martedì 14 settembre 2010

Portabella penninu (Prima parte )

La storia che vi racconterò tratta un argomento particolare, all’inizio direte: "io non credo a queste stupidaggini", alla fine quando avrete letto tutto il racconto, come minimo qualche dubbio sorgerà nei vostri pensieri. Siamo negli anni 50, Sellia è divisa in due, anzi in tre, vista la separazione con Sellia Marina nel 1956. Io mi chiamo Nicola (nome di fantasia ) abito nel nuovo rione Madonna della Neve in una delle tante casette costruite dopo il terribile alluvione del 1943, ho fatto 17 anni da poco, ovviamente senza nessuna festa come invece è consuetudine fare oggi; avevamo ben poco da festeggiare, da lì a pochi mesi sarei partito per sempre nel nord Italia alla ricerca di fortuna come anche quasi tutti i miei amici. Lavoro zero, prospettive future rimanendo a Sellia sotto zero ,dunque si era costretti ad emigrare, anzi io ero un po’ più fortunato. Alcuni miei ex compagni di scuola erano partiti a quindici, sedici anni. Mi piangeva il cuore, io volevo rimanere a Sellia ma la famiglia nutriva aspettative su di me che ero il più grande, e lavorando avrei potuto aiutarla spedendo mensilmente dei soldi, come del resto lo facevano in molti, facendo arrivare puntualmente i soldi alla posta anche dall’America. La sera ci ritrovavamo con i miei tre inseparabili amici  pronti per salire a Sellia, lì era il nostro cuore, avendoci vissuto l’infanzia gli anni più belli, più spensierati. Salivamo quasi ogni sera, non potevamo starne lontani. "I barraccuni”(cosi venivano chiamate le prime casupole di legno costruite nell’immediato dopo alluvione) non ci appartenevano, troppo fredde, case tutte uguali costruite senza la percezione degli spazi. Ecco che arrivano gli altri: Tonino “u fimminaru “ era proprio "nu sciupa femmin"e era arrivato alla sua 4° fidanzata, metteva nei capelli una specie di brillantina che attirava le donne come mosche (anch’io provai diverse volte a mettermi la brillantina ma ottenevo con le donne l’effetto opposto (attirando solo mosche). Ecco che arriva Gianni "u chju mala cummenatu" metteva sempre panni riciclati all’infinito, non è che noi vestivamo meglio, ma almeno le nostre mamme erano brave a camuffare con vari accorgimenti i vari panni messi e rimessi, la mamma di Gianni lavorava a giornata nei campi, suo papà invece non era più tornato a casa dopo la grande guerra dato per disperso, il suo corpo non era stato ritrovato. Ultimo come al solito arrivava Mimmo, mi sollevava vederlo perché ogni volta che pensavo al mio........

lunedì 13 settembre 2010

Premessa al racconto "Portabella penninu"

La storia che vi racconterò tratta un argomento delicato "I lupipampini"certo dirà qualcuno, per chi ancora ci crede;siamo nel 2010 sappiamo benissimo che erano favolette popolari narrate al focolare durante le lunghe e gelide serate invernali la televisione doveva ancora arrivare,i libri erano merce rara e venivano letti da pochi e i bravi anziani viaggiavano con la fantasia incuotendo paura nei bambini ma ora neppure i bambini ci crederebbero più sapendo benissimo che scientificamente non possono esistere. Certo ognuno la può pensare come meglio crede fatto sta, che ciò che vi racconterò non è successo 100 anni fa ma più o meno circa ‘50 anni fa all'inizio degli anni ‘60.

