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martedì 18 gennaio 2011

Racconti calabresi. Mastru Giannuzzu u scarparu. Di Antonio Cotroneo ( seconda parte )

Infatti, l´ apprendista, remunerato settimanalmente con qualche spicciolo, oltre ad imparare il mestiere per poter un domani vivere, a casa del mastro era anche salvaguardato e protetto, affinche' non andasse in giro per il paese a vagabondare, oziare, frequentare brutte compagnie che lo avrebbero sicuramente condotto sulla strada sbagliata: la malavita. Se il mastro notava  che "u discipulu" era ubbidiente e volenteroso,
pazientemente gli trasmetteva tutti i segreti del mestiere, affinche' un domani divenisse un valente "scarparu" ed essere, cosi', orgoglioso di aver contribuito non solo a farlo "mastru" ma anche uomo corretto, stimato e ben voluto dall´intera collettivita' del paese. Attualmente, calzolai se ne contano ancora un paio che esercitano "u misteri" facilitati dai moderni macchinari e attrezzature messe a disposizione dall´industria. Io sono nato un
piano sopra la casa di Mastru Giannuzzu. Dato che la nostra abitazione era pericolante,
mia madre, qualche anno dopo, si trasferiva in una casa piu' grande di fronte al Mastro.
Uscendo dalla sua porta c´era un piccolo giardino, con tanti fiori, che lui annaffiava e
curava con tanta pazienza e dove io, da bambino, mi recavo a giocare, guardato da sua
moglie. Il mastro era tipo di poche parole, laborioso davanti al "banchettu di scarpi";
attaccato alla famiglia e, ancor di piu', alla sua tromba con cui si esercitava tutti i giorni
durante le frequenti pause lavorative.