Antichi rituali Calabresi sui morti
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cimitero di Sellia |
Nelle campagne calabresi sono ancora vive
le credenze che legano le comunità dei vivi al mondo dei trapassati, credenze di
origine oscura, in cui il terrore verso il mondo dei morti, le antiche
superstizioni si uniscono ai cicli agrari, ai simboli propri del mondo
contadino. E’ una credenza diffusa che le anime dei defunti siano delle ombre
che si aggirano intorno ai sepolcri che possono essere buone o cattive come i
Lares e i Lemures dei Latini, prendendo forme diverse come scheletri, serpenti e
lucertole. I più superstiziosi non uccidono mai gli animali in cui si crede
possano prendere corpo i defunti: in alcuni villaggi silani si ha un rispetto
sacro per le farfalle in cui albergano le anime del Purgatorio e si crede che
quando una farfalla si aggira intorno al lume acceso sia un'anima in pena che va
cercando pace, mentre nei topi che vagano per le campagne si crede che
alberghino le anime dannate. Le ombre appaiono nei sogni cercando conforto per
le loro anime rivelano segreti, annunciano eventi buoni o luttuosi; quando
un'anima appare in sogno si ha il dovere di fornirla di un conforto, visitando
la sua tomba, dicendo una messa, cucinando una pietanza particolarmente gradita
all'estinto quand'era in vita. Sia i Greci che i Latini commemoravano i morti
nel mese di febbraio, il mese delle purificazioni, celebrando le Antesterie e le
Feriali, con offerte votive di cibo e vini sulle tombe, in questo periodo era
credenza che i morti uscissero dalle dimore dell'Ade e vagassero ansiosi di cibo
sulla terra; solo con offerte rituali, banchetti e danze, i vivi potevano
placare quelle anime e rafforzare il loro legame con i morti. I calabresi
conservano memoria di questo antico costume nei banchetti di carnevale dove, in
molti paesi, si mangia e si beve in suffragio delle anime dei propri morti; a
Lago si usava ergere un catafalco in ricordo dei trapassati intorno al quale
venivano posti pane, vino, uova e legumi. Nei paesi di origine albanese ancora
oggi si cuoce una focaccia di forma particolare, bucata al centro, la
pizzàtuglit, simile per forma e funzione ai pani dei morti di cui parla Tucidide.
I rituali funebri ricordano molto da vicino le usanze antiche. Quando una
famiglia viene colpita da un lutto, si spegne il fuoco e le donne sciolgono i
capelli, mentre gli uomini restano col cappello e non si rasano. La consuetudine
del pianto delle prefiche era comune in tutti i paesi della Calabria e ancora
perdura in alcuni villaggi: alcune donne erano chiamate per piangere intorno al
catafalco del morto e svolgevano la loro funzione a pagamento. Anche fra i
congiunti era importante che vi fossero delle aperte manifestazioni di dolore,
tanto che nella tradizione popolare si tramandano vari canti funebri e
lamentazioni che compiono le donne parenti del defunto accompagnate dagli altri
conoscenti che partecipano al lutto. Il pianto rituale può avvenire solo di
giorno e si sospende durante la notte, poiché si pensa che la notte appaia il
demonio per godere del pianto delle anime cristiane, inoltre se il morto è un
bambino, il pianto notturno gli sarebbe funesto perché gli angeli non lo
accetterebbero in cielo. II morto viene posto con i piedi rivolti verso la porta
di ingresso e secondo l'uso più antico deve avere i piedi nudi, se è un uomo, e
la veste sciolta se è una donna; al momento in cui viene sistemato nella bara
gli vengono posti accanto degli spiccioli, necessari per pagare il passaggio
nell'aldilà sulla barca di Caronte. I calabresi credono che al momento di
muoversi in viaggio verso il regno dei morti si abbia bisogno d’acqua e di pane:
a Celico si usa porre accanto al catafalco un tozzo di pane e un boccale, ad