Ecco come viene descritta in medicina questa forma di malattia: "Si chiama comunemente licantropia clinica quella patologia mentale che costringe chi ne soffre a voler assomigliare a un lupo nell'aspetto ma principalmente nel comportamento, negli stadi più gravi i malati desiderano cibarsi di carne cruda, a volte umana, e di sangue.Fa parte della branca delle teriantropie (di cui rappresenta certamente la variante più diffusa) ovvero una psicopatia che costringe chi ne soffre a credersi un animale di una specie in particolare o meno (sono numerosi infatti i casi in cui i teriantropi non sono coscienti di una specifica identità animale ma si credono semplicemente degli Animali-Umani.Vi sono numerosi esempi di assassini psicopatici che hanno dilaniato i corpi delle proprie vittime coi denti e ne hanno addirittura mangiato il cuore.Un malato famoso è il boss stragista di mafia Nitto Santapaola, talmente crudele nei suoi delitti da indurre i dirigenti delle indagini su di lui a pensare che la sua appartenenza a Cosa Nostra sia solo un pretesto per uccidere". Io l'ho visto "u lupipampinu" i miei amici l'hanno visto ed ancora oggi quando ci incontriamo sopratutto nel periodo estivo ci viene la pelle d'oca rievocando quell’episodio e guardando da lontano l'affascinante portabella che da circa 50 anni ne io ne i miei amici dell'epoca non abbiamo più percorso a piedi,ma neppure in compagnia. Il mio nome è Nicola (nome di fantasia) come del ..............resto tutti i nomi presenti nel racconto, che badate bene rimane l'unica fantasia inserita, il resto e vero, almeno per noi che lo abbiamo vissuto in prima persona, pensate che per molti anni dopo quella terribile esperienza evitavamo di parlarne anche tra di noi cercando inutilmente di cancellarla, eliminarla definitivamente dai nostri ricordi. Solo a distanza di parecchi anni, abbiamo deciso di raccontarla nella certezza che anche il più incredulo,il più razionale pensiero umano, dopo aver ascoltato, letto questo particolare episodio metterà in discussione alcune certezze che sino ad oggi, riteneva veri pilastri. Buona lettura.

Autore: sellia racconta. Si prega di inserire il link a chi ne fa uso (anche in modo parziale) con esplicito riferimento della fonte

domenica 12 settembre 2010

A 10 anni della tragedia al camping " le Giare" Soverato, Catanzaro

SOVERATO -''Il buio pesto, le voci strazianti che inseguivano invano nomi di persone e tanta, tanta acqua quanto non ne ho vista in tutta la mia vita''. Non potra' mai cancellare dalla memoria quelle interminabili prime ore dell'alba del 10 settembre 2000, Cesare Scorza Rotundo, operatore televisivo e volontario dell'Unitalsi.

