venerdì 3 aprile 2020

Crisobolli e Diplomi di Ruggero "PER IL PATIRION E SANTA MARIA DEL BOSCO" di Marcello Barberio


Sappiamo che la Crisobolla del 1082 è un editto dell’imperatore Alessio I Comneno di riconoscimento dei diritti commerciali di Venezia in Oriente e che l’impressione in calce del suggello d’oro indica l’importanza attribuita al documento dalla cancelleria di Costantinopoli, diversamente dal molibdobullo di piombo della tradizione bizantina. Durante il medioevo, anche le corti occidentali fecero largo uso delle bolle dei sovrani e del papa per l’emanazione di Diplomi e di documenti ufficiali, come testimoniato dalle varie raccolte paleografiche di codici greci e latini (1).                                                                                                           In questa sede c’interessiamo del Barberiano latino 3205 dell’Archivio Segreto Vaticano, attinente alla Carta Rossanese del 1104 e a tre Diplomi (due del conte Ruggero e uno del vescovo di Squillace dell’anno della creazione del mondo 6600, cioè del 1092 d. C). Il codice 3205 è un sigillo di Ruggero II conte di Calabria e di Sicilia, concernente una munifica donazione di beni a favore di Bartolomeo da Simeri, archimandrita del monastero basiliano del Patirion di Rossano (fondato dal beato Nisone di Simeri e posto sotto il patronato di Adelasia del Vasto, moglie del conte), che Giuseppe Amato, nel 1884 (2) definiva “il semenzaio dei più illustri calabresi, per dottrina, per dignità ecclesiastiche e per santità”. L’igumeno Bartolomeo e i suoi successori vi istituirono un celebre scriptorium di miniatura, un centro di compilazione dei codici e una ricchissima biblioteca, accresciuta dalle generose donazioni del basileus Alessio I e dalla basilissa Irene Ducas, su sollecitazione dell’alto dignitario di corte, l’eunuco calabro-greco Basilio Calimeris o Mesimerio.  Nel secondo volume degli Atti dei Pontefici Romani (3), a pag. 797, è riportata la lettera di papa Pasquale II all’imperatore Alessio Comneno, con la quale si lodava l’opera di collaborazione a favore delle due Chiese (greca e latina), come ribadito dal nunzio imperiale Basilio Mesimerio (di Simeri, come Bartolomeo): “Et fedelissimi ac sapientissimi nuntii vestri, B. Mesimeri relatio nos plenius certificavit”. Intanto, nella badia rossanese, con la santità dei costumi, regnava anche l’abbondanza dei beni materiali, tanto da provocare la gelosia dei benedettini di Mileto di rito latino, i quali accusarono Bartolomeo si eresia, di peculato, di appropriazione indebita e fraudolente dei lasciti e delle donazioni, oltre che di nepotismo (nel Patirion dimoravano stabilmente i familiari del santo). L’archimandrita fu assolto dalla corte di Ruggero a Messina e posto alla guida del nuovo monastero del San Salvatore e degli oltre quaranta monasteri basiliani di Calabria.  Il prof. Sapia ha focalizzato la sua attenzione principalmente sull’importanza linguistica del documento in esame (pubblicato nel 1662 da Ferdinando Ughelli”, nel IX tomo della sua Italia Sacra), “di un latino corrottissimo, che accoglie alcuni termini volgari e con un lungo brano quasi totalmente volgare, che ha fatto ritenere alla maggior parte degli studiosi di trovarsi dinanzi ad uno dei primi e più importanti documenti della lingua italiana”.  Analogo giudizio era stato espresso da Ludovico A. Muratori, da Ernesto Monaci, da Pratesi, Lazzari, Ugolini, Monteverdi e, con riserve, da diversi studiosi stranieri (4).  Per l’approfondimento dei “primordi e delle vicende del dialetto calabrese” non possiamo prescindere dall’Appendice al Vocabolario di Luigi Accattatis del 1895 e dalle comparazioni con alcuni “penitenziali” medievali, ripresi in “Una formula di confessione in volgare antico” (Civiltà Cattolica, 1936), del Codice Vallicelliano B.63, che P. Pirri ha messo in relazione col penitenziale del Codice Cassinese 451 del X secolo, nel quale si raccomandano “parole rustiche nella confessione  dei peccati”.
San Bartolomeo da Simeri (5)
