giovedì 17 novembre 2011
Storia vera di due ragazzi catanzaresi che diventano famosi sul web arrivando anche sulla rivista il "Millionaire" il tutto grazie al sexyshop
Segnatevi questi nomi: Arnaldo Bianco, anni 27 studi universitari di odontoiatria alle spalle e Domenico Perri di anni 30 con una laurea in Ingegneria informatica. Sono soci del più grande sexy shop on line del mondo. E sono di Catanzaro. La loro idea e la loro azienda hanno già ricevuto due premi: idea dell’anno e Franchising dell’anno. Millionaire gli ha dedicato un articolo con tanto di foto da star. Il mondo gli sta regalando fama, soldi e successo professionale. Insomma, i due giovani imprenditori hanno fatto boom e mangiando pane, idee ed eros hanno sfondato. Ma andiamo per ordine.
La storia: E’ il 2009 quando Arnaldo Bianco e Domenico Perri si incontrano per caso ad una riunione di un partito politico. Entrambi andati per caso, per trascorrere il tempo e (forse) sfottere i protagonisti sul palco. Una stretta di mano, una discussione, un’idea. Eccola, è nata una simbiosi perfetta. La testa ha incontrato il suo corpo. Domenico e Arnaldo diventano una cosa sola. La passione infinita per il web definito come “un mondo illimitato che conosce solo la lungimiranza, ci ha fatti diventare amici e soci in un solo giorno”. E’ impressionante e quasi impossibile ma l’indomani a quell’incontro sul web è online www.sexxxyshop.it , un sito che propone articoli di erotismo “e non di pornografia, perché non serve per fare soldi”. Dopo una settimana nasce la loro società e l’idea è di assoluta innovazione. “Abbiamo creato – dice Arnaldo con gli occhi di chi è solo all’inizio della scalata – un negozio virtuale capace di realizzare i sogni degli italiani, il vero popolo eros del mondo. La gente può scegliere tra 25mila articoli: calzature, intimo, vibratori e preservativi particolari. C’è di tutto e io nemmeno conosco la gran parte dei prodotti in vendita. I nostri collaboratori fanno della indagini di mercato e poi creano dei prodotti che ritengono possano funzionare, ci sono anche vibratori per iphone. Io e Domenico sapevamo dove volevamo arrivare e ogni giorno ne pensiamo una. La cosa funzionava e abbiamo deciso di creare il primo franchising online del mondo”.
Boom! La società fa il botto che da Milano si sente a Palermo. I due giovani imprenditori catanzaresi conquistano Romania, Montenegro, Inghilterra, Svizzera e Germania. Gli affiliati a sexxyshop.it sono 30 in meno di 3 mesi. E’ record! Beccano il premio in Francia come idea dell’anno e primo franchising esistente sul pianeta web. E’ sexxxyshop mania, è idea vincente, è fama.
mercoledì 16 novembre 2011
Otto anni di reclusione per Chafik El Ketani il Marocchino che a bordo della sua auto investì un gruppo di ciclisti uccidendone otto.
