Nu Casinu
Eu volera ma l'haju nu casinu
Ammenzu na campagna abbandunata;
Tornu tornu volera nu giardino
Daveru bellu, fattu de na fata.
Nu lettu 'e hjuri tutto quantu chjnu,
Cu na cuverta tutta recamata,
Eu volera a lu megghju cambarinu
Ppe ma ti mintu a tia, bedda, curcata...
Ma poi tu quandu tutta cianciarusa,
Tu fusseri curcata a chissu lettu,
'A faceri tu tandu 'a murricusa?
Ti dasseri vasara ' Fra Galdinu?...
Ti dasseri toccara chiddu pettu?...
'U volera daveru su casinu!
Giovanni Patari nacque a Catanzaro nel 1866. Studiò nel liceo Galluppi, ma conseguì la licenza liceale nel Filangieri di Monteleone, oggi Vibo Valentia. Laureatosi in Giurisprudenza, fu sviato dalla toga da Guido Mazzoni e Giuseppe Chiarini che lo proposero come professore a Ferdinando Martini. La prima produzione che il giovane iniziò nel campo delle lettere apparve su Sebetia, sul Fortuio e sul Piffero, per eccellere sull’Avvenire Letterario di Milano, su Lettere e arti di Bologna e sulla Rassegna pugliese. La canzone, Accanto a Roma composta dal giovane Patari fu tradotta in lingua spagnola dal professore Diaz Plaza dell’università di Madrid e molte altre sue poesie ebbero la versione francese per opera di Paolo Bourget. Per capire l’arte e la fortuna di Patari e comprenderne il ruolo significativo che, dai primi anni del ‘900, ricoprì nella città di Catanzaro è opportuno considerare attentamente la sua biografia.Patari approdò alla poesia dalla cronaca: proprio dalla cronaca cittadina, dalla curiosità quotidiana, nei giornali e giornaletti che si stampavano in città alla fine dell’ottocento. Sul corriere Calabrese nel 1883, quando aveva sedici anni, pubblicò in dialetto quello che gli procurò subito una larga popolarità: I muzzuni: Prima ma ncariscianu i sigarri, un sonetto scritto in occasione dell’aumento del prezzo dei sigari. Il lavoro andò disperso, ma gli valse l’amicizia di Giuseppe Chiarini e di Arturo Graf che ebbero modo di leggerlo. Più tardi,quando era studente all’università di Napoli, cominciò a collaborare al periodico dialettale catanzarese ‘U Strolacu, che aveva come sottotitolo Giornale del popolo serio e umoristico; fu fondato e diretto (dal 1888 al 1893 ) da Raffaele Cotronei, che assunse lo pseudonimo di Lellè.
'A Raggia
Sta cordedda l'avimu 'e spezzara;
Non mi fidu m'a tiru accussì;
Ogne pocu ma t'haju 'e pregara,
Non mi fidu cchiù cridi, Rosi...
L'atru jornu ti vidi a la chiazza:
Mi guardasti de stortu, pecchì?...
Tu ti cridi ca sugnu na mazza
E ca nenta capisciu, Rosì?...
Ti diverti ma fai 'a dispettusa,
E sta vita avveleni, gnorsì:
Ogni pocu mi trovi na scusa...
'A spezzamu sta corda, Rosì?...
domenica 19 settembre 2010
sabato 18 settembre 2010
Le origini di Albi
Non avendo notizie certe sulla nascita di Albi si presume che il primo nucleo abitato sia sorto intorno all'anno 1000 in quello che chiamasi il rione Dardanise. I primi abitanti pare che provenissero dalle zone costiere dello Ionio, risalendo il letto dell’Alli in cerca di un posto tranquillo dalle incursioni piratesche e lontane da contrade spesso teatro di guerra. Il nome Dardanise secondo un’antica leggenda deriva da quello dei capi di un gruppo di persone che si presume provenissero dalla Grecia. Mentre è frutto di un a leggenda il fatto che esso sia nato intorno al 1000 è anche avvalorato dai documenti che citano Roberto il Guiscardo, dominatore normanno che conquistò la cittadina di Taverna, fiorente città dell’epoca, e la conquistò dandola al nipote Baiolardo. Essendo la città di Taverna divisa dai dissidi fra i cittadini preminenti, il Baiolardo per troncare questi, fondò altri vicini villaggi trasferendo quelle famiglie che anziché contribuire a sedare la discordia, tenevano desti gli odi di parte. Per tale motivo nel 1064 uscirono dodici famiglie che fondarono i paesi vicini tra cui quello di Albi che visse le vicissitudini della cittadina di Taverna fino al 1529, quando diventò autonomo.Il biancore delle pietre. Il nome del paese deriva dalla bianchezza delle pietre che abbondavano attorno all’abitato. Sorto probabilmente ai primi del XVI secolo ad opera dei domenicani di Taverna, attratti dalla salubrità del luogo in cui già esisteva una grande fabbrica chiamata comunemente Castello. Nell’ordinamento territoriale disposto dal Gen. Championnet nel 1799 veniva incluso nel Cantone di Catanzaro, mentre per quello disposto dai francesi nel 1806 veniva sottoposto al cosiddetto Governo di Taverna.
