venerdì 8 settembre 2023

Maria uccisa fatta a pezzi e data in pasto ai porci e le ossa triturate con la fresa del trattore. Peggio delle bestie! L'imprenditrice uccisa per vendetta e perché non si voleva sottomettere ai Mancuso.

Maria Chindamo fu sequestrata e uccisa il 6 maggio 2016 a Limbati in provincia di Vibo Valentia. Dopo sette anni è stato possibile far luce su questo delitto grazie al reparto crimini violenti dei Ros e alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. L'omicidio della 42enne avvenne a quasi un anno dal suicidio di suo marito Vincenzo Puntoriero dell'8 maggio 2015. Per gli investigatori il delitto sarebbe avvenuto per punire la donna di una relazione sentimentale, venuta alla luce due giorni prima dell'omicidio della stessa per un'uscita pubblica della coppia, e per la proprietà dei terreni che, con la morte del marito, erano passati alla Chindamo e ai figli. ricostruzione fornita dai collaboratori di giustizia, veniva dato in pasto ai maiali e i cui resti ossei venivano triturati con la fresa di un trattore.




 «Quella» era una donna libera e “tosta”. Una figlia, una sorella, una madre, che avrebbe semplicemente voluto determinare il suo destino, personale e imprenditoriale. E che per questo, in un territorio di frontiera in cui si intrecciano i tentacoli dei clan del Vibonese e della Piana, è finita inghiottita da due mostri, l’“onore” e la “roba”. Maria Chindamo sarebbe stata trucidata in un «complesso scenario criminale» e per una devastante coincidenza di interessi: il desiderio di vendetta nei suoi confronti, da parte di chi la incolpava per la morte del marito, e la volontà spasmodica della ‘ndrangheta di accaparrarsi, nel suo feudo, ogni metro di terra. Queste le ragioni per cui «quella», anzi «chija» in dialetto vibonese, è scomparsa la mattina del 6 maggio 2016 proprio davanti all’ingresso della sua proprietà in località Montalto (Limbadi, al confine con Rosarno). Del suo cadavere, mai ritrovato, avrebbero fatto scempio i maiali. E i suoi resti sarebbero stati triturati dalla fresa di un trattore. Un femminicidio brutale di cui ora è accusato Salvatore Ascone (detto “Pinnularu”) in concorso con un uomo deceduto, ritenuto il mandante, con un’altra persona all’epoca dei fatti minorenne e con altri «allo stato ignoti». L’interrogatorio di Pasquale Megna è di febbraio di quest’anno. A domanda risponde: «Sono in grado di riferire dell’omicidio di Maria Chindamo. Sono a conoscenza del coinvolgimento di “Pinnularu” nell’omicidio». Nell’estate del 2022, racconta, suo padre era andato al villaggio Sayonara a consegnare del pesce. Lì c’era Ascone e i due, a un certo punto, erano rimasti soli. In riferimento a un’altra questione Megna avrebbe detto ad Ascone: «Ma per quattro soldi stai facendo tutto questo bordello»… E “Pinnularu” avrebbe risposto, riferendosi proprio a Maria Chindamo: «“Io, pe quattru sordi, a chija eppi u m’ajuntu ‘ncoju” (ed io per quattro soldi a quella me la sono dovuta caricare addosso)», dicendo così «chiaramente – annotano i pm antimafia – che si era occupato del corpo della donna». Per questo è accusato anche di distruzione di cadavere, contestazione che al pari dell’omicidio ha anche l’aggravante mafiosa. Integrando le sue dichiarazioni, Megna aggiunge che il padre, mentre gli raccontava ciò che aveva sentito da Ascone, appariva «provato», tanto che lui pensava stesse male per il diabete alto, e anche «nauseato». Aveva detto al figlio: «Guarda questo pezzo di m... che cosa ha fatto».

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