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sabato 30 aprile 2022

Il borgo fantasma alle pendici della Sila con i suoi 2 ultimi abitanti, Giovanni e Maria, che alla bella età che supera gli ottanta anni, non vogliono spegnere la fiammella di vita.

 

Tutti vivevano grazie alla terra e ai suoi frutti. Ci sono ancora evidenti le tracce di una storia antica fatta di aspri confronti tra i monaci greci di Caccuri e quelli florensi di Gioacchino da Fiore. E c’è la storia della ‘Patìa’, un monastero che era sorto in quei luoghi di pace e di silenzio.


 Fantino oggi è quasi un ammasso desolante di caseggiati, come lo descrive in un recentissimo e documentatissimo libro, Antonio Talerico, ingegnere che ha lasciato il borgo con la famiglia insieme a tutti gli altri, ma l’amore per questi luoghi è rimasto intatto. I ‘fantinisi’ hanno creato un’associazione che tiene vivo il ricordo del loro borgo, ogni tanto promuovono qualche iniziativa e ogni anno a settembre organizzano la processione del patrono ‘San Giuvanniellu’. Fino agli anni ‘70-‘80 qui vi abitavano tra le 600 e le 800 persone, poi la lenta e incessante emigrazione verso il nord, verso l’Europa e le Americhe. L’agricoltura non bastava più a soddisfare le esigenze delle nuove generazioni, per come per un secolo aveva reso autonomo il Borgo. La distanza e l’isolamento erano sempre più insopportabili: perfino arrivare a San Giovanni in Fiore e Caccuri era stancante.

 Sono rimasti solo loro, Giovanni e Maria, che  alla bella età che supera gli ottanta anni, non vogliono spegnere la fiammella di vita che arde sempre più stancamente nel borgo sperduto di Infantino (o Fantino). Un’oasi incantevole che si adagia alle pendici dell’altopiano della Sila, là dove comincia l’alta Valle del Neto, mentre l’antico marchesato di Crotone si distende fino al mare. La vallata è impressionante nella sua interminabile estensione e nella bellezza di quei luoghi accarezzati dal vento, dal sole e da un definitivo silenzio. Si vedono chiaramente i campi floridi di frutteti, vigneti, i resti di ricoveri per asini e muli, capre, bovari e mandrie, dentro un grande afflato d’umanità e di immensa solidarietà. Nessun servizio, nessun collegamento, la chiusura delle ultime aule scolastiche. Poi l’aria di modernità che era arrivata anche tra le case di quel villaggio ha fatto tutto il resto. E tutto ha spazzato via. La coppia di anziani resiste: «Noi stiamo bene, abbiamo fatto qui la nostra vita, abbiamo una bella casetta. Perché dovremmo andarcene?», dice Giovanni che a Infantino è nato e cresciuto. Maria la sentiamo parlare a lungo e a voce alta al telefonino. È tranquilla e sembra felice. Il padre di Maria era del villaggio ma si era trasferito fuori da tempo. Poi lei ha sposato Giovanni e vi è ritornata definitivamente. Di recente una coppia più giovane ha deciso di abitare nel villaggio. Le case stanno inevitabilmente accartocciandosi. I tetti sono i primi a crollare. Ma il villaggio ha ancora una buona e autonoma condotta di acqua potabile e una funzionante rete fognaria. Qualcuno ha ristrutturato le casette in pietra. Chissà! C’è la piccola e bella chiesa costruita dall’attivissimo ‘parroco delle periferie’,  mons. Carlo Arnone, che ha speso la sua vita a servizio di borghi e quartieri dimenticati. Andiamo .....................

mercoledì 16 dicembre 2020

La bella storia del centenario Aldo nativo di Zagarise con la tenacia da vero Calabrese ha superato una brutta caduta e dribblato il covid.

  Aldo originario di Zagarise CZ  ha combattuto la seconda guerra mondiale e vive da tempo in Umbria. Con la tempra di vero Calabrese ha 100 anni  supera una brutta frattura al femore e ‘dribbla’ il Covid



Aldo Martino è abituato alle sfide. Nato a Zagarise nell’ottobre del 1920, ha combattuto la seconda guerra mondiale in Libia dove è stato fatto prigioniero dagli inglesi. Poi è stato per sei anni in India, poi in America. Compiuti i 100 anni lo scorso 26 ottobre, ha dovuto fare i conti con l’ennesima sfida, una brutta frattura del femore che quasi sempre si rivela fatale per gli anziani di quell’età. Eppure “nonno Aldo” ha superato anche questa, stupendo il personale sanitario di Villa Cecilia che non si aspettavano una ripresa così rapida. In più, il “calabrese di ferro” ha anche evitato il Covid, pur essendo venuto a contatto con un congiunto risultato positivo. Con il carattere forte e tenace da vero  calabrese che non si arrendono mai. Uno straordinario esempio viene dal centenario Aldo Martino, originario di Zagarise, che in Umbria – regione dove risiede da svariati anni – è riuscito a sconfiggere una brutta frattura del femore e “dribblare” il Covid. Risultato: contro ogni previsione, “nonno Aldo” è tornato con le sue gambe a casa per festeggiare il Natale con i suoi cari e in particolare con le figlie Florence e Carmela che vivono a Perugia. Questa bella storia ha suscitato molta commozione in Umbria e anche i giornali locali se ne sono occupati, mettendo in risalto l’efficienza di una struttura di riabilitazione di Passignano sul Trasimeno, ma .... soprattutto la fibra indistruttibile di questo calabrese davvero speciale.

mercoledì 30 novembre 2016

Paradiso e inferno come sono al loro interno ? «Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno» Racconto (con video) da leggere e meditare