Nel 1960, Evelyn Mary Jamison rinveniva nella Biblioteca Vaticana la copia della Carta Rossanese utilizzata da Ferdinando Ughelli, che, a sua volta, era un’altra copia del 1627 del notaio napoletano Silverio Ramundo, il quale aveva trascritto l’atto di donazione del 1317 del conte di Corigliano. Giovanni Sapia, Antonio Piromalli e altri studiosi hanno sottoposto a un approfondito esame stilistico e filologico la parte volgare della “Carta”, pervenendo alla conclusione che si tratta della descrizione di alcuni beni del Patirion in territorio di San Giorgio Albanese, in un raro esempio di traslitterazione in calabrese del testo greco del 1130. Una testimonianza del modo di parlare al popolo da parte dei ceti colti e della burocrazia, un codice di passaggio (traduzione dal colto al volgare) per rendere accessibile al popolo la lingua “altra”, in aderenza con le stesse indicazioni del Concilio di Tours dell’813: “Si cerchi di tradurre in modo comprensibile le omelie in lingua romana rustica, affinché più facilmente tutti possano intendere quel che sia detto”. Nel documento esistono “calchi dal greco, prestiti dal latino e mescolanze con l’italiano letterario”. Così afferma Antonio Piromalli, fornendoci una parziale traduzione fonetica del parlato volgare: “kum kuesto ordinamu alli monaci iterum sekundarie a tutti li vellani de Koriano et in altro loco, li recettati allo vostro loko coè de Fraumund, et li òmeni kuale recettati kuali sono vostri at kualùnkata loko avèssero loro stabbili, àbbiano kuesti stabeli semper sine impedimento … konfirmato kum lo presente sòlito sigillo; sigillato kum lo àureo nostro sigillo dato alla sopraddetta fraternitate”. E’ un esempio concreto delle finalità giuridico-notarili, cioè delle   ragioni pratiche e funzionali dell’uso del volgare, secondo i due distinti filoni che si andavano sviluppando: i placiti (testimonianze rese dai popolani in tribunale) e le laude religiose.  Tra i primi è famoso quello campano del 960: “Sao ke kelle terre, per kelli fini que ki contene, trenta anni le possette Sancti Benedicti”. La lauda più ricordata è il Planctus Virginis di Jacopone da Todi: “Te portai nillu meo ventre. Quando te beio, ploro presente. Nillu teu regnu àgime a mente”. Ovviamente il documento ha una sua particolare importanza dal punto di vista linguistico, ma non aggiunge molto alla storia del ricchissimo cenobio patiriense, al quale, nel 1105 papa Pasquale II concedeva il privilegio di abbatia nullius, di “nessuna diocesi”, perché sottratta alla giurisdizione del vescovo e posta sotto l’esclusiva dipendenza dalla Sede Romana. Il privilegio di esenzione era stato richiesto da Ruggero II a favore dell’abate  Bartolomeo e papa Pasquale II era stato ben lieto di concederlo al monastero della Neo Odigitria e alle sue chiese figliali, svincolandoli dalla giurisdizione del vescovo di Rossano, non solo come atto di gratitudine verso la corte normanna, ma soprattutto per  agevolare la ripresa di più amichevoli relazioni con la Chiesa d’Oriente, dopo lo scisma di Santa Sofia del 1054, mediante l’opera dei monaci calabro-greci. E tanto in conformità con l’alleanza politica sancita tra il Papato e la Corte Normanna nei due sinodi di Melfi del 1059 e del 1089, nei quali papa Nicolò II e poi Urbano VII avevano conferito il possesso feudale a Roberto il Guiscardo (e al suo successore Ruggero I), accordando il titolo di duca di Calabria, Puglia e Sicilia. L’obbiettivo dichiarato del papa era quello della sottomissione a Roma, attraverso una progressiva assimilazione del potente e assai influente clero greco, di cui Bartolomeo era sicuramente il più autorevole rappresentante, dopo la morte di san Nilo, fondatore della badia di Grottaferrata. I Normanni, da parte loro, potevano così esercitare la prerogativa dell’ingerenza (non ancora dell’investitura) nella elezione dei vescovi, di entrambi i riti. Della bolla papale si ha testimonianza storica  nel codice greco vaticano 2050, un rotolo  in pergamena di 117 fogli, scritto perpendicolarmente “a colonne”,  proveniente dal Patirion, con il colofone di chiusura del copista che recita: “Il presente libro degli asceti di San Basilio fu terminato l’otto agosto, martedì alle ore 15, dell’anno 6213, nel quale il SS Papa Pasquale concesse al nostro Padre Bartolomeo un privilegio di esenzione a favore del suo Santo Monastero” dedicato alla Madonna Odighitria o Deipara di Costantinopoli.