La decisione del Gup di Lamezia, Carlo Fontanazza, sulla
strage del 5 dicembre scorso. I familiari delle vittime: “Una pena
troppo lieve che ci sorprende”
LAMEZIA TERME. Otto anni di reclusione: questa la condanna inflitta dal gup di Lamezia Terme a Chafik El Ketani, di 21 anni, il marocchino che il 5 dicembre scorso, a bordo della sua auto, a Lamezia Terme, investì un gruppo di ciclisti amatoriali uccidendone sette. Un ottavo morì dopo alcuni mesi. Il pm aveva chiesto la condanna a 10 anni per omicidio colposo plurimo pluriaggravato, tra l’altro, dalla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Il gup Carlo Fontanazza ha concesso ad El Ketani le attenuanti generiche, riducendo così la pena inflitta rispetto alle richieste. Ieri mattina, prima che il giudice si ritirasse per la camera di consiglio, il difensore di El Ketani, l’avv. Salvatore Staiano, aveva sostenuto che il suo assistito non guidava sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e non c’era neanche la certezza dell’eccesso di velocità, chiedendo una condanna più mite. Il legale aveva anche detto di avere chiesto al suo assistito di presentarsi in aula, ma che il giovane marocchino non se la sentiva di guardare in faccia i familiari delle vittime. Dopo Staiano aveva preso la parola il pm per una breve replica. Nell’incidente morirono Rosario Perri, di 55 anni; Francesco Stranges (51); Vinicio Puppin (47); Giovanni Cannizzaro (58); Pasquale De Luca (35), Fortunato Bernardi (58) e Domenico Palazzo (46). Nell’ospedale di Cosenza, a distanza di due mesi, morì Domenico Strangis, di 48 anni- Una pena troppo lieve: è unanime il giudizio dei familiari degli otto ciclisti travolti ed uccisi. “La pena ci sorprende - ha detto Gennaro Perri, che quel giorno si salvò per miracolo e nello scontro ha perso il fratello, Rosario - anche perché lui, intanto, sta comodamente a casa sua e va anche su facebook mentre ha travolto la vita di tante famiglie. Per quello che ha fatto è una pena lieve, un anno per ognuna delle vittime”. I familiari di un’altra vittima, Vinicio Puppin, si limitano a dirsi “delusi” preferendo evitare di fare altri commenti. Fabio Davoli, avvocato, anche lui nel gruppo dei ciclisti travolti ed uscito illeso, ha attribuito la responsabilità di una sentenza....
martedì 15 novembre 2011
Usanze, credenze, riti sui defunti nella tradizione popolare
Il culto dei morti è da sempre elemento principale di tutte le culture sacre
subalterne popolari e presente in molti aspetti folkloristici tradizioni ancora attuali. Questa ricerca sull’antropologia del lutto, ha lo scopo di individuare un archetipo comune al rituale funebre del cordoglio e alle sue varie manifestazioni.
Uno tra i più significativi rituali del cordoglio è quello della lamentazione funebre le cui tracce si perdono nella notte dei tempi. Per poter introdurci nel viaggio verso i sacri “lynos” dobbiamo però partire dalle tradizioni lucane, forse la regione che più di tutte ha conservato il ricordo di questo antico rituale.
Il lamento funebre lucano ed in particolare la “lamentazione professionale”, è una pratica in via di dissolvimento o praticamente già dissolta della quale rimane solo il vago racconto delle anziane donne rivisitato in un’ottica di malcostume o vergogna.Ancora oggi accade che al
dolore delle famiglie luttuate si unisca il cordoglio di altre persone,
soprattutto quelle che da poco son state colpite a loro volta da un lutto, ma
non si può parlare di vere lamentatici con l’accezione arcaica del termine, è
solo un modo per rivivere e riproporre il proprio dolore personale o esprimere
cordoglio a persone che, anche se non strettamente legate da parentela, erano
comunque conosciute nel piccolo paese ove vivevano. Del resto non possiamo
dimenticarci il contesto geografico dal quale parte questa ricerca: i paesi più
interni della Basilicata ove isolamento e arretramento fanno ancora avvertire al
contadino la sua stretta dipendenza dalle indomabili forze naturali(A. di Nola,
1976). E’ proprio questo status vivendi che ha permesso il perdurare di questi
antichissimi ricordi, poi in parte trasformati dall’influenza
cristiano-cattolica in una forma sincretica che è tipica del Cristianesimo
locale ed autoctono e che si esprime in quel cattolicesimo popolare intessuto di
influenze ed elementi “pagani”.Così il defunto anche
nell’aldilà continuerà a condurre una vita non molto dissimile da quella
terrestre “ora ti debbo dire cosa ti ho messo nella cassa:una camicia nuova, una
rattoppata, la tovaglia per pulirti la faccia all’altro mondo, due paia di
mutande una nuova e una con la toppa nel sedere, poi ti ho messo la pipa tanto
che eri appassionato al fumo”La lamentazione funebre poi sembrerebbe un rituale
legato al mondo agrestenoi contadini e le persone per bene andiamo
al cimitero e piangiamo sulle nostre tombe…le persone per bene vengono al
cimitero ma non piangono…le persone ricche piangono sì, ma non come noi
pacchiani, noi che siamo villani e contadini piangiamo di più….”Un particolare che ci ritornerà utile nel proseguo
dello studio.