Un sant'uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese: «Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno»
Dio condusse il sant'uomo verso due porte.
Ne aprì una e gli permise di guardare all'interno.
C'era una grandissima tavola rotonda.
Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo
dal profumo delizioso.
Il sant' uomo sentì l'acquolina in bocca.
Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall'aspetto livido e
malato.
Avevano tutti l'aria affamata.
Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati al le loro braccia.
Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma
poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano
accostare il cibo alla bocca.
Il sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: "Hai appena visto l'Inferno".
Dio e l'uomo si diressero verso la seconda porta.
Dio l'aprì.
La scena che l'uomo vide era identica alla precedente.
C'era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire
l'acquolina.
Le persone intorno alla tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi
manici.
Questa volta, però, erano ben nutrite, felici e conversavano tra di loro
sorridendo.
Il sant'uomo disse a Dio :
«Non capisco!»
- È semplice, - rispose Dio, - essi hanno imparato che.........

domenica 6 dicembre 2015

Il miracolo di San Nicola sui tre bambini

I tre bambini



Le storie di S. Nicola non sono state narrate tutte allo stesso modo. Ogni popolo le ha rielaborate secondo la sua sensibilità. Ogni copista medioevale ci metteva del suo, quando proprio non incorreva in qualche errore di traduzione o copiatura. Da una di queste sviste nacque la leggenda di S. Nicola più famosa in occidente.


L'episodio più importante e più storicamente documentato è quello che vide il nostro Santo intervenire a salvare tre innocenti dalla decapitazione, fermando la spada del carnefice. Da qualche tempo però, nel mondo cristiano la parola innocenti veniva spesso usata come equivalente di bambini (pueri). Così, ad esempio, i bambini uccisi dal re Erode (per timore che fra essi sorgesse il re d’Israele) avevano dato adito alla festa degli innocenti, che si celebra dopo il Natale. D’altra parte, nelle storie di S. Nicola raramente si diceva che aveva salvato tre uomini oppure tre cittadini di Mira. Per abbreviare e per indicare l’innocenza di quei condannati a morte, più spesso si diceva che Nicola aveva salvato tre innocenti. A quel punto qualche scrittore fece un pò di confusione, affermando che Nicola aveva salvato tre bambini, invece di dire che aveva salvato tre innocenti.

Il primo a dare questa erronea traduzione sembra che sia stato Reginold, uno scrittore tedesco che nel 961 dopo Cristo fu eletto vescovo proprio per aver scritto una bella Vita di S. Nicola intercalata da brani in musica. Invece di innocentes Reginold usa il termine pueri, insinuando nella mente dei fedeli che si trattava di una storia diversa dall’episodio della liberazione di tre innocenti dalla decapitazione. Nel coro di circa un secolo e mezzo la “storia” dei bambini salvati da S. Nicola entrò anche negli inni sacri e poco a poco venne elaborato un racconto vero e proprio seguendo due linee principali.

Secondo una prima versione, il fatto sarebbe accaduto mentre Nicola si recava al concilio di Nicea. Fermatosi ad un’osteria, gli fu presentata una pietanza a base di pesce, almeno a quanto diceva l’oste. Nicola, divinamente ispirato, si accorse che si trattava invece di carne umana. Chiamato l’oste, espresse il desiderio di vedere come era conservato quel “pesce”. L’oste lo accompagnò presso due botticelle piene della carne salata di tre bambini da lui uccisi. Nicola si fermò in preghiera ed ecco che le carni si ricomposero e i bambini saltarono allegramente fuori dalle botti. La preghiera di Nicola spinse l’oste alla conversione, anche se in un primo momento questi aveva cercato di nascondere il suo misfatto.

La seconda versione della leggenda non parla...

domenica 31 maggio 2015

" Sutta u mantu da Madonna " Riproposizione per l'ultimo giorno del mese di maggio dedicato alla Madonna del racconto inedito ambientato nell'antico borgo di Sellia






Abbiamo avuto modo di raccontare del  forte attaccamento, del  smisurato amore che il popolo Selliese da sempre porta verso la Madonna, il quale nell’antico borgo durante i vari secoli si è espresso con le chiese dedicate all’Immacolata del S.S. Rosario alla Madonna della Neve e del convento della Madonna delle Grazie. Il racconto che andrò a narrarvi è  successo nel secolo scorso proprio nel mese di Maggio mese dedicato alla Madonna. In  quei tempi le processioni erano due una la prima domenica di maggio l’altra ultimo giorno del mese la quale si svolgeva di sera con una bella fiaccolata. Il nuovo Arciprete era da poco arrivato a Sellia conoscendo ben poco delle tante tradizioni che organizzavano soprattutto le due congreghe. Dopo la Messa la processione tardava causa un forte vento che ne impediva la partenza. I tantissimi bambini erano già pronti su due file i maschietti da un lato le femminucce dall’altro. Erano veramente tanti; tra di loro vi era una minuscola bambina che causa la malaria (malattia molto comune all’epoca) piano piano la stava spegnendo. Aveva quasi sempre la febbre è quella sera bruciava ancora di più. Dopo un bel po’ che si aspettava che il vento diminuisse il suo impeto, l’Arciprete rivolgendosi ai tantissimi fedeli disse che la processione per quell’anno non si sarebbe svolta,  ormai passate le 9 di sera ne tantomeno si poteva rimandare al giorno dopo perche non avrebbe avuto più senso. I tantissimi fedeli presenti mugugnarono un bel po’ invitando il giovane prete di aspettare ancora un po’ Verso le 10 di sera il vento sembrava un po’ meno violento la processione stava per partire ma il giovane prete avendo notato le precarie condizioni di salute della piccola con la malaria invito la madre di portarla subito a casa, la madre quasi offesa con un gesto di stizza si mise “U Maccaturu” nero in testa (segno dei vari lutti) girandosi di  spalle si allontanò lasciando la piccoletta al suo posto in fila, il giovane prete stava per reagire quando il priore avvicinandosi le disse all’orecchio:  “Arciprè sta battella forsi nun arriva mancu a domana, lassatila ma si fa sa prucessiona, u viditi puru vui comu è tutta cuntenta ma sta vicina a ra Madonna” il giovane prete ancora un po’ contrariato ma vedendo come la piccola ci teneva a farsi la processione fece partire il  lungo corteo, le tantissime luminarie facevano brillare il volto della Madonna, il vento anche se molto diminuito  si faceva spesso sentire con delle volate furiose, in una di questa il bellissimo manto della Madonna si staccò volteggiando nel cielo stellato, tutti l’osservavano preoccupati con il serio rischio che poteva finire nel burrone, invece con una traiettoria quasi pilotata si depose sulla piccola bambina malata coprendola tutta. In molti accorsero verso la piccola ma nessuno osava sollevare il manto quasi come se avessero paura  per le sorti della piccola. L’arciprete con cura lo sollevo. Fine prima parte 

A seguire la seconda parte del racconto trascritto in esclusiva da Sellia racconta


giovedì 5 febbraio 2015

Racconto di Giacomino vecchio eremita che dimorava in Sila, nato a Sersale girava con la sua curiosa bisaccia dove non mancava mai la Bibbia.

