venerdì 10 febbraio 2012
L'incredibile storia di Maria Concetta Cacciola testimone di giustizia indotta al suicidio dal padre,dalla madre e dal fratello.
Indotta al suicidio:
arrestati il padre, la madre e il fratello a storia della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola
Botte fino a romperle una costola perché sospettata di avere una relazione extraconiugale. E poi pressioni psicologiche continue per indurla a ritrattate dopo che aveva iniziato a collaborare con i magistrati della Dda di Reggio Calabria. Fino a condurla al gesto estremo del suicidio. È la storia drammatica di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia di 31 anni, con tre figli, suicidatasi il 20 agosto 2011 ingerendo acido muriatico. Una storia che emerge dalle pagine dell’ordinanza con cui il gip di Palmi su richiesta del procuratore Giuseppe Creazzo e del pm Giulia Masci, ha mandato in carcere i genitori della donna Michele Cacciola, 54 anni, e Anna Rosalba Lazzaro (48) ed il fratello Giuseppe (31), accusati di essere i suoi aguzzini. “Se le pagine del processo - scrive il gip - non fotografassero una realtà brutale e soffocante, si potrebbe credere di leggere l’appassionante scenografia di un film”. Ma come aggiunge poco dopo lo stesso giudice, quello di Maria Concetta non è un film, ma una storia vera. Il padre di Maria Concetta è cognato di Gregorio Bellocco, il boss dell’omonima famiglia legata ai Pesce che a Rosarno fanno il bello e cattivo tempo. Ed il marito, sposato appena tredicenne nel tentativo, malriposto, di trovare la libertà, è detenuto per associazione mafiosa. Una vita opprimente quella di Maria Concetta, con i familiari sempre a controllarla. E quando, nel 2010, col marito in carcere, alcune lettere anonime ai genitori l’accusarono di una relazione extraconiugale, cominciano le botte. Esasperata per questa situazione, a maggio 2011 la donna decise di fare il grande passo: iniziare a collaborare con la magistratura seguendo le orme della cugina, Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore. Sa che la sua vita non sarà più la stessa ed al momento di allontanarsi scrive alla madre per affidarle i suoi tre bambini. “Ti affido i miei figli - scrive Maria Concetta - dove non c’é l’ho fatta io so che puoi ..
Ma di un’unica cosa ti supplico, non fare l’errore mio. A loro dai una vita migliore di quella che ho avuto io. Ti supplico non fare l’errore a loro che hai fatto con me”. Ma nella famiglia di Maria Concetta l’onore conta più dell’amore. Ad un’amica, pochi giorni prima di togliersi la vita, confessava che “la famiglia queste cose non le perdona. L’onore non lo perdonano”. Ma il suo amore per i figli, rimasti a Rosarno insieme ai nonni, la spinge a tornare a casa. E qui cominciano le pressioni per indurla a ritrattare. I genitori, secondo l’accusa, le fanno scrivere una lettera di ritrattazione e la obbligano a registrare un messaggio sotto dettatura. Pressioni che, scrive il gip, rendono “definitiva la sua convinzione che nulla sarebbe cambiato rispetto alla situazione in cui era vissuta fino a quel momento, anzi che tale sua condizione.... non poteva che peggiorare”. Anche l’ultimo tentativo di riacquistare la liberta viene vanificato, proprio dalla madre. Alla donna Maria Concetta racconta di avere contattato i carabinieri per andarsene di nuovo. Ma la madre risponde con un urlo: “No Cetta, no, assolutamente!!”. È forse questa la molla che spinge Maria Concetta al suo gesto estremo. Appena due giorni dopo, il 20 agosto, beve acido muriatico e si uccide. Le sue dichiarazioni, però, non sono risultate vane. Quei racconti sono alla base, insieme alle dichiarazioni della cugina Giuseppina Pesce e di un “pizzino” sequestrato in carcere al boss Giuseppe Pesce, del provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Reggio Calabria contro le nuove leve della cosca Pesce.