Nell'alimentazione dei calabresi il pane ha un posto centrale: è consumato con ogni piatto e la sua preparazione è molto curata, specie nel mondo contadino; è molto saporito e presenta una serie di varianti: ricordiamo le focacce, dette «pitte», piene di fantasia e di aromi, perché alla pasta lievitata si accompagnano sapori diversi, dai pomodori alle sarde, dalle cipolle alla ricotta, dalla salsiccia al caciocavallo.
Hanno, queste robuste «pitte», origini assai remote, ché con tutta probabilità erano cibi rituali; purtroppo, oggi sono pressoché introvabili fuori dell'ambito familiare.
La pasta, presenza immancabile, è tradizionalmente fatta in casa. «A fimmina 'mpasta e spasta, u furnu cunza e guasta», dice il proverbio. È la donna che impasta e spasta, il forno cuoce e guasta. Si riconosce così alla donna il merito di una buona cucina: non è tanto la cottura che conta per un buon risultato, quanto la capacità della massaia che, dice la tradizione, non è degna di maritarsi se non consoce almeno quindici modi di impastare la farina. E fra questi, il primo, il più diffuso, è quello che dà luogo ai «fusilli»: si fanno avvolgendo la pasta su un ferro, detto «firrittu» e hanno la forma di un grosso spaghetto corto dal sodo e rude sapore di grano. Si condiscono con pomodoro, prosciutto, aglio, olio e peperoncino. Oltre ai «fusilli», ecco le «sagne», che si preparano con laborioso intervento, imbottendole con carciofi ,carne di maiale, funghi, formaggio. Altri tipi di pasta sono «maccaruni», «sciliatelli», «schiaffettoni», «filatieddi», «canneroni», «ricci di donna»: sempre fatti con semola o farina di grano duro, vengono uniti a condimenti sapidi e densi, che li avvolgono in uno strato scivoloso rendendo il piatto ricco, colorato, stuzzicante. Oggi però sempre più si usano paste industriali.
Forse la minestra più esemplare della tradizione è il «maccu di fave», un passato di fave cotto senza condimento ma insaporito poi con olio crudo, pecorino grattugiato e molto pepe. Piatto antichissimo, si ritrova identico in Sicilia: alla base della sua sublime essenzialità sta la qualità delle materie prime. Inutile pensare di riprodurre un cibo come questo se non si è disposti, per esempio, a usare un olio robusto e denso di tipo meridionale.
Tutto il capitolo che riguarda il maiale è ricco di «colore». Data l'economia della regione, la carne bovina è praticamente assente e «lu puorcu» è il re della tavola ancora oggi. Un tempo l'uccisione del maiale era una festa popolare dal preciso, complesso rituale; oggi tutto ha assunto un andamento più spedito. Al grande, tradizionale banchetto che vedeva riunita la famiglia e gli amici e che aveva il suo momento più alto quando, prima della cottura, si portavano in tavola le frattaglie per divinare il futuro, si è sostituito un pranzo più ristretto. Si fanno ancora bollire, nella caldaia di rame, piedini, cotenne, testa, pancetta e tutte le altre parti grasse che danno lo strutto liberando i residui carnosi, detti «frisali», che vengono serviti insieme a verdure sottaceto che ne temperano il grasso.
Il consumo di maiale, sia fresco sia stagionato, è tuttora grande: capocolli, prosciutti, soppressate, salsicce sono cibi molto amati dai calabresi. Tra i salumi più tipici, la «soppressata» dal colore vivace (per la presenza di peperoncino e sangue di suino) e talvolta «lagrimusa», cioè stillante grassi odorosi, e la «ndugghia», salsiccia a base di lingua, trippa e altra carne di maiale, che entra nella cosiddetta «minestra maritata» con erbe domestiche e verdure selvatiche. Maiale e pasta si incontrano nel «morseddu», una «pitta» che si taglia in due e si riempie di un intingolo succoso a base di interiora di suino con pomodoro e peperoncino. Specialità di Catanzaro, è cibo straordinariamente energetico e "infuocato".
Il «morseddu» si ritrova con nome di «suffritto» a Cosenza e a Reggio. Parecchi piatti calabresi sono specifici di una sola delle tre provincie, anche se le caratteristiche di fondo sono comuni a tutta la regione. La geografia del resto spiega come, prima della costruzione dell'attuale ricchissima rete stradale, a causa degli ostacoli naturali, e precisamente le montagne, le provincie siano rimaste chiuse in se stesse. Nel Sud comunque la localizzazione di usanze alimentari e culinarie è più esasperata che nel Nord e nel Centro Italia: ogni città, ogni paese, ogni zona ha le sue abitudini, ogni famiglia i suoi segreti tramandati da generazioni.
Finisce con questo post un percorso nelle nostre tradizioni culinarie che fa della Calabria una delle regioni più ricche di ricette da rivalutare, da riassaporare.Ogni zona, territorio della Calabria si contradistingue per ricette uniche poco conosciute ed apprezzate sopratutto da noi calabresi , ma che per fortuna stanno ritornardo fortemente sulla nostra tavola perchè oltre alle riconosciute proprietà terapeutiche sono veramente buone. Una saluto caloroso a tutti i visitatori , grazie per i commenti. Zagor
RispondiEliminaLe fave con il pecorino buonissime.Giusto per curiosità sapeve quanto costavano un chilo di fave ieri al mercato Euro 3,50 offerta erano talmente lucidi che sembravano finti il sapore? acqua! Sarino
RispondiEliminaInteressante post per riappropriarsi del tesoro della nostra invidiata cucina Calabrese, unica inimitabile.Maria
RispondiEliminaQuest anno vuoi anche per il cattivo tempo (oggi a Sellia pioviggina oltre a fare freddo)i. favi sono pochi ed ancora piccoli.Buona Giornata a tutti gli amici del blog
RispondiEliminavorrei complimentarvi per le varie foto inserite nei post,Bravi continuate così ottimo post.Ciao Selliesi
RispondiEliminaVieni a Sellia le fave sono gratis il pecorino anche ciao sarino un saluto da Sellia.
RispondiEliminaI favi u posillu quanti mangiati sti vigni vigni e ppe culmatura na bella abbuffata e cerasa. Si jamu mo si vigni vigni cchi trovamu? mancu i cerasari !
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