Non mandavano i figli a scuola, denunciati nel Catanzarese | |||
Non avrebbero mandato i figli a scuola, omettendo di vigilare sulla frequenza delle lezioni dell’obbligo. Per questo, quattro genitori sono stati denunciati dai Carabinieri della Compagnia di Sellia Marina nell’anbito di appositi controlli messi in atto negli istituti scolastici presenti sul territorio di competenza. La denuncia è scattata nei confronti di F.G., 69 anni, di Petronà; B.C., 70, di Petronà; D.F.R., 56, di Simeri Crichi; P.M., 52, anch’egli di Simeri Crichi, tutti genitori esercenti la patria potestà su minori che non hanno frequentato... |
venerdì 9 marzo 2012
Denunciati quattro genitori di Simeri Crichi e di Petronà per non aver mandato i figli a scuola.
Arriva il verdetto sull' operazione "Crimine" dieci anni a don Mico Oppedisano ma anche 34 assoluzioni.
Molte anche le riduzioni di pena. La sentenza non ha lasciato completamente soddisfatti. La condanna più pesante al boss Giuseppe Commisso di Siderno (14 anni e 8 mesi di carcere)
Il procuratore aggiunto di Reggio Michele Prestipino lascia l’aula bunker velocemente. Con lui tutti gli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Dire che la sentenza del processo “Crimine” emessa dal gup Giuseppe Minutoli li ha soddisfatti è un po’ una forzatura. Trentaquattro assoluzioni su 126 imputati sono tante. Così come sono state parecchie le riduzioni di pena, determinate dalla concessione delle attenuanti generiche, rispetto alle richieste di condanna formulate dalla Procura della Repubblica. La pena più pesante, infatti, è stata quella comminata al boss Giuseppe Commisso di Siderno (14 anni e 8 mesi di carcere). Dieci anni di reclusione, invece, sono stati inflitti all’anziano boss Domenico Oppedisano, indicato dalla Dda come il “capo crimine” della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Un ruolo che Oppedisano avrebbe rivestito nell'annuale riunione al Santuario di Polsi, durante la quale gli affiliati discutono e cercano di trovare soluzioni circa i contrasti tra i vari locali di ‘ndragheta. Per entrambi, la Dda aveva chiesto 20 anni di carcere. Commisso e Oppedisano sono stati processati con il rito abbreviato assieme ad altri 126 imputati. Una quarantina, invece, hanno scelto il rito ordinario e, nei mesi scorsi, sono stati rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Locri. Il processo “Crimine” è nato dalla maxioperazione che il 13 luglio 2010 aveva stroncato le cosche reggine e quelle di Milano. Stando alla Direzione distrettuale antimafia la `ndrangheta si sarebbe strutturata con un organo superiore, detto “Provincia”. Una ricostruzione che, in passato, non aveva mai ricevuto il sigillo di una sentenza definitiva, anche se tracce della “Provincia” si trovano nei fascicoli dei maxi processi “Olimpia” e “Armonia”. Nonostante le forti riduzioni di pena, in una nota stampa della Procura della Repubblica, si legge che «la sentenza odierna del gup di Reggio Calabria riconosce l'esattezza della ricostruzione della struttura e degli assetti della 'ndrangheta, quale emersa dall'indagine Crimine condotta dalle Dda di Reggio Calabria e di Milano».«Il giudice riconosce, infatti – è scritto sempre in un comunicato stampa –, l'esistenza della 'ndrangheta quale organizzazione unitaria, articolata su una struttura complessa, governata da un organo di vertice e radicata in Calabria e con estensioni fino oltre oceano. La sentenza ribadisce quanto sul punto era già stata affermato da altre importanti decisioni pronunciate dal gup di Milano il 19 novembre 2011 e da quello di Reggio Calabria il 15 giugno 2011. Riconoscendo, assieme a queste decisioni, l'unitarietà dell'organizzazione 'ndrangheta e l'esistenza di un organismo di vertice, la sentenza di oggi costituisce un dirompente elemento di novità e rappresenta un fondamentale passaggio nell'azione di contrasto alla 'ndrangheta in Calabria e ovunque essa abbia messo radici. Va aggiunto, inoltre, che il gup ha riconosciuto la responsabilità di 94 imputati, condannando, in particolare, tutti i principali esponenti delle cosche calabresi».
A pochi giorni dal suo trasferimento a Roma, il procuratore Giuseppe Pignatone (che non ha assistito alla lettura del dispositivo) ha sottolineato che la sentenza “Crimine” «è l’ulteriore conferma del lavoro condotto in questi anni dalla Procura antimafia di Reggio Calabria per delineare il fenomeno mafioso in provincia di Reggio e le sue diramazioni in Italia e all'estero». Prima di abbandonare l’aula bunker, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri si limita a sottolineare che «l'impianto accusatorio comunque ha tenuto. Bisogna ora aspettare di leggere le motivazioni per capire come il gup sia arrivato alle determinazioni del conteggio della pena, delle condanne e delle assoluzioni».