E' uno dei sopravvissuti della tragedia del camping Le Giare di Soverato, 12 morti tra disabili e volontari di un campo vacanze e un disperso inghiottito per sempre dalle onde del mare Jonio. L'area teatro della tragedia e' quella nei pressi del torrente Beltrame dove ancora oggi rimangono i segni della devastazione. Un anno e mezzo fa si e' chiusa la vicenda giudiziaria con la sentenza definitiva di condanna della Corte di Cassazione per il proprietario del camping, un funzionario dell'Agenzia del territorio e un dipendente della Regione Calabria. Sono passati dieci anni da quel giorno ma per Cesarino, come e' conosciuto da tutti a Catanzaro, ogni anno si rinnova il dolore incancellabile di quella parentesi di festa (era l'ultimo giorno di vacanza prima del rientro) trasformatasi in un incubo. ''Quando piove - dice - da quel giorno non posso piu' controllarmi. E' un'ansia che si rinnova''.Lui, allora come oggi, dedica il proprio tempo libero all'Unitalsi, l'associazione cattolica che accompagna i disabili nei viaggi della speranza a Lourdes. Adesso, e' impegnato nella preparazione del decennale di Soverato che sara' ricordato con l'apposizione di una targa sul luogo della tragedia, alle porte della cittadina ionica dove sorgeva il camping della morte. Non e' per niente indolore per chi l'ha vissuto in prima persona riandare a quella terribile notte di tregenda. E Cesarino, mentre cerca di trovare le parole giuste per restituire lo stato d'animo di quei momenti non riesce a nascondere l'angoscia che lo pervade. Mentre parla non sta mai fermo. ''L'unico barlume di vita - dice con un groppo in gola - fuori da quell'inferno di fango, detriti e soprattutto di vite strappate via, era una luce in lontananza, il lampeggiante di un'auto dei carabinieri sul ponte del fiume Beltrame. Erano i primi soccorsi, noi non lo sapevamo, cosi' come non sapevamo che sarebbero passate ore prima che potessero raggiungerci''.
E, nella ricostruzione frenetica di quegli attimi indimenticabili, tra frasi smozzicate e attimi di sincera commozione, tornano alla mente nomi e volti di persone care travolte da una furia straordinaria e incontrollabile. ''Siamo andati a letto alle quattro e mezza. Dopo solo cinque minuti - aggiunge - ho sentito delle richieste di aiuto e mi sono diretto fuori dal bungalow. In un minuto, l'acqua da dieci centimetri e' balzata a quattro metri. Non c'e' stato nemmeno il tempo di riflettere: d'istinto, in quel buio irreale, ho cercato di afferrare di peso quante piu' persone ho potuto, tra questi c'era anche mio nipote Manolo. Assieme a loro sono salito sul tetto della struttura da dove, poi, ci siamo arrampicati su di un salice. In mezzo a tanta tragedia e a tanto buio una nota positiva che ha il volto e le fattezze di un giovane figlio di campeggiatori romani.''Kevan Castelli, un ragazzino che siamo riusciti a strappare alla furia delle acque. L'anno dopo i genitori di questo bambino sono tornati a trovarmi a casa per regalarmi una medaglietta. E' stato un momento molto bello''. Per il decennale a raccontare per immagini la tragedia di Soverato c'e' anche un documentario di trenta minuti dal titolo significativo ''Tredici'', il numero delle vittime, diretto da Giuseppe Petitto. Cesarino, per questa volta dall'altra parte dell'obiettivo, torna sui luoghi della tragedia. ''Anche in questo modo si alimenta il ricordo - dice - ma cose cosi' non devono accadere mai piu'. Mai piu'''. (Fonte Ansa)

sabato 11 settembre 2010

Perchè esiste il male ?