                               Bulla di Papa Pasquale II
Nel 1813, Giuseppe Genovesi illustrava “Un greco Diploma che si conserva nell’Archivio Generale del Regno, proveniente dal monastero di S. Stefano del Bosco, assieme ad altri tre molibdobolli, di cui due portano il sigillo di Ruggero II conte di Calabria e Sicilia e uno del vescovo di Squillace Teodoro Symerio (stimato abbreviativo di Mesymerio), la cui formula ordinaria  inizia col nome di colui che l’ha fatto: “Anno 6600 die 7 mensis Decembris, indictione 15, Theodorus Divina Miseratione Episcopus Castri Squillacensis, Styli, et Tabernarum, et Syncellus Mesimerius”.              Tale sigillo, a pagina 32, contiene l’annotazione dell’illustrazione dell’antico Diploma, a proposito del quale il Mobillon ricorda che anticamente i vescovi solevano imprimere nei sigilli il proprio nome, quella della propria città e quello del patrono della Chiesa. Nel sigillo sono presenti tutti e tre i nomi: quello di Maria SS Protettrice e quello di Teodoro Symerio, cioè di Simeri.  E’ scritto in greco nella parte alta e iniziale della pergamena e tradotto in basso in latino; porta la data della sua emissione, corrispondente all’anno 1092. Il Diploma costituisce l’atto di fondazione della Chiesa di San Bruno, eretta sul modello della Grande Chartreuse di Grenoble e consacrata nel 1094 alla presenza di Ruggero. Nel 1096 moriva il quinto vescovo squillacese di nazionalità greca, Teodoro Mesimerio, che “le antiche memorie il lodano come uomo di santi costumi, amico e generoso benefattore di San Brunone di Colonia, a favore della cui Certosa non dubitò di cedere, in forma molto cortese, parte della sua giurisdizione, secondo ché vedemmo nel documento di un suo decreto” (6). Gli succedette il latino canonico di Mileto Giovanni De Niceforo, per espressa volontà di Ruggero, di San Bruno e di papa Urbano II. La diocesi rilatinizzata nelle strutture ecclesiastiche e oramai “avulsa dal Trono di Costantinopoli”, comprendeva diverse abbazie e possedimenti nei territori di Squillace, Catanzaro, Stylo e Antistylo, Satriano, Taverna, Simmari (7), Salìa, Barbaro, Badolato, S. Caterina, Santa Maria della Rokella apud Palaeopolim, S. Senatore, S. Gregorio, Rocca de Cathantiaco, Castel di Mainardo e di Cuccolo. E Palepoli era uno dei tre corpi di città dell’antica Trischene col suo controverso vescovato, la cui sede, nel 1122 papa Callisto II trasferì nella cattedrale di Catanzaro (e non a Taverna) con uno scorporo dalla diocesi di Squillace.                                                                                                                                                           Nel 1130 Ruggero II veniva incoronato re di Sicilia, Calabria e Puglia, da papa Anacleto; nel ’94 l’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico VI di Hohenstaufen, conquistava il Regno di Sicilia e inaugurava la dinastia sveva, che avrà il suo culmine politico in Federico II, universalmente noto come Stupor Mundi.       
                                                                                           laghetto di Serra San Bruno                                                                                                                                                        
Sulla Certosa si rinnovano ancora oggi storie e leggende, più o meno fantasiose e suggestive, come quella dell’aviatore americano che nel 1945 avrebbe sganciato la.........