Acri si lascia l'acqua accanto al letto di morte per tre giorni consecutivi,
convinti che lo spettro si presenti a mezzanotte per berne. Nella città di
Bisignano le famiglie più legate alla tradizione usano ancora porre accanto al
cadavere un braciere in cui arde l'incenso, perpetuando un rituale di
purificazione della casa e degli uomini contaminati dalla morte, simile in tutto
alla suffitio dei Romani. Come presso gli antichi Greci, anche i calabresi danno
una grande importanza agli onori funebri e hanno grande orrore della loro
mancanza considerando che questo possa impedire la pace nel regno dei morti. Per
favorire l'ultimo viaggio e sconfiggere gli spiriti maligni che erano nell'aria,
gli antichi usavano percuotere con forza su dei vasi di rame. Ovidio ricorda
come per compiere il rituale si dovessero percuotere l'uno contro l'altro dei
bacili fabbricati a Temesa, l'antica città mineraria calabrese. Col
Cristianesimo la tradizione originaria è stata sostituita dal suono delle
campane che più è intenso e prolungato, più è utile al defunto. Ad Atene si
usava tenere dei banchetti funebri il terzo, il nono e il trentesimo giorno
dalla morte, reputando che i giorni multipli di tre potessero essere dei momenti
di crisi e lo spettro potesse ritornare nella casa che aveva lasciato; il
consumo di cibo rituale allontanava i pericoli di contaminazione con il regno
delle ombre e assicurava ai vivi la protezione del defunto che diveniva un
antenato benefico per la famiglia. La stessa consuetudine è viva in tutti i
paesi della Calabria, ma i banchetti rituali sono stati sostituiti dalle
funzioni religiose e dalla partecipazione all'Eucaristia. Durante
l'anno erano
molti i momenti in cui si temeva che gli spettri potessero tornare sulla terra.
A Cosenza e nei casali circostanti si usava imbandire, così come accadeva presso
i Greci, dei banchetti in suffragio dei defunti il primo lunedì di ogni mese;
queste cene di Ecate avevano lo scopo di tener lontane le ombre proprio nei
momenti in cui si dà inizio a qualcosa di nuovo, come il primo giorno della
settimana nel nuovo mese, rafforzando i legami benefici con l'aldilà e
mantenendo forte il ricordo fra le generazioni. Le streghe e gli stregoni sono
stati considerati in tutta l'antichità come individui capaci di mettere in
comunicazione il mondo degli dei con quello degli uomini, il mondo dei vivi con
quello dei morti. Nelle culture subalterne, contadine, pastorali, sono rimaste
intatte le credenze ereditate dal mondo classico e dall'Oriente: tutti i momenti
dei cicli della vita agraria, della comunità, dei singoli individui, erano
sottoposti a uno stretto rapporto con il mondo soprannaturale e segnati da
precise forme rituali.
certo che i nostri avi mangiavano sulle tombe dei defunti questa non la sapevo comunque tanti riti che oggi fanno un pò sorridere erano fatti per esorcizzare la morte che sino a 60 anni fa arrivava ogni giorno mietendo vittime sopratutto nei bambini
RispondiEliminagi
ho letto con molto interesse questi strani rituali che fanno parte del nostro bagaglio tradizionale
RispondiEliminaanche Zagarise aveva i suoi rituali,si invitava una persona a mangiare a ricordo del defunto,noi ragazzini avevamo paura persino di avvicinarci al"camposanto"leggende che persone parlavano con i morti, sono passati anni da allora risentiamo parlare del nostro caro cimitero grazie ai ragazzi della Coccinella che portano alla ribalta spese maggiorate per i loculi e guarda caso non poteva mancare il nostro amato e unico RE della Sila e di ZAGARISE e i loro condottieri della grande tavola rotonda.
RispondiEliminamolto bello riproporre queste tradizioni antiche che ora ci sembrano cosi lontano ma che sino a circa 50 anni fa era normalità
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