Una rarissima foto di Giacomino
Giacomino l’eremita della Sila Molti forse non ne hanno mai sentito parlare, ma chi ha una certa età si ricorderà dell’eremita della Sila detto Giacomino. Il suo nome era Giacomo Talarico, ma tutti lo conoscevano come Giacomino. Era nato nel 1907 nel paese di Sersale (CZ) sulle pendici del Monte Gariglione posto sul lato orientale dell’altopiano silano. Sin da ragazzo si dedicò alla preghiera e alla penitenza ritirandosi in solitudine nelle foreste e campagne della Sila. Portava in spalla una curiosa bisaccia contenente tutti i suoi pochissimi beni tra cui una Bibbia che per acquistarla, si dice, andò a Roma a piedi. Morì nel 1976. Non conosceva la paura, il freddo, la malvagità ecc., si dice che il Signore lo aveva sempre protetto, questa persona che arrivava  spesso all'improvviso da non so dove e viveva della generosità della gente mangiava solo il necessario e se capitava di venerdì mangiava anche la carne (che per quei tempi era peccato) ma lui a chi gli diceva che era peccato rispondeva " Non è peccato quello che metti in bocca ma quello che ti esce dalla bocca (bestemmie e maldicenze) . Poi apriva la bibbia e ne leggeva un passo, commentandolo a modo suo. A quanto pare a Sersale suo paese natio con la nuova toponomastica gli sarà dedicata una strada a "Giacomino" qest'eremita di altri tempi che viveva della bontà delle persone che con gioia ma anche con curiosità l'ospitavano, per.......

martedì 4 marzo 2014

Ruanzu il cane più famoso di Sersale, della sua incredibile storia ne parla anche la rivista Focus

ronzo il cane di sersale sellia racconta

Sopra il servizio su "Focus Wild"

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Ruanzu è il misterioso cane di Sersale che va a casa di chi muore e noruanzu il cane di sersale sellia raccontan si capisce come fa a saperlo... poi va al cimitero e assiste alla sepoltura..e non solo.... Ruanzu a tutti gli effetti è un Sersalese doc partecipando anche ai vari eventi che la comunità organizza, come nelle due foto sotto dove lo vedono da protagonista in prima fila, durante una recente rappresentazione teatrale.

ruanzu mentre assiste a una commedia sersale sellia racconta10002764_657279011000500_326101576_n

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martedì 25 febbraio 2014

La festa degli incontri. Uomini, donne e bambini nel Paese delle Idee virtuose “Pentonello”.


 

La festa degli incontri

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Estate pentonellese – Turisti visitano le mostre e acquistano i prodotti con i sapori della Calabria
L’assessore alla Bellezza è in piazza in compagnia di un gruppetto di nostri concittadini, sta parlando di un certo Antony Gormley uomo che sa come stupire.
Oltre ad essere un architetto , racconta Fiore, è un archeologo, ed è l’inventore di un nuovo linguaggio artistico  che ha posto come principale campo d’indagine le diverse relazioni fra il corpo e lo spazio architettonico che lo circonda.
Gormley utilizza il calco grezzo del proprio corpo come matrice  della sua opera, strumento e materia della sua ricerca, qualcuno potrebbe definirlo  un megalomane perché usa sé stesso per le sue opere.
Nel gruppetto sono tutti meravigliati, non solo per la cultura di Fiore ma anche per l’amore che mette nel raccontare e per l’entusiasmo che manifesta. Fiore sa entrare nella vita delle persone, nella vita degli artisti, nelle loro opere, con grande emozione, dopo un po’ ne fa parte, ci vive dentro e ne parla come se fossero vecchi amici.
Le sue opere, continua Fiore riferendosi a Antony, vengono così inserite nei contesti più disparati divenendo veicolo e simbolo di quell’eterna riflessione dell’uomo sulla mutevole realtà circostante: le sue sculture sono esposte a testa in giù e sospese a un filo, in piedi a vegliare pensose in cima agli edifici dei centri cittadini, su promontori innevati, semi-immerse nell’acqua del mare o nel bel mezzo di campi coltivati.
Fiore ha saputo creare grande interesse anche senza parlare sempre di Pizzello, Paparano, da’ fiumara o di Cafarda o de’ Colle Colle. La curiosità per questo artista un po’ strampalato è grande tant’è che qualcuno vorrebbe saperne di più e  incuriosito chiede una foto o un’immagine di queste opere, ed ecco che Fiore apre la portiera della macchina e invita i suoi amici a Catanzaro per un caffè al bar Moniaci, offre lui.
Prima tappa però è il Parco della biodiversità mediterranea, da tanti conosciuto  come Parco della scuola Agraria. Scesi dalla macchina e fatti quei pochi passi necessari per essere immersi nel parco, tutti rimangono a bocca aperta davanti… ad Antony in persona! E non solo perché  senza mutande.
Espposizione di Antony Gormley  al Parco delle biodiversita mediterranee
Esposizione di Antony Gormley nel Parco della biodiversità mediterranea – Catanzaro
Non potevano pensare che la bellezza fosse così vicina e soprattutto gratis. In passato hanno fatto decine di gite, sono partiti con i trolley per andare a Roma, San Giovanni Rotondo, Bologna, Pisa, Venezia. Tanti ricordi e tante foto… con i gladiatori,  sulla scalinata di Padre Pio, vicino alla torre degli Asinelli a Bologna, con le gondole a Venezia.
In ogni viaggio la cosa più importante da fare sembrava quella di portare a casa e ai nipotini le bellissime palle con la neve da tutte le città d’Italia insieme a tanti monili, chincaglierie, reliquiario vario,  per decorare la propria casa, dell’utilità è meglio non parlarne, ma non sempre dobbiamo trovare assolutamente un’utilità pratica nelle cose.
Anche Carmela aveva i cassetti pieni, da ogni gita le figlie le portavano o una palla o una ceramica
Anche Carmela aveva i cassetti pieni, da ogni gita le figlie le portavano o una palla o una ceramica da appendere
Adesso si rendono conto che anche il turismo può essere consapevole e le gite possono arricchire. Si può viaggiare, fotografare, conoscere altra gente e tornare con la testa piena di idee, di belle amicizie, di scambi culturali e non solo col trolley pieno di cianfrusaglie e il problema di come smaltire pantagrueliche e bellissime mangiate. L’assessore Fiore con semplicità ha fatto capire che tutti dobbiamo sentirci protagonisti, dobbiamo informarci e interagire con le altre città, le altre culture.
Vedere nuovi posti, scoprire le bellezze dei paesi che si visitano e al ritorno cercare di applicarle nei luoghi dove si vive. In questo Fiore è perfettamente d’accordo con le parole di Peppino Impastato, e le applica tutti i giorni nel suo lavoro.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore” (Peppino Impastato)
Anche l’assessore del paese vicino è …..