Durante una conferenza tenuta per gli studenti universitari, un professore ateo dell’Università di Berlino lancia una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda:
“Dio ha creato tutto quello che esiste?”
Uno studente diligentemente rispose: “Sì certo!”.
“Allora Dio ha creato proprio tutto?” – Replicò il professore.
“Certo!”, affermò lo studente.
Il professore rispose: “Se Dio ha creato tutto, allora Dio ha creato il male, poiché il male esiste e, secondo il principio che afferma che noi siamo ciò che produciamo, allora Dio è il Male”.
Gli studenti ammutolirono a questa asserzione. Il professore, piuttosto compiaciuto con se stesso, si vantò con gli studenti che aveva provato per l´ennesima volta che la fede religiosa era un mito.
Un altro studente alzò la sua mano e disse: “Posso farle una domanda, professore?”.
“Naturalmente!” – Replicò il professore.
Lo studente si alzò e disse: “Professore, il freddo esiste?”.
“Che razza di domanda è questa? Naturalmente, esiste! Hai mai avuto freddo?”. Gli studenti sghignazzarono alla domanda dello studente.
Il giovane replicò: “Infatti signore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della fisica, ciò che noi consideriamo freddo è in realtà assenza di calore. Ogni corpo od oggetto può essere studiato solo quando possiede o trasmette energia ed il calore è proprio la manifestazione di un corpo quando ha o trasmette energia. Lo zero assoluto (-273 °C) è la totale assenza di calore; tutta la materia diventa inerte ed incapace di qualunque reazione a quella temperatura. Il freddo, quindi, non esiste. Noi abbiamo creato questa parola per descrivere come ci sentiamo… se non abbiamo calore”.
Lo studente continuò: “Professore, l´oscurità esiste?”.
Il professore rispose: “Naturalmente!”.
Lo studente replicò: “Ancora una volta signore, è in errore, anche l´oscurità non esiste. L´oscurità è in realtà assenza di luce. Noi possiamo studiare la luce, ma non l´oscurità. Infatti possiamo usare il prisma di Newton per scomporre la luce bianca in tanti colori e studiare le varie lunghezze d´onda di ciascun colore. Ma non possiamo misurare l´oscurità. Un semplice raggio di luce può entrare in una stanza buia ed illuminarla. Ma come possiamo sapere quanto buia è quella stanza?
Noi misuriamo la quantità di luce presente. Giusto? L´oscurità è un termine usato dall´uomo per descrivere ciò che accade quando la luce… non è presente”.
Finalmente il giovane chiese al professore: “Signore, il male esiste?”.
A questo punto, titubante, il professore rispose, “Naturalmente, come ti ho già spiegato. Noi lo vediamo ogni giorno. E´ nella crudeltà che ogni giorno si manifesta tra gli uomini. Risiede nella moltitudine di crimini e di atti violenti che avvengono ovunque nel mondo. Queste manifestazioni non sono altro che male”.
A questo punto lo studente replicò “Il male non esiste, signore, o almeno non esiste in quanto tale. Il male è semplicemente l´assenza di Dio. E´ proprio come l´oscurità o il freddo, è una parola che l´uomo ha creato per descrivere l´assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che succede quando l´uomo non ha l´amore di Dio presente nel proprio cuore. E´ come il freddo che si manifesta quando non c´è calore o l´oscurità che arriva quando non c´è luce”.
Il giovane fu applaudito da tutti in piedi e il professore, scuotendo la testa, rimase in silenzio.
Il rettore dell’Università si diresse verso il giovane studente e gli domandò: “Qual è il tuo nome?”.
“Mi chiamo, Albert Einstein, signore!” – Rispose il ragazzo.

venerdì 10 settembre 2010

Caduto dalla cima del campanile di Sellia, fu miracolosamente guarito


Michele Hokolzer, Fratello Coaudatore della Compagnia di Gesù, e Sagrestano nel Collegio di Sellia, salito sul campanile, per farvi certo lavoro che bisognava, ne cadde miseramente dalla cima al fondo; e perchè ella era torre molto alta, fu miracolo che, sul dare il colpo su la terra, non vi rimanesse immediatamente morto. Ma ben gli s'infranse in più luoghi la testa, e gli si ruppe tutta la vita: onde, privo affatto de' sensi, come morto lo portarono su le braccia ad un letto dei più vicini. Chiamati i Cerusici, al primo scoprirgli del capo, lo diedero per disperato: si pestò la testa, e con cosi profonde e mortali ferite aperte: oltre che anche per lo grande scotimento e compressione del cervello, pativa spesse convulsioni, e in pochissimo spazio di tempo, più di venti volte li presero crudeli accidenti d'epilessia. Con ciò, datagli l'estrema Unzione, si attendeva ad aiutarlo più a morire, che a vivere. Pur vi fu un de' Padri, a cui venne in cuore di raccomandarlo al commun Padre S. Ignazio; e recata qui vi una sua imagine, e postala sul capo all'infermo, tutti di casa, presenti per aiuto dell'anima sua, caldamente pregarono il Santo ad averne pietà. E furono esauditi: peronè l'infermo ripigliò i sensi che avea in tutto perduti, sì che, presentandogli uno la sopradetta imagine, perchè egli altresì chiamasse il Santo in suo aiuto, e domandato, se lo riconosceva: Io, disse, ben riconosco, questa esser l'imagine del N. B. P. Ignazio: ma in altra maniera, e più chiaramente ho io veduto lui medesimo. Il che comunque fosse, certo è, ch'egli guarì, e tornò quanto prima alle faccende dell'ufficio suo, senza mai risentirsi, per cotal caduta, nè del capo nè della vita. Avvenne ciò a Sellia  nell'anno del Signore 1600.
tratto dal libro "Vita di Sant Ignazio di lojla"  anno 1782

