foto notizia

lunedì 27 giugno 2011

Quando Bosco traduceva dal Calabrese all'Italiano


dial
La televisione italiana da qualche settimana sta mandando in onda messaggi di valorizzazione dei dialetti. Potrebbe sembrare
 una novità, o un paradosso nei giorni in cui il Belpaese festeggia i 150 anni dall'Unita', ma non lo e'. In realtà, infatti, i dialetti erano tenuti in alta considerazione già nel Risorgimento, che diede vita ad uno Stato che fu unitario, ma non centralista. A conferma di questa affermazione basti ricordare la legge n. 3.702 del 23 ottobre 1859 che attribuiva l'istruzione elementare maschile e femminile ai Comuni, la secondaria alle Provincia e riservava allo Stato solo l'istruzione universitaria.

   L'Italia con il Risorgimento introdusse il programma ''dal Dialetto alla lingua'', varato con ''approvazione definitiva della Commissione Ministeriale pei libri di testo''. Il programma prevedeva diverse fasi di comprensione e di esercitazioni di traduzione e di lettura dai dialetti, con testi per ciascuna particolarità dialettale. I testi, pubblicati dalla Paravia di Torino e dalla Bemporad di Firenze, erano per i dialetti piemontesi di B. Terracini; per quelli della Liguria di T. Giaimo; per quelli del Veneto di B. Migliorini; per Trieste e l'Istria di E. Roman; di C. Tagliavini per i dialetti dell'Emilia; di A. Maragliani, A. Ottolini, L. M. Capelli, S. Crepaldi, E. Enovi, T. Tamborini per i dialetti lombardi; di U. Bosco per i dialetti della Calabria; di L. Natoli per i dialetti del Palermitano; di F. Nicolini per i dialetti della Campania; di D. Parenti per i dialetti della Sardegna; e via dicendo.
   Del 1850, peraltro, in Italia venne pubblicata una quantità incredibile di grammatiche e dizionari tra le varie parlate italiane e la lingua italiana. Per avere contezza di questa produzione, e' sufficiente leggere il manuele Hoepli di D'Ovidio-Meyer Lubke dal titolo ''Grammatica storica della lingua e dei dialetti italiani'', che uscì nella seconda edizione a Milano nel 1919. Sullo stesso tema nel 1931 uscì il ricco volumetto di Angelico Prati, dal titolo ''I vocabolari delle parlate italiane''.  D'altra parte il fatto che l'istruzione elementare fosse affidata ai Comuni favorì il mantenimento e perfino il potenziamento delle lingue minoritarie locali: i friulani nel Nord Est, gli Occitani sul versante Nord Orientale, l'albanese in diverse località della Sicilia e della Calabria, per non citare che quelle più importanti.  A San Demetrio Corone, fino al 1961, si mantenne un collegio tanto qualificato che i maggiorenti albanesi vi mandavano a studiare i propri figli per evitare che perdessero la cultura dei propri avi, quando la loro terra era occupata da potenze straniere. E a Corigliano Calabro, non in Albania, nacque il pr imo quotidiano al mondo in lingua albanese.
   L'apprendimento della lingua italiana passando attraverso il dialetto durò fino al 1927. Nel 1923, infatti, l'allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile mise in atto una riforma scolastica, elaborata assieme a Giuseppe Lombardo Radice, che entrò in funzione nel tempo fissato in quattro anni. Nel frattempo, il dialetto venne da popolare reso nobile.
Per indicare il dialetto, si cominciò ad usare più comunemente il termine di ''vernacolo'', che etimologicamente vuol dire domestico, quindi di casa. Ma a mettere in crisi l'uso dei dialetti e' stata la nascita della televisione, che ha uniformato il linguaggio, persino attenuando le inflessioni, introducendo espressioni idiomatiche estere e alla fine pressoché' sopprimendo l'originalità' e la particolarità delle 'lingue' comunali e molto spesso persino rionali.