domenica 14 aprile 2013

" A za gelusa du rrè" La Zia gelosa del re (Terza ed ultima parte) Racconti Calabresi

Così il capo brigante viene a conoscenza delle meraviglie che ci sono e pensa -  "Ora capisco perché quella donna vuole uccidere i ragazzi! Altro che usurpare il trono! Sicuramente vuole per sé tutto e sono sicuro che al momento che andrò a reclamare il resto pattuito, con o senza prove, quella mi farà uccidere. Bisogna che mi fermi a pensare." - Diede ordine di accamparsi per la notte, dicendo che l'attacco al mattino era più sicuro. -Così poteva prendere tempo per cambiare i suoi piani - Intanto che il brigante ragionava e pensava al da farsi, Chiomadorata guarda l'anello e si accorge che cambia colore, chiama subito i suoi fratelli e li avverte che c'è un pericolo in arrivo. Insieme strofinano tre volte l'anello e dentro la pietra appare il viso della fata che così parla - "Ragazzi, siete in pericolo ed anche se non posso essere con voi di persona farò in modo di aiutarvi lo stesso." -  Detto questo si vede arrivare un corvo grande e nero che si posa sulla spalla di Selenio e  dice - "Ho il dono della parola per volere della fata vostra nutrice e vi dico che dei briganti, fermi al fiume, sono stati mandati dalla zia del re , gelosa,  per uccidervi. Ho il compito di stare sempre con voi ed essere vostro messaggero. Non posso fare altro!" -  " Fratelli " - dice Chiomadorata - " Dobbiamo contare sulle nostre forze. Usiamo i nostri poteri e guardiamo di allontanare questo pericolo." - Allora Selenio, fece spengere tutte le luci , spalancò  gli occhi che emanavano una luce capace di rischiarare per chilometri la notte, più chiara e più potente di quella della luna piena e cominciò a cercare. Vide la banda ferma al fiume e la riconobbe per tutte le armi che avevano accanto. Descrive il posto ai fratelli e Marino dice - "Ora é compito mio. Mentre io mi concentro, tu, Selenio, tieni gli occhi su quella gente .  Marino  concentra i suoi poteri sulle acque del cielo e del fiume dove sono i briganti e li comanda di crescere. Così, inaspettatamente, i briganti sono sommersi da una pioggia torrenziale e prima che possano rendersi conto di cosa succede il fiume cresce, straripa e li travolge; senza risparmiare nessuno. Intanto alla reggia, miracolosamente scampato ad un mare in tempesta, arriva il re di ritorno dalla guerra. Ad aspettarlo c'é la zia che, sicura di aver sistemato i ragazzi, ricorda al re che deve far giustiziare la moglie ingannatrice per dare l'esempio. E poi pensare a prendere moglie un'altra volta. Perché un regno non può restare senza eredi.
Il re la manda via dicendo che ci penserà. Va a letto. Ma mentre sta per addormentarsi gli sembra che un corvo entri nella stanza e svolazzando canticchi- "Una mamma piange e prega per giustizia e tre figli aspettano notizia".  La mattina si alza con questo ritornello nella testa , va al balcone e vede, proprio davanti,  il palazzo  delle meraviglie : tre volte più bello della reggia. Subito chiama i dignitari e chiede spiegazioni. Questi si mettono a raccontare delle grandi cose che si dicono su quel palazzo e del fatto che nessuno conosca i proprietari che, si dice, abbiano poteri fatati.

domenica 31 marzo 2013

Marzo e il pastore racconto, leggenda sul mese di marzo pazzarello esce il sole ma prendi l'ombrello. Raccolta dei più bei racconti