giovedì 9 settembre 2010

Premessa al capitolo tratto dal libro del 1783 dal titolo"Vita di Sant Ignazio"( che inseriremo nel prossimo post)

Nella foto lavori di ristrutturazione della Chiesa Madre ad inizio anni 90
Inseriremo domani il post di un breve ma intenso racconto successo a Sellia nel 1600, è fedelmente trascritto su un libro nel 1782 dal titolo "Vita di Sant' Ignazio di Lojla, fondatore della Compagnia di Gesù ("Padri Gesuiti"), ideatore degli Esercizi Spirituali; fu uno dei più grandi Santi della storia della Chiesa. Ignazio nacque a Loyola, nella zona basca della Spagna, vicino Azpeitia, nel 1491, figlio cadetto di una nobile famiglia. Da giovane si dedicò alla cavalleria e al gioco delle armi, ma amava anche divertirsi (scriverà nella sua autobiografia che “fu uomo di mondo”), talvolta creandosi anche qualche problema con la legge. Ignazio fu canonizzato il 12 marzo del 1622 insieme a S. Francesco Saverio. Di lui fu detto: “Aveva il cuore più grande del mondo“.Il 20 maggio 1521 si trova a Pamplona nel momento in cui questa è posta sotto assedio dalle truppe francesi. Ignazio valorosamente convince la guarnigione posta a difesa della città a non arrendersi e, con una forza esemplare, guida la resistenza. Purtroppo viene gravemente ferito ad entrambe le gambe e la città si arrende. I francesi lo trattano con rispetto e lo rimandano al suo castello natale per essere curato. Il viaggio in lettiga è duro e travagliato. Ignazio arriva a Loyola in condizioni non felici. Pochi giorni dopo sarà sul punto di morire, ma nel giorno della festa di S. Pietro e Paolo inizia la guarigione. I chirurghi spezzano più volte le gambe perchè le ossa non si saldano correttamente. Ignazio resterà comunque zoppo per tutta la vita. Durante la lunga convalescenza chiede dei libri da leggere. In casa non c’è molto e gli danno opere sulla vita di Cristo e sulla vita dei Santi. Qui inizia ad accendersi un fervore dentro Ignazio ed un desiderio di imitare le vite di San Francesco e di San Domenico. Entrando nello specifico racconto storico, molto particolare, avvenuto ad un monaco sagrestano della compagnia di Gesù che dimorava a Sellia, il quale per lavori urgenti salì sul tetto del campanile che all’epoca dei fatti non era come lo vediamo adesso ma si presentava più alto con un tetto spiovente ad una falda ricoperta di tegole; successivamente con i vari cataclismi, il campanile si è ribassato, il tetto in tegole venne sostituito da un solaio con delle orlature tipo castello. Il monaco, una volta arrivato nella sommità del tetto, iniziò i lavori di riparazione delle tegole, ma mentre stava svolgendo il lavoro un movimento brusco oppure un piede appoggiato male, cadde disastrosamente sfracellandosi a terra,ma…………….(leggi l’episodio che inseriremo)
Il racconto storico come abbiamo avuto modo di dire in un altro post, è stato scovato casualmente da lux: forumista nel forum di Sellia, ma anche nostra collaboratrice, la quale mentre faceva le varie ricerche sui santi del giorno da spedire alla parrocchia di Sellia, essendo una coadiutrice anche del sito parrocchiale, scopre questo breve,bellissimo e inedito racconto.