La “Trasuta”: sopravvivenza dei “Lupercari”, antichi riti romani. In onore di San Nicola da Tolentino, patrono del paese, il 21 marzo ed il 10 settembre si svolgono solenni festeggiamenti durante i quali, fra l'altro, si benedicono piccoli pani azzimi, poi distribuiti a tutti i fedeli perché li conservino come portentosi antidoti contro malattie gravi, uragani, terremoti e quant'altre calamità o disgrazie dovessero capitare. Ma la vera particolarità di tali festeggiamenti è la «trasuta» (l’entrata): quando il rituale processione arriva davanti all'ampio sagrato, letteralmente coperto dalle banconote offerte dai fedeli, i portatori della statua si dirigono con passi ritmati e veloci verso la chiesa, si fermano prima di varcarne la soglia, tornano indietro, ripartono di nuovo, si fermano..., il tutto per tre volte, in un andirivieni che, fra esplosioni irrefrenabili di tripudio, diventa vera e propria danza. A solo titolo di curiosità: secondo alcuni la «trasuta» — che è più o meno simile ad altre espressioni processionali di altri luoghi, fra cui, ad esempio, il «trasi ed iesci» (Entra ed esci) di Cosenza — sarebbe sopravvivenza dei Lupercali romani, feste in onore di Luperco, dio delle greggi, durante le quali i sacerdoti salivano e scendevano lungo la Via Sera, celebrando con tale andirivieni il Diluvio Universale, quando gli uomini entrarono ed uscirono dall'arca, salirono e scesero dai monti.
Il brigante Pietro Corea (Curia). Nel paese si ricordano le gesta del brigante Pietro Corea (ieri Curia) che, chiuso negli impenetrabili recessi della Sila con una comitiva di fuorilegge, s'era fatta una fama sinistra di brigante inafferrabile e temerario; il ricordo dei suoi audaci colpi di mano si tramanda ancora tra i vecchi albesi ed il suo nome sopravive tenace. Durante il periodo del Regno d'Italia, Pietro si rifiutò di svolgere il servizio militare e per sfuggire alle ricerche dai gendarmi costituì una banda, dando vita a scorrerie e saccheggi che divennero leggendari. Una notte del novembre 1861 quattro guardie di Taverna avevano arrestato, nei pressi di Albi, Francesco Curia, suo padre, per indurlo a consegnarsi, ma la cosa non sortì l’effetto sperato. Contro Pietro fu persino istruito un processo con l'accusa di aver ucciso un fattore. La cosa curiosa e particolare è che il processo fu fatto nonostante Pietro Curia fosse già morto.
La “Trasuta”: sopravvivenza dei “Lupercari”, antichi riti romani. In onore di San Nicola da Tolentino, patrono del paese, il 21 marzo ed il 10 settembre si svolgono solenni festeggiamenti durante i quali, fra l'altro, si benedicono piccoli pani azzimi, poi distribuiti a tutti i fedeli perché li conservino come portentosi antidoti contro malattie gravi, uragani, terremoti e quant'altre calamità o disgrazie dovessero capitare. Ma la vera particolarità di tali festeggiamenti è la «trasuta» (l’entrata): quando il rituale processione arriva davanti all'ampio sagrato, letteralmente coperto dalle banconote offerte dai fedeli, i portatori della statua si dirigono con passi ritmati e veloci verso la chiesa, si fermano prima di varcarne la soglia, tornano indietro, ripartono di nuovo, si fermano..., il tutto per tre volte, in un andirivieni che, fra esplosioni irrefrenabili di tripudio, diventa vera e propria danza. A solo titolo di curiosità: secondo alcuni la «trasuta» — che è più o meno simile ad altre espressioni processionali di altri luoghi, fra cui, ad esempio, il «trasi ed iesci» (Entra ed esci) di Cosenza — sarebbe sopravvivenza dei Lupercali romani, feste in onore di Luperco, dio delle greggi, durante le quali i sacerdoti salivano e scendevano lungo la Via Sera, celebrando con tale andirivieni il Diluvio Universale, quando gli uomini entrarono ed uscirono dall'arca, salirono e scesero dai monti.