Una mattina, là sul cominciare della primavera, un pastore usci colle pecore, e incontrò Marzo per la via.
Dice Marzo: - Buon giorno, pastore, dove le meni oggi le pecore a pascere?
-Eh, Marzo, oggi vado al monte.
-Bravo pastore! fai bene. Buon viaggio!- E fra sè disse: - Lascia fare a me, chè oggi ti rosolo io!-
E quel giorno al monte giù acqua a rovesci, un vero diluvio!
Il pastore però che l’aveva squadrato ben bene in viso, e non gli era parso schietta farina, aveva fatto
tutto all’incontrario. La sera nel tornare a casa rincontra Marzo:
 -Ebe’, pastore, come è ita oggi?
-È ita benone. Sono stato al piano; una bellissima giornata, un sole che scottava!
-Sì eh? Ci ho gusto (e intanto si morse un labbro) E domani dove vai?
-Domani torno al piano. Con questo bel tempo, matto sarei a mutare.
-Sì? bravo! Addio. -
E si partono. Ma il pastore, invece d’andare al piano, va al monte, e Marzo giù acqua e vento e
grandine al piano; un vero gastigo di Dio. La sera trova il pastore:
-O pastore, buona sera; e oggi come t’è ita?
-Benone. Sai? sono andato al monte, e ci è stato una stagione d’incanto. Che cielo! Che sole!
-Proprio ne godo, bravo pastore; e domani dove vai?
-E domani vado al piano; mi par di vedere certi nuvoloni su dietro l’alpe.... Non mi voglio
allontanare da casa.
-Fai bene, ti consiglierei anch’io. -
Insomma, per farla corta, il pastore gli disse sempre all’incontrario, e Marzo non ce lo potè mai
beccare. Siamo alla fin del mese. L’ultimo giorno disse Marzo al pastore: - E be’, pastore, come va?
-Va bene; ormai è finito Marzo, e sono a cavallo. Non c’è più paure, e posso cominciare a dormire
fra due guanciali.
-Dici bene. E domani dove vai?
-Domani anderò al piano; faccio più presto, e l’ho più comodo.
-Bravo! Addio. -
Allora Marzo, in fretta e furia, va da Aprile, e gli racconta la cosa, - e ora avrei bisogno che tu mi
prestassi almeno un giorno. - Aprile senza farsi tanto pregare, gli presta un giorno.
Eccoti che viene la mattina dopo, e il pastore cava le pecore e, cucciolo cucciolo,

venerdì 29 marzo 2013

La bellissima Leggenda del Pettirosso " U Pettirussu" ( Seconda parte)

L'uccello si fermò in mezzo alla frase, perché da una delle porte di Gerusalemme usciva una gran quantità di gente e tutta la folla si dirigeva verso il colle dove l'uccello aveva il suo nido.
C'erano dei cavalieri su destrieri superbi, servi con lunghe lance, assistenti del boia  con chiodi e martelli, v’erano sacerdoti dall’incedere dignitoso, e giudici, donne piangenti, e davanti a tutti  una massa di popolo che correva selvaggiamente, un accompagnamento orrendo, ululante di vagabondi. L'uccellino tremando stava sull'orlo del suo nido. Temeva ad ogni istante che il piccolo cespuglio di spine venisse calpestato e i suoi piccini rimanessero uccisi.
« State in guardia, » gridò ai piccini inermi « state tutti vicini e state zitti! Ecco un cavallo che viene proprio su di noi! Ecco un guerriero coi sandali ferrati!  Ecco tutta la folla selvaggia! »
Ad un tratto l'uccello smise di gettare i suoi gridi d'allarme e tacque. Dimenticò quasi il pericolo sovrastante.
Improvvisamente saltò giù nel nido, e allargò le ali sopra ai piccini.
« No, è troppo tremendo » disse. « Io non voglio che voi vediate. Sono tre malfattori che vengono crocifissi. »
E allargò le ali affinché i piccini nulla potessero vedere. Udirono soltanto dei colpi di martello rimbombanti, grida di dolore e gli urli selvaggi della folla.
Il pettirosso seguì tutto lo spettacolo con gli occhi che si dilatavano dal terrore. Non poteva allontanare gli sguardi dai tre infelici.
« Come gli uomini sono crudeli! » disse

giovedì 28 marzo 2013

La bellissima Leggenda del Pettirosso " U Pettirussu" ( Prima parte)

Era in quel tempo, quando Nostro Signore creò il mondo, quando creò non soltanto il cielo e la terra, ma anche tutti gli animali e le piante, e in pari tempo distribuì i nomi. Esistono molte storie di quel tempo, e  se  si  sapessero tutte avremmo anche la spiegazione di tutte le cose del mondo che ora non si possono comprendere.
Fu allora che un giorno, mentre Nostro Signore stava a sedere in Paradiso a dipingere gli uccelli, venne a mancare il colore sulla tavolozza, così che il picchio sarebbe rimasto senza colore se Egli non avesse ri­pulito tutti i pennelli sulle sue penne.
E fu allora che l'asino acquistò le sue orecchie lunghe, perché non si ricordava il nome che aveva ricevuto. Lo dimen­ticò appena ebbe fatto alcuni passi sui prati del Paradiso e tornò  indietro tre volte a domandare come si chiamava, finché Nostro Signore s'impazientì un pochino e prendendolo per le orecchie disse: « Il tuo nome è asino, asino, asino ».
E nel dirlo gli allungò le orecchie perché gli venisse l'udito migliore e ricordasse quello che gli si diceva.
Fu nello stesso giorno che l'ape fu punita. Perché appena fu creata incominciò a raccogliere miele, e gli animali e gli uomini, che si accorsero del dolce profumo del miele, vennero ad assaggiarlo. Ma l'ape voleva conservare tutto per sé e con le sue punture velenose scacciava tutti quelli che si avvicina­vano all'alveare. Nostro Signore vide e chiamò a sé l'ape e la punì.
« Io ti ho dato la facoltà di raccogliere il miele che è ciò che la creazione ha di più dolce, » disse Nostro Signore « ma non per questo ti ho dato il diritto d'essere cattiva col tuo prossimo.
 E ora ricordati: ogni volta che pungerai qualcuno che vorrà assaggiare il tuo miele, tu morrai! »
Già, fu allora che il grillo divenne cieco e la formica perse le sue ali; accaddero tante cose straordinarie in quel giorno. 
Nostro Signore, grande e mite, era seduto tutto il giorno a creare e a formare, e verso sera gli venne in mente

