono sono quelle di Pino e Luciano Scalise, ai quali si attribuisce un ruolo di vertice del clan, come titolari del potere decisionale sulla strategia, anche in riferimento alle azioni violente che rientravano nei programmi della cosca.A tutti gli altri indagati della cosca, invece, si contesta un ruolo di “partecipe”, ovvero di affiliati “con consapevolezza di scopo e di vincoli” e pienamente inseriti nelle dinamiche delittuose per consentire l’affermazione del clan sul territorio.
LA FAIDA INIZIATA NEL 2013 ED ANCORA IN ATTO
Venendo alla contrapposizione tra le due famiglie criminali, in questa gli inquirenti inquadrano gli omicidi che, a partire dal 2013, hanno coinvolto esponenti di entrambe le fazioni, in una vera e propria faida che è ancora oggi in atto.
Con riguardo alla cosca Mezzatesta, invece, il ruolo di rappresentanti del clan viene contestato a Giuliano Giovanni Roperti e Livio Mezzatesta: avrebbero avuto loro, in....... pratica, “l'autorità di organizzare i fini e gli scopi perseguiti”, sebbene sempre sotto l’egida di Domenico e Giovanni Mezzatesta, detenuti e considerati i “boss”.
Un ruolo non di poco conto viene affidato poi a Ionela Tutuianu, moglie del capo cosca Domenico Mezzatesta, che, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto il compito “fondamentale” di mantenere vivi e “operativi” i rapporti tra gli affiliati detenuti e quelli liberi, portando notizie e “imbasciate” sia dentro che all’esterno delle Case Circondariali.
Un altro affiliato è poi Eugenio Tomaino che nell’ambito del Gruppo storico della Montagna avrebbe ricoperto una posizione di vertice.
IL SEQUESTRO DELL’AVVOCATO PAGLIUSO
La capacità criminale e la “tracotanza” raggiunte dalla cosca Scalise nel territorio di riferimento, per gli inquirenti sarebbero testimoniate dalla vicenda riguardante proprio l’avvocato lametino Pagliuso, del foro di Lamezia Terme. Quest’ultimo, nella seconda metà del 2012, era il difensore di Daniele Scalise, figlio del capo cosca Pino, per un procedimento penale presso il Tribunale di Cosenza.
Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, documenterebbero come Pagliuso sarebbe stato accusato di un minor impegno professionale e di aver commesso degli errori nella linea difensiva di Daniele.
Per questo motivo sarebbe stato così sequestrato: incappucciato sarebbe stato portato con la forza da Lamezia Terme in un bosco della zona montana del Reventino, e costretto a stare legato ed impossibilitatoa muoversi liberamente, davanti ad una buca scavata nel terreno con un mezzo meccanico.
Il tutto al fine di piegarlo alla volontà della cosca, soprattutto in termini di determinazione e sul comportamento da tenere nel procedimento a carico del giovane Scalise.
Il sequestro di persona e la violenza privata perpetrati con l’aggravante mafiosa ai danni dell’avvocato vengono contestati oggi solo a Pino Scalise, dato che gli altri presunti corresponsabili nel frattempo sono stati ammazzati.
Lo stesso Pino, in un momento successivo, non avrebbe esitato a fare altre minacce raggiungendo Pagliuso direttamente nel suo studio nella città della Piana.
L’ATTIVITÀ ESTORSIVA DEGLI SCALISE
Gli inquirenti sostengono, infine, che gli Scalise operassero attivamente nel settore delle estorsioni, su tutto il territorio. Un elemento questo che emergerebbe dall’attentato incendiario che Luciano Scalise e Angelo Rotella avrebbero messo a segno contro un imprenditore di Decollatura nel settore del commercio del legname.
Nell’agosto del 2017, i due esponenti del clan, per favorire un’altra società concorrente nello stesso settore e far desistere l’imprenditore dalla sua attività economica, gli avrebbero incendiato una macchina agricola eil capannone provocandogli un danno superiore ai 150 mila euro.