Una sentenza coraggiosa che non lascia completamente soddisfatti.
giovedì 8 marzo 2012
8 marzo 2012 dedicato in modo particolare a Lea,Concetta,Giuseppina tre donne coraggiose nella terra spesso amara di calabria
Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano della Calabria , da alcune settimane ha lanciato dalle colonne del giornale la campagna "Tre foto e una mimosa", in vista dell'8 marzo. L'idea è quella di aprire un dibattito sul tema delle madri, sorelle, figlie, mogli di 'ndranghetisti che hanno deciso di ribellarsi a un contesto in cui nulla è scontato. Dice Cosenza: "Nascono in ambienti tristi, vivono infelici anche perché la morte dispensata senza pietà è un boomerang sempre in movimento, ed hanno un futuro amarissimo. Ecco perché dobbiamo inchinarci davanti a Giuseppina, Maria Concetta e Lea. Nonostante tutto sono riuscite a capire che vivevano nel male e hanno trovato il coraggio di dire: basta, non deve andare così, noi e i nostri figli dobbiamo vivere in pace
Un'iniziativa a cui in Calabria continuano ad arrivare centinaia di adesioni di associazioni, sindacati e movimento. Ogni realtà sta organizzando il suo 8 Marzo nel nome di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce. Ci saranno dibattiti, convegni, volantinaggi cercando di dare un senso diverso alla festa. Sapendo che proprio le donne possono essere decisive nalla lotta alla 'ndrangheta, soprattutto quelle che la "famiglia" l'hanno vissuta dal suo interno.
Le donne che si ribellano sono devastanti per le organizzazioni criminali. Sanno tutto dei clan di cui hanno fatto parte, quando iniziano a collaborare le cosche franano. Le pentite di 'ndrangheta sono bombe a frammentazione, letali per i cosche, perché ne conoscono gli affari, i pensieri e le debolezze. Le donne hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nella 'ndrangheta, nel bene e nel male. Inizialmente non erano operative, ma solo "le custodi del sangue". Ora però si sono fatte spazio ritagliandosi compiti importanti. L'inchiesta Artemisia del 2009 sulla faida di Seminara, ha ricostruito le storie di sei di loro. Tra queste spicca la figura di Concetta Romeo "a 'ngrisa" (l'inglese) che, secondo l'accusa, ha prima istigato un tentativo di omicidio pretendendo vendetta, e poi vi ha partecipato seguendo il bersaglio e facendo da palo. Le cronache degli ultimi tre anni parlano spesso di donne. Donne esattrici come le mogli dei Pesce di Rosarno, oppure custodi degli arsenali come le sorelle di Giovanni Strangio (killer di Disburg), più comunemente staffette, porta ordini dalle carcere all'esterno. O anche con veri e propri ruoli di vertice in sostituzione di padri e fratelli sepolti dalle condanne al 41bis.
carrellata di proverbi calabresi sulle donne.L'antica sapienza dei proverbi "subbra i fimmini calabrisi"
'A fìmmana hava 'i capìlli longhi e 'a memòria curta (la donna ha i capelli lunghi e la memoria corta).
- Si voi mu ti dicu 'a
fìmmana com'è? È comu 'na codàra chi comu a giri ti tingi 'sembra (vuoi che ti dica come
è la donna? - È come una caldaia che ti tinge comunque).
- 'A fìmmana è 'a ruvìna 'i
l'òminu (la donna è la rovina dell'uomo).
- Non tutti 'i segreti si
cùntanu a ri fìmmini (non tutti i segreti si confidano alle donne).
- A fìmmina di vinu non vali
‘nu carlìnu.
- A fìmmina e ‘a gallìna si
perda si camina.
- A fìmmina è comu ‘a
campana: si ’a scòtuli non sona.
- A fìmmina è comu ‘a
castagna: bella di fora e dintra nc’è ‘a magàgna.
- A fìmmina è comu ‘a crapa:
mangia centu voti e non è mai sazzia.
- A fìmmina è comu ‘a
minestra, si n”a pìgghji ngiru ngiru ti vrusci.
- A fìmmina è comu ‘na canna
vacanta.
- A fìmmina avi mu parra
sulu quando pìscia ‘u gàllu.
- A fìmmina è santa in
chjèsa e diavulu ‘ncasa.
- A fìmmina fa ‘a casa e
‘a fìmmina ‘a sdirrùpa.
- A fìmmina jètta ‘u niru
comu ‘a sìccia.
- A fìmmana misi ‘u diavulu
‘ntr’a buttìgghja.
- A fìmmina vacabbùnna non
si marita.
- A fìmmina e ‘a rrobba
d’atri sugnu sembra mègghju.
- A fìmmina senza statu è
comu ‘u pana senza levàtu.
Si sa che la donna è il
simbolo della bellezza. E quando bella non è?
- Bella vestùta comu 'na
regìna, brutta scazùna comu 'na gallìna
- Bruttu lu surbu e brutta a surbàra, ma tu sî cchjù brutta di la malanòva
Però la
donna, volendo, poteva difendersi dicendo:
- Brutta non sugnu e bella
non mi tegnu, ma 'nd"ê pari mei ngi pozzu stari
L'uomo
rincarava la dose, dicendo:
- A ra lucia d"a lumèra ogni
fìmmina ch'è brutta para bèlla (alla luce della lucerna ogni donna brutta sembra
bella. Ma di giorno?).
Ma la
donna, «chi ndi sà una cchjù d"u diàvulu»
(che ne sa una più del diavolo), rispondeva di rincalzo:
- Bellìzzi e ricchìzzi non
sembri dùranu (bellezze e ricchezze non hanno lunga durata).
Oppure:
- No nc'è bella senza
difettu, no nc'è brutta senza simbatìa (non c'è bella senza difetti, non c'è
brutta senza simpatia).
E l'uomo,
non volendo demordere:
- 'U sàbatu si chjàma
allegra cori pe' cu' teni bella la mugghjèri, cui l'havi brutta ngi scura lu
cori e prega mai lu sàbatu nun veni (il sabato si chiama allegra cuore per chi ha
una bella moglie, ma chi ce l'ha brutta si rattristisce e prega affinché il
sabato non venga mai).
Ma qualche
volta l'uomo sapeva anche essere gentile e galante:
mercoledì 7 marzo 2012
Magisano il corpo forestale denuncia due persone per abusivismo edilizio per dei muri in cemento armato privi di ogni autorizzazione
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