domenica 17 marzo 2013

" A za gelusa du rre" La Zia gelosa del re (Seconda parte) Racconti Calabresi

....."Selenio, Marino e Chiomadorata" -  Così li aveva chiamati  - "Voi siete i figli del re, ma lui non lo sa perché ,quando vostra madre vi fece, la vostra zia gelosa gli mandò a dire che invece di voi aveva fatto tre gatti. Così lui, per la rabbia, l'ha fatta rinchiudere nella torre più alta e dal dolore non tornò più a casa. Ora, tocca a voi tornare lassù e mettere le cose a posto. Io non posso venire,  posso però farvi ancora  un regalo: darò a te Chiomadorata un anello che, quando cambia colore, ti avverte di un pericolo e quando lo strofini tre volte puoi vedermi e parlarmi. Di più non posso fare" -  Così detto, senza mettere tempo in mezzo, si ritrovarono fuori dal pozzo. -  "Ed ora dove andiamo?" -  Dissero fra loro -  "Come faremo a cercare nostro padre e salvare nostra madre?"  -  Allora Chiomadorata disse -  "Fratelli,  tagliatemi i capelli e con líoro che ne viene compriamo una casa" - Così fecero e siccome l'oro era tanto comprarono un palazzo vicino alla reggia, più bello e più grande di quello del re,  con un giardino fatto tutto di piante meravigliose. E siccome Marino aveva il potere delle acque, lo aveva riempito  di fontane che danzavano. Lì , Chiomadoro si lavava i capelli. Perciò l'acqua di queste fontane era piena di pagliuzze d'oro che brillavano al sole di giorno e alla luna di notte. Selenio, l'altro fratello, aveva fatto un patto con essa e tutte le notti lei brillava piena sopra il giardino. Viene da sè, che di  queste meraviglie cominciarono a parlarne tutti ed, alla fine, arrivarono all'orecchio della zia del re, la quale ,incuriosita, mandò una spia a vedere come stavano le cose. Questa al ritorno non solo esagerò in meraviglie, ma riferì anche di aver visto due giovani ed una ragazza, di bellezze fuori misura, che avevano uno gli occhi come la luna, un altro gli occhi come il mare e la ragazza una stella in fronte ed i capelli come l'oro. Vi lascio immaginare la faccia della donna! Subito gli venne un tuffo al cuore e pensò - "Se non avessi io stessa buttato i figli del re nel pozzo penserei che questi ragazzi siano proprio loro." -  E più ci pensava e più non stava

domenica 10 marzo 2013

La zia gelosa del re "A za gelusa du rrè" (Prima parte) Racconti Calabresi

C'era una volta un pescatore che aveva tre figlie una più bella dell'altra: La prima si chiamava Filomena, la seconda Fotina e la terza Felicetta. Era rimasto vedovo da quando le figlie erano piccole e le aveva tirate su con l'aiuto  dei vicini, senza mai volersi risposare; perché troppo bella e buona era stata  sua moglie e non poteva trovarne un'altra uguale. Vivevano con quello che riusciva a ricavare dalla vendita del pesce, e non era molto. Ma non si lamentava, anzi era contento, perché diceva di avere avuto la più grande ricchezza quando aveva  messo al mondo tre figlie, non solo di sette bellezze ma anche virtuose, perché non c'era mestiere di donne che non sapessero fare e fare bene. In più erano anche buone e sempre andavano ad aiutare una povera vecchia e gobba che abitava da sola in una capanna e non aveva niente da mangiare. Una sera, che erano a casa della vecchia  perché era malata, dopo averla accudita e messa a letto a dormire , si sedettero sulla spiaggia davanti al mare a guardare la luna piena che brillava sull'acqua, e come tutte le ragazze di questo mondo si misero a fantasticare. La prima diceva  - "Se mi dovessi sposare vorrei sposare il cugino del re e gli farei un figlio con un pomo in mano in modo che quando lui lo mette a terra lì nasca un albero di pomi d'oro" - E la seconda - "Ed io se mi dovessi sposare vorrei sposare il fratello del re e gli farei un figlio che quando batte le mani possa imbandire una tavola ricca di ogni ben di Dio." -  E la terza, che era anche la più bella, disse - "Io, invece, vorrei sposare proprio il re e gli farei tre figli: uno con gli occhi della luna in modo che possa vedere ogni cosa anche di notte al buio, uno con gli occhi del mare in modo che possa governare le acque e sempre navigare senza pericoli  ed una figlia con una stella in fronte, la pelle del giglio ed i capelli díoro come il sole che più li tagli, più crescono e più oro danno. Ora la vecchia che non stava dormendo ascoltò tutto e siccome era una fata che era in giro per il mondo in cerca della bontà, sorrise e disse - "Così sia." -  Il giorno dopo si travestì da mercante ed andò al palazzo del re. Con la scusa di vendergli stoffa per abiti si fece ricevere da lui in persona e tra un discorso e l'altro gli raccontò che in paese c'erano delle ragazze che s'inventavano storie di matrimoni con il re ed i suoi parenti; riferendo i discorsi che aveva sentito. Il re incuriosito disse - " Dimmi subito chi sono queste ragazze o ti taglio la testa." -  La fata, che non aspettava altro, gli dette nome e cognome e poi sparì: perché di più non poteva fare. Il re mandò subito i servi a prendere le figlie del pescatore. Le poverine, che non potevano mai pensare che il re potesse volere mai qualcosa da loro, arrivarono al palazzo; mezze morte dalla paura e dalla preoccupazione díaver fatto qualcosa di male. Bene. Appena il re le vide restò meravigliato da tanta bellezza, specialmente da quella di Felicetta che non osava nemmeno guardarlo. Ma era il re e così si fece serio serio e disse - "Ho sentito dire che  tu Filomena vuoi sposare mio cugino il marchese e che saresti capace di dargli un figlio  con un pomo in mano in modo che quando lui lo mette per terra lì nasca un albero di pomi d'oro, che tu Fotina se mio fratello ti sposa gli darai un figlio che quando batte le mani possa imbandire una tavola ricca di ogni ben di Dio e udite! udite! se io sposo te Felicetta saresti capace di darmi tre figli: uno con gli occhi della luna in modo che possa vedere ogni cosa anche di notte al buio, uno con gli occhi del mare in modo che possa governare sulle acque e sempre navigare senza pericoli  ed una figlia con una stella in fronte, la pelle del giglio ed i capelli díoro che più li tagli più crescono e più oro danno. Alla prova. Il re chiamò il cugino ed il fratello e disse - "Queste sono le vostre spose da qui ad un anno dovranno partorire quello che hanno promesso. Se così sarà io