Caos nella casa di cura di Chiaravalle 8 deceduti da coronavirus. Indaga la procura di Catanzaro, il proprietario della struttura querela la Santelli




Articoli tratti dal Quotidiano del Sud in edicola oggi 03.04.2020

giovedì 2 aprile 2020

Coronavirus,Una strage di anziani sulla quale, adesso, la Procura di Catanzaro vuole vederci chiaro, aperto un fascicolo su strage in casa per anziani che accusa la Regione.

Una strage di anziani sulla quale, adesso, la Procura di Catanzaro vuole vederci chiaro. L’ufficio del procuratore Nicola Gratteri, infatti, ha avviato accertamenti sulla casa di cura Domus Aurea di Chiaravalle Centrale che, in 24 ore, ha registrato 7 anziani morti per coronavirus. Altri 70 soggetti, tra ospiti della struttura e personale sanitario, sono risultati positivi al Covid-19.

La magistratura intende verificare se sono state rispettate tutte le procedure dal 22 marzo scorso, nel momento in cui si è accertato il primo tampone positivo al Covid-19, e cosa è stato fatto per salvaguardare gli anziani che vivevano nella casa di cura. Solo mercoledì 1 aprile, infatti, dopo cinque giorni dal sopralluogo effettuato il
27 marzo nella struttura sanitaria di Chiaravalle, il dirigente generale del dipartimento Sanità della Regione Calabria, Antonio Belcastro, ha disposto il trasferimento dei pazienti all’ospedale Mater Domini di Catanzaro.
Nella relazione, allegata al provvedimento, è ricostruito tutto l’iter dal quale era percepibile come la struttura per anziani Domus Aurea, gestita dalla Salus MC Srl, era diventata un focolaio di coronavirus. Il Covid sembrerebbe essere arrivato da Bologna. Il 25 febbraio, infatti, a Serra San Bruno, una cittadina vicino Chiaravalle, “si celebrava – è scritto nella relazione del dg Belcastro – un funerale al quale partecipava la cittadinanza ed in particolare parenti del defunto provenienti da
Bologna. Successivamente, sempre nella stessa sede, ad una festa organizzata in occasione dell’8 marzo, avrebbero partecipato cittadini del serrese provenienti da Bologna e, in particolare, un’operatrice socio sanitaria dipendente dell’Rsa che ha poi regolarmente assicurato i turni nella struttura”.
Sarebbe stata questa dipendente il paziente zero da cui è partito il contagio. La stessa, infatti, ha continuato a lavorare dall’8 al 22 marzo quando – è scritto nella relazione della Regione Calabria – l’operatrice socio-sanitaria comunicava alla struttura l’impossibilità di assicurare il proprio servizio in quanto risultata positiva a tampone di screening per Covid-19, cui era stata sottoposta in quanto contatto stretto dei cittadini di Serra San Bruno provenienti da Bologna”.
Il giorno dopo, il 23 marzo, il focolaio era già partito: un’anziana, con sintomi febbrili, il 24 marzo viene trasferita all’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro per “insufficienza respiratoria” e il 25 marzo è risultata, anche lei, positiva al coronavirus. Disposti immediatamente i controlli a tappeto di tutti gli ospiti e il personale della struttura, lo screening “ha consentito di rilevare 48 pazienti (il 74% del totalendr) e 13 operatori sanitari contagiati”.
Il 27 marzo, 8 anziani, “bisognevoli di ricovero ospedaliero”, sono stati trasferiti al nosocomio di Catanzaro, mentre gli altri 40, “asintomatici o pauci sintomatici”, sono rimasti lì, sistemati “in un piano della struttura, – si legge sempre nella relazione della Regione – isolandoli dagli ospiti attualmente negativi, ai quali verrà ripetuto il tampone o per insorgenza di sintomi o comunque dopo 14 giorni di isolamento, permanendo asintomatici”. Per quanto riguarda, invece, gli operatori sanitari, i positivi sono stati sottoposti a quarantena con sorveglianza attiva in una struttura appositamente individuata, mentre quelli “risultati negativi – erano le disposizioni della Regione – continueranno a prestare assistenza ai pazienti con dpi, osservando poi misure di isolamento al proprio domicilio”.
La casa di cura, quindi, non ha mai chiuso e gli operatori sono rimasti sempre in contatto sia con gli anziani che ancora non avevano ancora contratto il virus sia con i pazienti positivi, di fatto lasciati nella struttura diventata un focolaio. Il risultato non si è fatto attendere: domenica sera, cioè tre giorni fa, dei 16 anziani negativi al primo tampone, addirittura 11 sono risultati positivi.
Quella notte, poi, sono morti due degli anziani positivi che erano stati trasferiti al Mater domini di Catanzaro. I loro decessi si aggiungono così ai primi cinque, collegati alla casa di cura, dall’inizio del contagio. Lunedì, in seguito a un sopralluogo effettuato dal comandante dei Nas e dal responsabile del pronto soccorso di Soverato, questi ultimi “descrivevano una situazione poco rassicurante per i pazienti”. Lo stesso giorno “veniva richiesto il loro trasferimento presso l’ospedale di Lamezia