Il brigante Pietro Corea (Curia). Nel paese si ricordano le gesta del brigante Pietro Corea (ieri Curia) che, chiuso negli impenetrabili recessi della Sila con una comitiva di fuorilegge, s'era fatta una fama sinistra di brigante inafferrabile e temerario; il ricordo dei suoi audaci colpi di mano si tramanda ancora tra i vecchi albesi ed il suo nome sopravive tenace. Durante il periodo del Regno d'Italia, Pietro si rifiutò di svolgere il servizio militare e per sfuggire alle ricerche dai gendarmi costituì una banda, dando vita a scorrerie e saccheggi che divennero leggendari. Una notte del novembre 1861 quattro guardie di Taverna avevano arrestato, nei pressi di Albi, Francesco Curia, suo padre, per indurlo a consegnarsi, ma la cosa non sortì l’effetto sperato. Contro Pietro fu persino istruito un processo con l'accusa di aver ucciso un fattore. La cosa curiosa e particolare è che il processo fu fatto nonostante Pietro Curia fosse già morto.
venerdì 17 settembre 2010
giovedì 16 settembre 2010
Eolico un enorme affare per la 'ndrangheta Calabrese e Mafia Siciliana.
Nell’ambiente lo chiamavano ”il signore del vento”, una definizione colorita che descrive bene l’immenso impero costruito da un 54 enne,Siciliano di Alcamo, leader nazionale nel settore dell’eolico.Solo negli ultimi otto mesi ha avuto ben 45 autorizzazioni per avviare progetti di parchi eloici in Calabria. Nicastri ha costituito 43 società di capitali in giro per l'Italia di queste 4 hanno sede a Lamezia Terme, (Catanzaro) La timeo 1-2 e la seneca 1-2.A Lamezia aveva trovato anche l'amore sposandosi in seconde nozze con una donna più giovane di 21 anni anche lei indagata.

Socio di una piccola cooperativa che piazzava impianti solari porta a porta, in pochi anni, ha scalato le vette della green economy italiana. Un’escalation sospetta, secondo gli inquirenti, che, dietro tanta fortuna, vedono l’ombra di Cosa nostra. I dubbi degli investigatori, ora, pero’, sono anche i dubbi dei giudici che hanno sequestrato il patrimonio di Nicastri: societa’ e beni per un miliardo e mezzo di euro. L’imprenditore trapanese dovrebbe il suo successo ai soldi dei mafiosi che avrebbero deciso di investire nelle energie alternative. Lo proverebbero i suoi rapporti con il superlatitante Matteo Messina Denaro, considerato il nuovo capo della mafia siciliana, e la sproporzione tra i redditi puliti e l’immenso patrimonio accumulato. Protagonista, negli anni ’90, di una delle tante tangentopoli siciliane, reo confesso, ha patteggiato una condanna per corruzione, ma ha evitato il carcere. In cella, pero’, Nicastri e’ finito l’anno scorso assieme al presidente del Calcio Benevento, entrambi erano accusati di una maxitruffa allo Stato escogitata per avere fondi pubblici per l’energia eolica. Scarcerato, il ”signore del vento”, attualmente e’ libero. Dopo il solare – seppure su scala ‘casalinga’ – l’alcamese ha puntato sull’eolico.
Socio di una piccola cooperativa che piazzava impianti solari porta a porta, in pochi anni, ha scalato le vette della green economy italiana. Un’escalation sospetta, secondo gli inquirenti, che, dietro tanta fortuna, vedono l’ombra di Cosa nostra. I dubbi degli investigatori, ora, pero’, sono anche i dubbi dei giudici che hanno sequestrato il patrimonio di Nicastri: societa’ e beni per un miliardo e mezzo di euro. L’imprenditore trapanese dovrebbe il suo successo ai soldi dei mafiosi che avrebbero deciso di investire nelle energie alternative. Lo proverebbero i suoi rapporti con il superlatitante Matteo Messina Denaro, considerato il nuovo capo della mafia siciliana, e la sproporzione tra i redditi puliti e l’immenso patrimonio accumulato. Protagonista, negli anni ’90, di una delle tante tangentopoli siciliane, reo confesso, ha patteggiato una condanna per corruzione, ma ha evitato il carcere. In cella, pero’, Nicastri e’ finito l’anno scorso assieme al presidente del Calcio Benevento, entrambi erano accusati di una maxitruffa allo Stato escogitata per avere fondi pubblici per l’energia eolica. Scarcerato, il ”signore del vento”, attualmente e’ libero. Dopo il solare – seppure su scala ‘casalinga’ – l’alcamese ha puntato sull’eolico.
mercoledì 15 settembre 2010
Portabella penninu (seconda parte )
Vicino a putica di Coppoletta c’era già “nu muscarizzu e battelli” di ogni età .Io ogni sera che salivo non potevo fare a meno di andare a vedere la mia ex casetta, dove ero nato, stava ancora lì, pericolante come un pugile che dopo aver ricevuto un mare di pugni non vuole crollare,barcolla ma non crolla; ogni volta mi scappavano le lacrime, la ferita era ancora aperta e mai più si sarebbe cicatrizzata .