giovedì 7 marzo 2013

" U Pustellu " Ricordi, rievocazioni dei tempi che furono



U Pustellu

un marchio indelebile di un intera generazione. Oggi i bambini sin dai primi giorni di vita vengono sottoposti in continui vaccini ormai si ci vaccina per ogni cosa.  Quando eravamo piccoli noi quelli della generazione che ormai hanno superato da un bel po’ gli … anta se un compagno aveva la varicella ti  facevano stare vicino a lui cosi la prendevamo pure noi per farci rinforzare le difese immunitarie, evitando cosi di prenderla in età adulta. Oggi invece si ci vaccina su tutto sin da subito,appena nati! Con tanto di cartellino da timbrare man mano che il bimbo cresce. Per chi come me ha superato gli anta invece l’unico vaccino era “U Pustellu” che ti segnava nel vero senso della parola per tutta la vita. Mi ricordo quando mi fu fatta la seconda dose, tutti in fila all'aperto in piazza" Coppoletta" ( Io altruista come non mai) facevo di tutto per evitare il mio turno facendo passare avanti più bambini possibile. Entrando più nel fattore medico scientifico di questo vaccino veniva somministrato sino alla metà degli anni 70  fatto al braccio in due dosi, uno dopo nati l’altro verso il primo anno di scuola elementare. La seconda dose rimaneva in modo più visibile,  indelebile a forma di cerchio. Era la vaccinazione antivaiolosa, che non si eseguiva con una siringa, ma con una piccola scarificazione sulla cute,un graffio che si faceva con una specie di pennino. Questa vaccinazione  è stata eliminata dal programma del sistema sanitario nazionale, in quanto l'agente patogeno è stato debellato in modo definitivo nel 1977
 Oggi ci si vanta tanto dei tatuaggi che vanno molto di moda  Noi possiamo essere fieri di

domenica 3 marzo 2013

Il Calzolaio generoso "Nu Bonu Scarparu" raccolta dei più bei racconti

Un calzolaio era molto povero. Un giorno fece un paio di scarpe. Passò di lì una vecchietta scalza che gli disse:
- Per favore puoi regalarmi quelle scarpe?Ho tanto freddo e fuori c' è la neve!
Il calzolaio rispose:
- Va bene, te le regalo, anche se io sono povero e ho bisogno di soldi.
Il giorno dopo, quando si svegliò, il calzolaio trovò le scarpe piene di monete d'oro con un biglietto sul quale c' era scritto:
"Per il calzolaio più gentile e più generoso".
Il calzolaio non riuscì a credere ai suoi occhi. Pensò a quella vecchietta e non sapeva come fare per ringraziarla. La cercò dovunque, ma poi smise. Decise allora di costruire un nuovo negozio più grande e più bello. Fece tante scarpe e le regalò ai bambini poveri del villaggio. Una sera, mentre il calzolaio stava lavorando,udì uno strano rumore e vide una luce dietro la

domenica 17 febbraio 2013

Il fuso, la spola, e l'ago.fiaba, racconto ( Raccolta dei più bei Racconti)

In un villaggio ai Piedi dei monti, sovrastato dal castello del Re…
… c'era una fanciulla, che aveva perduto i genitori quando era ancora in tenera età. La piccola derelitta fu presa in casa della madrina, che l'allevò educandola all'arte di filare, tessere e cucire.
  Ricorda, bambina mia, il fuso serve per filare, la spola per tessere, l'ago per cucire. Se tu tratterai bene questi oggetti e manterrai sempre puro questo tuo cuore, non ti mancherà mai lino da filare, trama ed ordito da tessere, panno da cucire, camicia da vendere. E poi…
(canticchiando)

Fuso, mio fuso, su gira in fretta,
porta lo sposo nella casetta.

Tessi, mia spola, la stoffa più fina,
mena lo sposo nella casina.

Ago, bell'ago, acuto e sottile,
fa' per lo sposo la casa gentile.
Quando la fanciulla ebbe 15 anni, la vecchia si ammalò e la chiamò al suo capezzale.
Cara figliola, sento che si avvicina la fine. Ti lascio la casetta, che ti proteggerà dal vento e dalla tempesta; e inoltre il fuso, la spola e l'ago, perché tu possa guadagnarti il pane.
  Cara madrina, ti prego non morire. Io sono sola e derelitta. Come farò senza di te, me infelice?
Serba Dio nel tuo cuore e non avrai che bene. Io muoio, non ti abbandono, la mia benedizione ti proteggerà
Ora la fanciulla viveva sola sola nella casetta. Filava, tesseva e cuciva assiduamente e su tutto quel che faceva pareva scendere la benedizione della buona vecchia. Era come se il lino aumentasse da sé nella stanza  e quando ella aveva tessuto una pezza di panno, o un tappeto, o aveva cucito una camicia, si trovava subito un compratore che pagava lautamente
In quei giorni il figlio del re, accompagnato dal ciambellano, girava il Paese in cerca di una sposa.
  Mio Principe, sono certo che in questo Paese la Vostra Maestà troverà una sposa degna del suo rango.
Sir, ho più volte detto , e torno a ripetere, che non desidero una donna ricca di fronzoli e povera di sentimenti come le dame del palazzo. Io so che spesso, invece, la povertà di mezzi si sposa alla nobiltà del cuore e alla bellezza della persona.
  La Vostra Maestà mi consentirà di dissentire. I sudditi di Vostra