Terme” che, però, in tarda serata “comunicava l’impossibilità di accettare i pazienti attualmente ricoverati presso la struttura di Chiaravalle centrale per mancanza di dpi”. Quanto scrive la Regione dimostra, per l’ennesima volta, la fragilità del sistema sanitario calabrese nel gestire l’emergenza. Il 30 marzo i titolari della casa di cura per anziani e l’incaricato dell’Asp avevano scritto alla Regione manifestando la necessità di ospedalizzare “tutti i pazienti al momento presenti nella struttura”. Due giorni prima, quando ormai era acclarato il “focolaio covid che aveva colpito quasi tutti tra pazienti e dipendenti”, la struttura ha scritto “alle autorità sanitarie e amministrative competenti, anche al fine di chiedere supporto e assistenza mediante l’invio di personale sanitario per assistere tutti i degenti affetti da coronavirus”.
Era la mattina del 28 marzo si legge in una lettera che, attraverso l’avvocato Antonello Talerico, la “Salus MC Srl” ha inviato alla presidente Santelli. Una segnalazione indirizzata anche al procuratore Nicola Gratteri per denunciare cosa è successo in questi giorni. “A distanza di circa 7 giorni dalla positività al Covid dei pazienti, – si legge nella denuncia presentata poche ore prima del provvedimento
della Regione – nessuna autorità sanitaria ha inteso intervenire per procedere agli accertamenti sanitari sugli anziani affetti da Covid, né somministrare alcun farmaco, né le autorità competenti hanno inteso trasferire in strutture idonee i malati covid”. A gettare ombre su tutta la...........
vicenda ci pensa il direttore generale del dipartimento Sanità della Regione, Antonio Belcastro che, sempre nel provvedimento emesso mercoledì pomeriggio, oltre a disporre il trasferimento degli anziani all’ospedale Mater Domini chiede all’Asp di Catanzaro di “procedere alla sospensione del contratto in essere con la società Salus MC Srl ed a diffidare la stessa dall’effettuare nuovi ricoveri, anche in regime privatistico, nelle more delle verifiche sulla sussistenza dei requisiti di autorizzazione ed accreditamento”.
Requisiti che, finora, evidentemente non ha controllato nessuno se adesso si rende necessaria una verifica. Lo scontro tra la Regione e la casa di cura convenzionata è sullo sfondo della tragedia che stanno vivendo gli anziani. Proprio per questo il Codacons chiede la rimozione del dirigente Belcastro “per manifesta incapacità”. Lo fa il vicepresidente nazionale Francesco Di Lieto secondo cui, “l’esempio della Domus Aurea, con una gestione fantozziana condita da un palese disprezzo per la salute di ospiti e personale, è la cartina di tornasole dell’approssimazione che impera in Calabria. Anche per questo si impone la rimozione del direttore generale del Dipartimento Tutela della Salute per manifesta incapacità”.
In serata la presidente della Regione Jole Santelli è intervenuta sul caso in diretta Facebook. “Non ci ho dormito per molte notti per il dispiacere e per la situazione che si verificava. – ha detto – I pazienti della Rsa sono stati assistiti dalle unità del 118 e dagli operatori che erano risultati negativi ai test. Secondo le linee guida noi avremmo dovuto blindare la Rsa e tenere tutti là fermi. Avevamo un problema: le condizioni della Rsa (fin dalla prima visita dei Nas che io personalmente ho chiamato) non ci consentivano di stare sicuri sulle condizioni igieniche e sanitarie”.
“Purtroppo – aggiunge – non abbiamo potuto eseguire il protocollo del ministero della Salute che ci avrebbe obbligato a tenere lì fermi gli anziani positivi: non ce lo consentivano le condizioni della struttura. Dopo vari tentativi che l’Asp ha espletato in vari ospedali e in altre strutture, oggi la Regione ha rotto gli indugi e ha dovuto decidere per conto di altri. Quindi abbiamo disposto il trasferimento a Germaneto. Contemporaneamente abbiamo disposto la sospensione e l’avvio della revoca per l’autorizzazione alla Rsa e il divieto di nuovi soggiorni”. La governatrice della Calabria contesta la versione del titolare della casa di cura, Domenico De Santis: “Ho sentito il proprietario dire in televisione che voleva il trasferimento. Peccato che quando sono arrivate le ambulanze c’è stato un problema perché le avevano bloccate e non volevano fare i trasferimenti dei pazienti. Sono dovuti intervenire i carabinieri. Ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità, ma sinceramente credo di aver fatto quanto fosse umanamente possibile”.

