Convegno su “CECILIA
FARAGO’: UNA STORIA DI LIBERTA’
Presso il centro d’informazioni turistiche, organizzato
dall’assessore comunale alla cultura Francesca Tobruk, si è tenuto un partecipatissimo convegno
sulla complessa figura di Cecilia Faragò, l’ultima fattucchiera calabrese
processata per stregoneria nel 1770, prima alla Regia Udienza di Catanzaro e
successivamente alla Gran Corte della Vicaria di Napoli. Difesa dal giovane
avvocato catanzarese Giuseppe Raffaelli, la “magara”(nativa di Zagazise, ma
trasferitasi a Soveria Simeri dopo il matrimonio) fu assolta e risarcita per la
calunnia e l’ingiusta detenzione.
Il dibattito, moderatore dall’antropologo Marco Minervino, è
stato introdotto da Francesca Zungrone e ha registrato gli interventi dei
sindaci di Zagarise (Domenico Gallelli)
e di Soveria (Aldo Olivo). L’avvocato Natalia Raffaelli, discendente
dell’illustre giureconsulto, ha lumeggiato i cardini della difesa che spinsero
Ferdinando IV a cancellare dall’ordinamento penale del regno il reato di
stregoneria, dimostrando che il canonico Ferrajolo era morto di “tisichezza” e
non già per forza di maleficio, per essere stato “guardato con occhio maligno,
mentre cantava all’organo”.
Marcello Barberio ha ricordato - con le opere di Mario Casaburi e di Serena
Marcantonio - un suo lavoro del 2009,
dal titolo “Persistenza della magia rurale in un’area del Catanzarese”, nel
quale viene riportata la vicenda di Cecilia, alla cui memoria a Soveria Simeri
è stata intitolata una villetta.
Barberio ha proposto il quesito (da approfondire in un
secondo incontro): Cecilia fu un’eroina, una ribelle alle convenzioni sociali,
una diversa demonizzata dal clero locale corrotto e ignorante o non piuttosto
un’ ordinaria massara calabrese, strutturalmente inserita nell’economia del latifondo feudale,
in una condizione di subalternità (di classe e di genere ). Il suo status di
contadina benestante era comunque “compatibile” con quella formazione economica.
Se non fosse stata prevaricata e imprigionata, la Faragò sarebbe rimasta una donna
“regolare” in una società chiusa , una sapiente “guaritrice herbaia” integrata
nella comunità locale, senza alcuna velleità di conflitto col mondo storicamente
determinato, neanche col clero, al quale tra l’altro apparteneva il figlio
Sebastiano, monaco francescano.
Una storia complessa e “aperta”, in qualche modo anche
diversa dalle tante “apostasie col
maligno”. Diversa anche nell’epilogo, perché Cecilia non finì sul rogo, non
avendo celebrato alcun sabba sotto l’albero di noce, come le circa 60.000
malcapitate dei roghi delle piazze europee nei secoli bui dell’Inquisizione.
Alle ore 21, nel centro storico di Borgo Paradiso, Maria
Faragò ha proposto l’applauditissimo reading teatrale “Cecilia di Dio”, dando
voce alla storica “fattucchiera” del luogo.
A sentite l’antropologo Mauss sull’eclissi del sacro e la
fame di ...