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martedì 9 maggio 2023

L'incredibile storia di Rosina Lupia di Belcastro, poetessa-contadina senza scuola, protagonista delle lotte per l’occupazione delle terre incolte

 


Solo recentemente Franco Santopolo mi ha fatto conoscere la storia di Rosina Lupia di Belcastro (CZ), poetessa-contadina senza scuola, protagonista delle lotte per l’occupazione delle terre incolte del Marchesato Crotonese e dei territori ionici contermini durante l’ultimo dopoguerra, nonché interprete originale e profonda della cultura popolare identitaria, a lungo condannata alla marginalizzazione, all’insignificanza e all’oblio. “Una donna bellissima e dotata di grande carisma, intelligenza e sensibilità, inventava poesie e canzoni”, che dettava a un bambino, sottraendole così all’oblio del tempo, ma non all’incuria degli uomini, soprattutto dei cultori della retorica contadina e dei valori naturali e primitivi, come Curzio Malaparte e Giovanni Papini :mi sento profondamente d’accordo con le vacche e con la nostra cara e buona lingua di bifolchi e di genii”.Rosina partiva dal gradino sociale più basso, essendo donna, povera e analfabeta, puntualizza Santopolo, integrando quanto scritto da Alberto Iacoviello sull’Unità il 31 marzo del 1950: “E’ una specie di genio contadino, parla un linguaggio che contiene la saggezza di secoli e la verità comune a migliaia di contadini”. Una ribelle (secondo i canoni di Eric J. Hobsbawm), non il buon selvaggio o il genius loci del folclore locale, da rinchiudere nello spazio sociale e letterario del caso singolare. Rosina è poeta del mondo contadino calabrese, cantora della giustizia e della fratellanza, dei valori identitari della cultura subalterna e della tragica regressione del Sud negli anni del boom economico del Nord, che ispirava a P.P. Pasolini il famoso epigramma: “chi era coperto di croste è coperto di piaghe/ il bracciante diventa mendicante/ il napoletano calabrese/ il calabrese africano/ l’analfabeta una bufala o un cane”. Una figura marginale nella gerarchia della società locale –subalterna ed esclusa che riesce a conquistare una sicura centralità ed evidenza sociale, col suo carico eversivo rivoluzionario (donna senza marito, povera e senza scuola) di soggetto organico e vivo di un collettivo-casa, vissuto come un’altra religione del suo tempo. Aveva rifiutato l’emigrazione assistita e programmata in Brasile, dove l’Istituto Nazionale per il Lavoro all’Estero aveva pianificato la fondazione di una colonia agricola a Pedrinhas, al confine col Paranà, sul presupposto che “la terra è insufficiente per trattenere i contadini in Calabria”. Molte famiglie continuavano a sopravvivere con un pane al giorno e con una minestra di cicorie selvatiche o di fagioli; il pane veniva diviso in due parti, metà per il capofamiglia procacciatore di reddito e l’altra metà per i figli e la madre. Qualcuna era morta letteralmente di fame, dopo aver allattato l’ultimo nato. Emigrarono in Brasile oltre 110.000 Italiani, più del doppio in Venezuela, 464.000 in Argentina e mezzo milione negli Usa e in Canada. Intanto in Calabria, seguendo il principio dell’appoderamento, venivano costruiti 24 nuovi borghi e 4.736 casette rurali sui 74.813 ettari di terreni espropriati o acquistati dall’Ente di Riforma (OVS) e assegnati dalle prefetture e dalle.......................

apposite commissioni circondariali a 18.759 famiglie contadine povere, al fine di mitigare le tensioni sociali nelle campagne. Sull’onda delle occupazioni spontanee di massa (invasioni per i latifondisti) di settembre del ‘46, Rosina, alla testa di una cooperativa di contadini e di braccianti di Belcastro, aveva occupato e colonizzato una quota dell’uliveto incolto del marchese Giulio Berlingieri, gravato di usi civici. L’occupazione degli uliveti era stata considerata da più parti come una vera e propria forzatura interpretativa del r.d.l. 279/1944 (decreto Gullo) e del significato di terreno mal coltivato nel latifondo dagli assetti agrari arcaici. A metà degli anni ’60, si tentò di espropriare la sua chiusa, col pretesto dell’attuazione di un progetto di ammodernamento della strada provinciale adducente alla S.S.106: uno smacco o una vendetta politica per la nostra poetessa, la quale non esitò ad adire fruttuosamente le vie legali (la Pretura di Cropani) e a rivolgersi direttamente al Presidente della Repubblica, on. Giuseppe Saragat, lanciando nel contempo strali e ammonimenti ai suoi avversari: “…. cu’vö mala a mia/gira a nu fusu e non conchjuda nenta!”



ROSINA AL PRESIDENTE

Mio caro e bene amatu Presidenta,

ti scrivu chista littara ‘e luntanu,

ppe’ mma ti dicu ca c’è nu pezzenta

chi vö ppe’ ma mi futta de stramanu,

nu pezzareddu ‘e terra d’o ponenta

ma fa ‘na strata cchi scinda a lu chjianu.

E’ megghjiu ma ‘nterveni, Presidenta,

e ma ci dici, a chistu sacristanu,

nomma fa u’ fissa, ca ddocu, comu nenta,

Peppinu caru, cu’ vö mala a mia,

gira a nu fusu e non conchjuda nenta!

A chistu puntu, aju fiducia ‘e tia

cchi sì cumpagnu e puru Presidenta.

Chiudu e mi firmu.

Rosina Lupia

di Marcello Barberio.




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