Tutto il rituale segue delle ben precise regole che fanno della tradizione una
vera e propria “tecnica del pianto”. La lamentazione
si presenta con un testo di cui “si sa già cosa dire”, secondo modelli
stereotipati. Normalmente non appaiono elementLa lamentazione
si presenta con un testo di cui “si sa già cosa dire”, secondo modelli
stereotipati. Normalmente non appaiono elementi cristiani, invocazioni a Gesù,
alla Vergine, ai Santi, anzi…vi è quasi una forma di protesta nei loro confronti
“oh che tradimento ci hai fatto Gesù”La prima fase è
quella del ricordo del defunto “o marito mio buono e bello, come ti penso” poi
il suo lavoro la lamentatrice fa sempre riferimento al tema delle mani del morto“sei morto con la
fatica alle mani”, poi il ricordo di tempi belli “quanne scimme a” per poi
inserire frasi sarcastiche del tipo “oh il vecchio che eri” per persone giovani
o “oh che male cristiane” per indicare uomo d’abbene.Poi viene la descrizione
della condizione in cui viene a trovarsi la famiglia, così per la neo sposa il
lamento delle nozze non ancora consumate, per la vedova il duro lavoro che
l’aspetterà, per i figli la mancanza del padreper poi avere quasi un piccolo
rimprovero per la morte prematura “come mi lasci in mezzo alla via con tre
figli”Si passa poi al
modulo “ora vien tal dei tali” che a sua volta risponde “chi è morto” per
infine ricordare le vicende tra il defunto e questa persona “…non ti verrà più a
chiamare alle 3 del mattino…”
Particolare importanza acquista quella che potremmo definire la mimica del
cordoglio, l’oscillazione corporea, perfettamente integrata al suono, come in
moltissime tradizioni sciamaniche afro-amerinde, con una funzione quasi ipnogena
( E. De Martino, 1959) molto simile anche a quella delle lamentatrici
palestinesi o arabe.
Interessante è la mimica del fazzoletto agitato sul corpo del defunto per poi
essere portato al naso in una continua incessante ripetizione dell’elemento
gestuale.Anche questa
gestualità avrebbe un atavico archetipo, così infatti la ritroviamo tra le
lamentatici egizie. Qui il “gesto” sembrerebbe chiaramente destinato ad una
forma di protezione dal defunto: Un solo braccio è portato verso il capo mentre
l’altro si distende avanti con la palma della mano rovesciata. Gesto che poi ha
assunto una valenza di saluto più che di difesa.Tradizioni rituali di questo tipo sono presenti
anche in altre parti di Italia, quasi ad individuare un comune denominatoreE’ così ad esempio simili tradizioni le troviamo
in Sardegna o più lontano in Brianza ove Il curato di Casiglio scrive come l'uso
della lamentazione funebre sia ancora ben presente nel suo borgo, ancora nel XV
secolo, benché proibito, e sarà lo stesso Carlo Borromeo che, assistendo ad un
funerale a Predama, in Val Varrone, rimase fortemente sconcertato.Le prefiche le ritroviamo nel
leccese ove sono chiamate
“repite” e nell’area abruzzese molisana.Tradizioni simili
sono presenti anche in Valtellina ed in Sardegna. Antonio Bresciani così ci
descrive l’usanza tra le donne sarde:“In sul primo entrare, al defunto,
tengono il capo chino, le mani composte, il viso ristretto, gli occhi bassi e
procedono in silenzio…
Secondo il rapporto annuale "BCC Mediocrati" in Calabria si registra il primato Nazionale della presenza di giovani imprenditori
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