Ecco Tonino “fidanzatu cu una e ne futtuliava decia” e tutte a pendere dalle sue labbra (domani mi rimetto di nuovo la brillantina) Gianni invece andava quasi ogni sera da un benestante, uno dei pochi,che gli dava sempre… non dei panni, nè tanto meno soldi, ma libri, uno lo consegnava e un altro lo prendeva in prestito, leggeva molto; io molte volte ci avevo provato a leggere qualche romanzo d’avventura ma alla prima pagina gli occhi bruciavano forte, così per evitare pericoli lo riponevo con cura. Mimmo stava sempre vicino a me, ci passavamo pochi giorni essendo nati lo stesso mese (vuoi vedere che il nostro essere imbranati con le donne dipendeva dal segno zodiacale?) Quella sera sucesse qualcosa di strano che solo a distanza di tempo capii veramente. Avevamo fatto tardi, domani era Domenica, la raccolta delle olive erano finite da un pezzo così potevamo fare un po' più tardi, erano quasi le 11 di sera, scendevamo "Portabella penninu" tutti e quattro spensierati, e per essere sincero anche un po' brilli per alcuni bicchieri di vino che avevamo bevuto a na putica. Non si vedeva niente, buio pesto ma noi caminavamo con passo spedito conoscendo a memoria ogni singolo gradino; all'improvviso un vento gelido, il cielo era nuvolo ma una timida luna piena stava per uscire da dietro le nuvole, in pochi secondi un qualcosa ci attraversò, di che cosa si trattava? Io non l'avevo visto bene ma sembrava un cane, si un...........
martedì 14 settembre 2010
Portabella penninu (Prima parte )
La storia che vi racconterò tratta un argomento particolare, all’inizio direte: "io non credo a queste stupidaggini", alla fine quando avrete letto tutto il racconto, come minimo qualche dubbio sorgerà nei vostri pensieri. Siamo negli anni 50, Sellia è divisa in due, anzi in tre, vista la separazione con Sellia Marina nel 1956. Io mi chiamo Nicola (nome di fantasia ) abito nel nuovo rione Madonna della Neve in una delle tante casette costruite dopo il terribile alluvione del 1943, ho fatto 17 anni da poco, ovviamente senza nessuna festa come invece è consuetudine fare oggi; avevamo ben poco da festeggiare, da lì a pochi mesi sarei partito per sempre nel nord Italia alla ricerca di fortuna come anche quasi tutti i miei amici. Lavoro zero, prospettive future rimanendo a Sellia sotto zero ,dunque si era costretti ad emigrare, anzi io ero un po’ più fortunato. Alcuni miei ex compagni di scuola erano partiti a quindici, sedici anni. Mi piangeva il cuore, io volevo rimanere a Sellia ma la famiglia nutriva aspettative su di me che ero il più grande, e lavorando avrei potuto aiutarla spedendo mensilmente dei soldi, come del resto lo facevano in molti, facendo arrivare puntualmente i soldi alla posta anche dall’America. La sera ci ritrovavamo con i miei tre inseparabili amici pronti per salire a Sellia, lì era il nostro cuore, avendoci vissuto l’infanzia gli anni più belli, più spensierati. Salivamo quasi ogni sera, non potevamo starne lontani. "I barraccuni”(cosi venivano chiamate le prime casupole di legno costruite nell’immediato dopo alluvione) non ci appartenevano, troppo fredde, case tutte uguali costruite senza la percezione degli spazi. Ecco che arrivano gli altri: Tonino “u fimminaru “ era proprio "nu sciupa femmin"e era arrivato alla sua 4° fidanzata, metteva nei capelli una specie di brillantina che attirava le donne come mosche (anch’io provai diverse volte a mettermi la brillantina ma ottenevo con le donne l’effetto opposto (attirando solo mosche). Ecco che arriva Gianni "u chju mala cummenatu" metteva sempre panni riciclati all’infinito, non è che noi vestivamo meglio, ma almeno le nostre mamme erano brave a camuffare con vari accorgimenti i vari panni messi e rimessi, la mamma di Gianni lavorava a giornata nei campi, suo papà invece non era più tornato a casa dopo la grande guerra dato per disperso, il suo corpo non era stato ritrovato. Ultimo come al solito arrivava Mimmo, mi sollevava vederlo perché ogni volta che pensavo al mio........
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