domenica 10 febbraio 2013

Le due sorelle "Il cibo di Dio" Racconti per il mese di febbraio

C'erano una volta due sorelle: una non aveva figli ed era ricca, mentre l'altra aveva cinque figli, era vedova e cosi povera che non aveva neanche il pane per sfamare se stessa e i suoi bambini. Allora, in quegli stenti, andò dalla sorella e disse: -Io e i miei bambini patiamo la fame. Tu sei ricca, dammi un po' di pane-. Ma la riccona aveva anche il cuore di pietra e disse: -Anch'io non ho niente in casa-. E scacciò la povera in malo modo. Dopo un po', rincasò il marito della sorella ricca e voleva tagliarsi un pezzo di pane. Ma non appena vi affondò il coltello, ne uscì sangue vermiglio. A quella vista, la donna inorridì e raccontò quel che era successo. Egli allora corse dalla vedova per darle aiuto, ma entrando nella stanza la trovò che stava pregando: teneva in braccio i due bambini più piccoli, mentre i tre più grandi giacevano a terra morti. Egli le offrì del cibo, ma ella rispose: -Non abbiamo più bisogno di cibo terreno: Dio ne ha già saziati tre, e presto esaudirà anche le nostre preghiere-. Aveva appena pronunciato

domenica 27 gennaio 2013

27 gennaio Giornata della Memoria Un racconto per Ricordare per mai Dimenticare.


...Sono stati deportati nei lager nazisti.  “Sami” nel 1943, orfano della madre Diana, aveva 13 anni ed insieme ad altri 2.500 appartenenti alla comunità ebraica di Rodi, viene rastrellato e deportato in Germania. Arriva a Birkenau con il padre Giacobbe e la sorella Lucia di tre anni più grande di lui, marchiato con il numero B 7456 sul braccio. Sarà proprio nel campo di concentramento che Samuel diventa un uomo dopo il suo “bar – mitzvah” (il momento in cui, per la tradizione ebraica, un giovane diventa adulto). “Sono sopravvissuto per voi – ha ricordato agli studenti dell’Isis che lo ascoltavano in rigoroso silenzio –  la morte non mi ha voluto affinché io potessi raccontarvi le atrocità subite perché non si ripetano mai più”. Nel teatro gremito in ogni suo ordine gli sguardi attenti degli studenti hanno seguito con qualche luccicore il fluire lento e doloroso delle parole di Samuel Modiano che ripercorreva la sua adolescenza e della sua vita. Nel 1943, Sami venne rastrellato e deportato in Germania nei campi di sterminio nazisti. Modiano ha ricordato di come un nazista potesse, con il solo gesto di un dito o di uno sguardo, decidere della vita o della morte di un essere umano, delle privazioni, dell’annientamento della loro dignità. Ha ripercorso i giorni vissuti nel dolore e nella disperazione, nella consapevolezza di essere solo un morto che camminava senza alcuna possibilità di salvezza e della disperazione che spesso lo portava davanti ai fili spinati con la corrente ad alta tensione per togliersi la vita. Ma ha anche detto: “La morte non mi voleva, qualcosa mi fermava ogni volta”. Ha raccontato dei suoi incontri con la sorella che vedeva oltre il filo, una sorella trasformata, magrissima, rasata, con il pigiama a righe. E poi: “una sera non la vidi e neppure quella successiva, e capii che anche lei morta”. Il racconto davvero struggente è proseguito fino alla notte in cui, sentito l’arrivo dei russi, i tedeschi fecero evacuare il campo, costringendo tutti i presenti a raggiungere a piedi il campo di Auschwitz distante solo tre chilometri. Samuel cadde tre volte stremato, ma due compagni lo rialzarono trascinandolo fino al campo. “Ora so che furono due angeli custodi, che non ho più rivisto, a salvarmi la vita, perché io potessi raccontare a tutti voi la mia storia e quella di migliaia di persone che, purtroppo, non ce l’hanno fatta, affinché nessuno dimentichi”. Modiano ha ricordato anche i suoi amici di prigionia: Piero Terracina, Settimio Limentani, Primo Levi e tanti altri che non ha rivisto più. Dopo la liberazione da parte dei russi dei campi, Samuel, a soli 14 anni si trovò solo, la sua famiglia era stata completamente distrutta. Al termine del racconto tutto il teatro si è alzato in piedi per ricordare le vittime dell’Olocausto con un minuto di silenzio. Samuel ha poi salutato i ragazzi raccomandando loro di studiare e di ritenersi fortunati di vivere in una società libera e civile. a far sì che  la ‘Giornata della Memoria’

domenica 6 gennaio 2013

La vera storia della Befana


La Befana è una vecchia brutta e gobba, con il naso adunco e il mento aguzzo, vestita di stracci e coperta di fuliggine, perchè entra nelle case attraverso la cappa del camino. Infatti la notte tra il 5 e il 6 gennaio, mentre tutti dormono infila doni e dolcetti nelle calze dei bambini appese al caminetto. Ai bambini buoni lascia caramelle e dolcetti, a quelli cattivi lascia pezzi di carbone. La Befana si festeggia nel giorno dell'Epifania, che di solito chiude le vacanze natalizie. Il termine “Befana” deriva dal greco “Epifania” che significa “apparizione, manifestazione”. Avvenne nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio che i Re Magi fecero visita a Gesù per offrirgli oro, incenso e mirra. Anche la Befana apparve nei cieli, a cavallo della sua scopa, ad elargire doni o carbone, a seconda che i bambini siano stati buoni o cattivi.
Una leggenda spiega la coincidenza così:
una sera di un inverno freddissimo, bussarono alla porticina della casa della Befana tre personaggi elegantemente vestiti: erano i Re Magi che, da molto lontano, si erano messi in cammino per rendere omaggio al bambino Gesù.
Le chiesero dov’era la strada per Betlemme e la vecchietta indicò loro il cammino ma, nonostante le loro insistenze lei non si unì a loro perché aveva troppe faccende da sbrigare.
Dopo che i Re Magi se ne furono andati sentì che aveva sbagliato a rifiutare il loro invito e decise di raggiungerli.
Uscì a cercarli ma non riusciva a trovarli. Così bussò