Di Walter Fratto.
Sono stato la prima volta a Ferruzzano negli anni 80 del secolo scorso e ci sono tornato ieri. Ricordo che la prima volta mangiai carne di pecora come non l'avrei più mangiato in vita mia. Era rimasta a macerare per una settimana in una buca con delle erbe. Ne cucinarono metà arrosto e metà in brodo. Finì con una pastina al brodo di pecora a notte quasi finita, quasi a lavare le nostre budella dal vino e dai grassi. Ricordo l'allegria totale con persone che non avrei mai più incontrato in vita mia. Ho ricordi come in un sogno, con le donne tutte da una parte e gli uomini tutti dall'altra, una fila di sedie, i più anziani ad industriarsi intorno ai pentoloni e i più giovani ad apparecchiare la lunga tavola scherzando e ridendo di complicità. Il paese era già in avanzato stato di abbandono. Eravamo a Viale Regina Margherita. Ricordo che le strade erano intitolate ai personaggi studiati nella scuola dell'obbligo: Garibaldi, Leopardi … Qualche foto l'ho rifatta identica a distanza di quasi 40 anni. Le vecchie sono poche e in bianco e nero, le odierne sono decine e digitali, ma il senso non cambia: abbandono e sconforto. Solo che allora non avevo addosso tutte le vicissitudini di una vita e non afferravo il perché dello sconforto. Oggi come allora osservo la stratificazione delle case e cerco di materializzare il primo che decise di venire ad abitare qui oltre mille anni fa per mettersi in salvo dai pirati: qui mi difenderò, qui cresceranno i miei figli, qui, da questa terra, tirerò fuori di che campare. Secoli per modellare la montagna dalla quale domino un ampio tratto di costa, secoli per strappare alla terra le pietre per le mie case e i frutti per i miei figli. Vita difficile, ma al tempo vita comune, ovunque, quando la vita di un uomo e quella di un animale erano vicine alla terra. Oggi nel mio vagare tra vecchie case, povere e ricche, ancora in piedi o quasi ruderi, cerco di scoprire chi ci abitava, che lavoro faceva, fino a quando ci ha vissuto tra quelle mura. Non era un vero abbandono, era un chiudere dentro le poche cose della vita perché un giorno ci tornerò. Tornerà il fabbro, il falegname, la sarta, la tessitrice, il panettiere, il vignaiuolo, il contadino, il pastore. E torneranno anche i benestanti e i poverissimi, i primi che se ne sono andati insieme, insieme a cercare meglio vita. E sono quelli che torneranno meno perché meno hanno da rimpiangere. Tutti gli altri hanno chiuso le loro case come per un'assenza di pochi minuti, come per andare a fare le spesa ché non c'è nulla da mangiare e al ritorno voglio trovare tutto in ordine e pulito. Molti sono morti così, in solitudine, con i figli lontani. Molti sono partiti e non sono tornati più. Molti di quelli che sono tornati hanno trovato la casa sfondata le loro cose violentate, i cassetti aperti, la trave del tetto lesionata, la muratura che cede. Sconforto e sconfitta. Oggi è tutto in rovina. Pochi resistono caparbiamente a difendersi le case, le cose, i ricordi, il posto e, forse, l'infanzia e i rimpianti. Qualche robusta catena, qualche porta di ferro è l'ultimo bastione contro la violenza dello sconosciuto che si porta via una pentola in rame, una vecchia chiave, un vecchio attrezzo. Il paese resta lì muto a continuare a scrutare non più il temuto arrivo dei pirati, ma lo sperato ritorno dei suoi vecchi bambini ora cresciuti chissà dove nel mondo … Sconforto e tristezza perché la storia, questa storia, non è finita. Sconforto e tristezza perché è una storia che si ripete, che si sta ripetendo, che continua ovunque in Calabria … Mi riprometto di andare a Ionadi, un paese del vibonese. Un’amica che ci lavora mi dice che negli ultimi 10 anni il paese è passato da 3000 abitanti a massimo 600 residenti ufficiali. Non so se è vero, ma voglio andare a vedere … Sconforto e tristezza. Non posso non pensare ai paesi a me cari della Presila e Catanzaro stessa che si svuotano anche loro con una emorragia di gioventù che va a cercare il futuro altrove lasciando noi vecchi (statisticamente, mi devo arrendere, sono vecchio pure io) a rimpiangere tutte le emozioni perdute dei figli e dei nipoti che crescono lontani. Figli e nipoti che torneranno per poco, torneranno finché noi vecchi saremo qui a presidiare i paesi, le case e le cose, gli affetti e i ricordi, tenendosi dentro le emozioni di quando li vediamo allontanarsi verso un terminal con la carrozzina o con il cagnolino, tenendosi dentro le emozioni di quando vediamo il nipote, a mille chilometri di distanza, che ci sorride su uno schermo, accarezza il vetro con la mano e si sporge per vedere se siamo dietro lo smartphone...
A seguire tante emblematiche foto di Walter Fratto.