mercoledì 1 aprile 2020

Il punto a Sellia contro il Covid-19




Dott. Davide Zicchinella sindaco di Sellia
Sono settimane che combattiamo per proteggere i cittadini di Sellia con due dipendenti in servizio e tanto volontariato da parte dei miei giovani collaboratori. E mentre Noi lavoriamo tra mille problemi c'è chi trova il tempo per fare "ammuina". BASTA! Se qualcuno vuole fare donazione di alimenti e mascherine alla cittadinanza ben venga. Dico grazie, ma nelle regole! Ieri abbiamo avuto la disponibilità di in professionista a donarci 200 mascherine . Oggi l'Associazione Banco delle Opere di Carità ci ha informato che ci regaleranno 40 pacchi di alimenti per le famiglie. Ma nessuno si sogna di fare una distribuzione direttamente. Non è consentito dalla legge non dal Sindaco. A Sellia è attivo il COC (Centro Operativo Comunale) l'unico (per legge) che può fare in emergenza queste attività. Abbiamo una convenzione apposita con il Gruppo di Volontari di Protezione civile di Catanzaro per fare queste attività . E mentre noi lavoriamo per fare l'ordinanza per distribuire i buoni alimentati dobbiamo combattere con la minoranza che pretende di fare cose non consentite, contro la legge! E invece di trovare collaborazione in un momento drammatico dobbiamo perdere tempo e farlo perdere ai carabinieri per spiegare cose ovvie. Per altro a chi è stato pure sindaco! Assurdo. Vergogna! Qui non ci sono dittatori e despoti, non è tempo di insulti e capricci. Fate tutte le donazioni che volete ma non arriviamo all'assurdo di creare ostacoli in un momento delicato come questo . Ringrazio per la pazienza e la collaborazione il maresciallo Comandante la Stazione dei carabinieri della Stazione di Simeri Crichi il maresciallo che mi ha appena.............

martedì 31 marzo 2020

La meravigliosa storia del Miracoloso SS. Crocefisso in Urbe

Il Centro Studi Theotokos e il miracoloso SS. Crocifisso in Urbe

 

In occasione della preghiera di Papa Francesco dello scorso 27 marzo per la pandemia che in questo momento affligge l’umanità, il Centro Studi Teothokos Religiosità Popolare, che ha sede a Catanzaro,  sottolinea l’importanza dell’evento straordinario che pone al centro dell’attenzione il miracoloso simulacro del SS. Crocifisso in Urbe, noto a Roma come il Crocifisso dei Miracoli. Si tratta di una meravigliosa scultura lignea del XV secolo (attribuita ad uno scultore senese) per la cui intercessione fu sconfitta la “Grande Peste” del 1500 che mise in ginocchio la Capitale. Il magnifico simulacro e l’Arciconfraternita del Crocefisso in Urbe, sottolineano Anna Rotundo e Martino Battaglia, fondatori del Centro Studi Theotokos, sono un patrimonio mondiale dell’umanità che va salvaguardato e custodito con particolare cura e attenzione da parte di chierici e laici, e dalle confraternite, come quella di San Marcello, che operano nella Chiesa prestando volontariamente e gratuitamente il loro servizio benefico verso la Chiesa e  verso il prossimo. Diverse confraternite calabresi sono state erette nel tempo in onore del Santissimo Crocefisso. Questo è uno dei motivi principali per il quale il Centro Theotokos è particolarmente interessato a questo evento durante il quale il Crocefisso dell’Urbe squarciava le tenebre di una serata piovosa in cui il pontefice pregava per l’umanità intera. Il Cristo Crocifisso è il libro della vita in cui prima o poi ci si deve specchiare. La croce è metafora della vita, sinonimo della tribolazione con cui ogni uomo dovrà fare i conti. A tal proposito, il domenicano Cavalca Domenico di Pisa scrive:

«Perho che Cristo crucifixo  ne mostra et insegna ogni perfectione et ogni scientia utile, possiamo veramente dire ch’egli è libro di vita nel quale ogni seculare idiota e d’ogni altra conditione può leggere e vedere la legge tutta abbraviata».

Il  Centro Theotokos indirizza particolarmente la sua attenzione verso la chiesa di San Marcello al Corso, una delle prime chiese cristiane a Roma (418). L’antica chiesa aveva un impianto opposto a quello attuale con l’ingresso a oriente, verso il Quirinale. Dal 1368 la chiesa è custodita dall’Ordine dei Servi di Maria. Distrutta da un incendio nella notte del 22 maggio 1519 fu ricostruita, per volere di papa Leone X. Le fiamme risparmiarono  miracolosamente il crocefisso ligneo invocato oggi più che mai dai fedeli di tutto il mondo. Al Crocefisso di San Marcello fu attribuito il prodigio di aver fermato il flagello della peste nel 1522. Perciò fu prelevato dal cortile del convento dei Servi di Maria e portato in processione per le vie di Roma verso la Basilica di San Pietro dal 4 al 20 agosto del 1522. Quando il Crocefisso rientrò a San Marcello la peste era cessata definitivamente. A causa di  questo prodigio venne eretta l’Arciconfraternita del Crocefisso in Urbe su cui sta concentrando  i suoi studi innovativi José Luis Alonso Ponga, antropologo museale di fama mondiale e grande sostenitore e ispiratore del Centro Studi Theotokos. Tale confraternita, approvata nel 1526 da papa Clemente VII, istituzionalmente si dedicava all’assistenza e alla carità ai poveri e ai pellegrini e si riuniva proprio nella cappella dedicata al Crocefisso miracoloso nella chiesa di San Marcello. Lo spazio si rivelò ben presto troppo ristretto: perciò fu decisa, per volere del cardinale Alessandro Farnese, la costruzione di un Oratorio del Crocefisso terminato nel 1568. L’Arciconfraternita tra l’altro, aveva il compito di organizzare le processioni del Giovedì Santo durante le quali il Crocefisso ligneo veniva portato in San Pietro. La processione non aveva solo il compito di ricordare il prodigio, ma aveva anche un valore bene augurale allontanando ogni male dalla città.

Ricordiamo che il “ Centro Theotokos Studi Religiosità Popolare”, fondato da Martino Michele Battaglia (docente di antropologia culturale presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Reggio Calabria) e Anna Rotundo (docente e saggista), è un progetto laico, culturale, internazionale e itinerante, un percorso che si gloria di studiare la profondità e la bellezza della religiosità popolare, con l’apporto di tutte le scienze umane, attraverso la

Piccoli doni grandi significati nel tempo del coronavirus a Cropani e a Sersale il cuore batte forte.





Articolo tratto dalla Gazzetta del Sud in edicola oggi 31.03.2020